Visualizzazione post con etichetta decalogo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta decalogo. Mostra tutti i post

domenica 23 marzo 2014

Guida in 16 punti per sopravvivere a un concerto pop

Mi è accaduto spesso, nel limbo delle attese. Qualche volta ero seduta per terra, con le spalle appoggiate a una transenna; Altre un po' più comoda e composta sui gradoni in pietra di un qualche anfiteatro. Mi capitava, in quelle occasioni, di accennare alle mie velleità scrittorie. La vicina di posto sorrideva interessata. Poi, immancabilmente, qualche personaggio bizzarro faceva capolino nel nostro campo visivo. Una stangona barcollante sui tacchi a spillo, ad esempio. O magari una ragazzina con l'inchiostro già colato dal nome che si era scritta in fronte. Ci guardavamo, scuotendo la testa. Ed è a quel punto che la proposta arrivava. 

“Dovresti scrivere un manuale di sopravvivenza e/o bon ton per concerti pop”- scherzavano - “L'umanità ne ha bisogno, a quanto pare”. 
Io ci riflettevo per la mezz'ora successiva, seriamente convinta che fosse una bella idea. Mi scrivevo il primo capitolo in testa, verità assolute mascherate da ironia. Poi, però, le luci si abbassavano. E – come sempre - l'universo intero scompariva. 

Ora: un manuale sarebbe pretenzioso, non ci piove. Però, in qualche modo, oggi a quelle voci ho voluto dare ascolto. In fondo, se c'è qualcosa in cui posso dirmi esperta, sono le frequentazioni di concerti. Ed è basandomi su più di 14 anni di esperienza che ho messo assieme un decalogo allargato che vi aiuterà ad uscire illesi e felici da un live ad alta frequentazione. Se volete aggiungere dei punti, i commenti sono, al solito, a vostra completa disposizione.




GUIDA IN 16 PUNTI PER SOPRAVVIVERE A UN CONCERTO POP 

  1. Sii gentile con la security: è il tuo lasciapassare per il concerto, la tua riserva d'acqua se raggiungi le prime file e  la tua ancora di salvezza in caso di necessità. Tienilo a mente, e comportati di conseguenza. Quelli che ti urlano di “stare indietro” o di gettare il tappo della bottiglia sono spesso ragazzi sottopagati per stare tutto il giorno a contatto con miriadi di teenager isteriche. Un atteggiamento maturo e rilassato non potrà che giocare a tuo favore. Perciò sorridi, asseconda le loro richieste, fa vedere che sei dalla loro parte. E, quando apriranno i cancelli, entra camminando finchè i loro occhi sono puntati su di te: avrai molte più chance di arrivare davanti rispetto a chi si lancia da subito in uno sprint da centometrista. Con tutta probabilità, quest'ultimo sarà stato bloccato mentre tu sarai già a metà parterre, pronta per la corsa finale.

  2. Rispetta l'ordine di arrivo. Puoi anche trovare assurdo accamparsi per intere nottate davanti a un palasport, ma purtroppo è così che funziona. Sta a te decidere se fare dei sacrifici pur di raggiungere la prima fila oppure no. Ma, se arrivi a pochi minuti dall'inizio dello show, non aspettarti di scavalcare gli altri. La botte piena e la moglie ubriaca, lo sanno tutti, non si possono avere.

  3. Non insultare le band di spalla. Suonare per un pubblico che non vede l'ora che tu te ne vada è la più dura delle gavette: non rendergliela ancora più difficile! Piuttosto, ascoltali. Chissà che tu non scopra qualche bella canzone...!

  4. Socializza con i vicini. Mischierete il vostro sudore al loro per le prossime due ore almeno. Tanto vale provare ad andarci d'accordo. Chiacchierate, condividete le attese, conoscetevi meglio. Siete lì per la stessa ragione: qualcosa in comune ce l'avete già. 

  5.                   

  6. Tieni il posto per 3 persone, non per 30! Capita a tutti di avere un amico che lavora, o ha avuto un incidente, o viaggia su un mezzo pubblico con orari poco concilianti: non c'è niente di male a tenergli il posto in fila, anzi! La prossima volta, magari, lo farà lui con te. Solo, cerca di non esagerare. Far passare una o due persone poco prima dell'apertura dei cancelli è un conto (ulteriore consiglio: avvisa da subito i tuoi vicini di fila che lo farai!)  farne passare a decine un altro. A te piacerebbe essere superata da un'intera comitiva a pochi minuti dall'inizio dopo che per tutta la giornata sei stata seduta sull'asfalto? No, vero? Ecco. Allora non farlo neanche tu.

  7. Non farti fregare! Va bene socializzare, va bene essere gentili, ma i concerti pop restano in gran parte una competizione. Se hai la fortuna di arrivare in prima fila, appoggia entrambi i gomiti sulla transenna e non staccarli mai più da lì. Una delle tattiche più in voga tra i concertisti sgamati delle seconde file è appoggiare con nonchalanche una mano sulla transenna e fare perno su di essa per spintonarti da un lato e fregarti il posto nel momento di caos in cui le luci si abbassano e tutti si alzano in piedi. Socievole va bene, fesso no.
     
  8. MANGIA!!! Non importa che tu sia nervosa, emozionata o abbia lo stomaco chiuso: un calo di zuccheri può rovinarti in modo irrimediabile lo show che tanta fatica e tante aspettative ti è costato. Ne ho viste tante di ragazzine che non hanno toccato cibo prima di entrare nel palazzetto. Le ho viste anche tutte svenire.

  9. In estate, mai senza cappello! Fare la fila per un concerto in piena estate implica, nella maggior parte dei casi, dover trascorrere l'intera giornata sotto al sole, senza uno straccio di riparo. Come per il calo di zuccheri, anche un'insolazione può impedirti di assistere allo show che tanto attendi. Quindi, lascia a casa la vanità e pensa in modo prioritario alla tua protezione. Imprescindibili crema solare, molta acqua e un copricapo, sia esso un berretto col frontino o una maglia legata in testa tipo tuareg. Se hai un ombrello da utilizzare per creare un po' d'ombra, meglio ancora.

  10.                        

  11. Evita gli alcolici prima dello show o, per lo meno, non abusarne. Una birra non ha mai fatto male a nessuno, esagerare con le gradazioni sì. Cocktail e simili non vanno d'accordo con il caldo e le folle oceaniche, e tu non vuoi sentirti male, giusto? Senza contare che un concerto atteso a lungo vale la pena di essere assaporato in tutti i dettagli, a mente sobria. Poi, una volta usciti, ben vengano i festeggiamenti (a meno che tu non debba guidare)!

  12. Considera i laterali. Il sogno di ogni fan, si sa, è la Prima Fila- Centro. Se non ti riesce di raggiungerla, a volte è meglio un posto in prima fila ai lati che una seconda o terza fila centrale. Circola più aria, c'è più spazio per appoggiare bandiere e cappotti, ed è  – inspiegabilmente – una location molto meno contesa. Ricorda anche che il posto che raggiungi è sempre un po' più obliquo rispetto a quello che effettivamente avrai a concerto iniziato: una volta alzata, il movimento della folla ti sposterà inevitabilmente un po' più verso il microfono.

  13. Usa i cartelloni con moderazione. Non hai raggiunto la prima fila, ma il cartellone te lo sei portato dietro per qualcosa. Vuoi esibirlo, è chiaro. Vuoi che venga letto. Non c'è niente di male, se non fosse che dietro di te ci sono altri spettatori paganti. Il segreto per raggiungere il tuo obiettivo senza farti linciare? Oscuragli la visuale soltanto per pochi minuti, esibendo il cartellone in una o due occasioni puntuali anziché tenerlo alzato per l'intera durata del live.

  14. Lascia a casa la Reflex. Le velleità da fotografo sono comprensibili, ma ai concerti pop le macchine fotografiche “professionali” vengono requisite 9 volte su 10. Mica vorrai correre questo rischio, vero? Meglio accontentarsi dello smartphone e di una digitale compatta, che rovinarsi la serata per un tentativo!

  15. Vestiti in modo adeguato! L'abbigliamento da live meriterebbe un decalogo a sè (e non e detto che un giorno non lo faccia). Qui basti tenere a mente due concetti chiave: comodità e strati. Con le scarpe che indosserete dovrete correre, saltare, fare la pipì in bagni chimici e maleodoranti se non addirittura dietro ad un cespuglio. Senza contare che probabilmente vi pesteranno i piedi. Quindi sì alle scarpe basse, no a tacchi a spillo, sandali e infradito. Quanto al resto dell'outfit, ricordate che, in qualunque stagione ci si trovi, la temperatura raggiunta durante il concerto sarà di molto più alta che quella del prima e del dopo. Con il classico abbigliamento "a cipolla" andrete sul sicuro. 

  16. Non rischiare la vita per un trofeo! Dimentica, per un momento, che ti trovi ad un concerto. In qualunque altra circostanza, faresti a botte per un asciugamano sudato? Ti beccheresti un pugno nei denti per un pezzo di plastica triangolare? Se la risposta è no, perchè dovresti farlo ora? Se il cantante che segui lancia qualche oggetto dal palco e a prenderlo è la persona che ti sta accanto, lasciaglielo. Creare una rissa ti farà perdere almeno metà della canzone seguente, oltre a causarti lividi e insulti da parte di tutti coloro che ti circondano.

  17. Evita perdite di tempo inutili. Prima di entrare ad un concerto le borse vengono perquisite (o, quanto meno, tastate): lo sanno tutti, e lo sai anche tu. Quindi, apri la cerniera prima di raggiungere l'addetto alla security, così da agevolare il suo controllo e velocizzare l'entrata. Sconsigliati, per la stessa ragione, zainetti e borse extra-large.

  18.                           

  19. Goditi il momento! A tutti noi piace immortalare ogni istante del concerto, ma le foto che riguardiamo di più sono quelle che abbiamo scattato con gli amici prima di entrare. Quindi va bene scattare, va bene girare qualche video, ma l'attimo che vivi non si ripeterà: non sprecarlo tutto dietro ad uno schermo. Canta, balla, urla e sorridi: in fondo è per questo che sei qui.


venerdì 2 marzo 2012

I 10 motivi per ...andare all'estero.


Pochi giorni fa, un blogger espatriato in Belgio sceglieva di andare controcorrente. O, almeno, di mettere in guardia. "Tutti a parlare di Brain Drain" – diceva- tutti a dirci di scappare. Naaa. Dal canto suo, lui stilava un decalogo. “I dieci motivi per non andare all'estero”. Cioé, quelli che io ridurrei in sintesi al pane fatto in casa di mia madre, il basso costo della mozzarella, e la nostalgia quando arriva Natale. Traumatico e scioccante giá dal titolo, quindi, se passi le giornate a cercarti una via di fuga. Cosí l'ho letto. Scettica, ma in fondo speranzosa di trovarci dentro un'ancora per questa mia inquietudine. Ebbene, non é successo. Anzi, piuttosto é successo il contrario. Ché io forse sono un caso clinico, va bene, ma ognuno di quei punti m'ha fatto venire ancor piú voglia di Spagna. Di Spagna definitiva, intendo. O quantomeno prolungata, mica una vacanzina qua é lá. Voglia del posto in cui "poggio il cappello". In cui ho costruito i miei momenti felici. Del posto ove non ho radici , e che peró , in certo qualmodo, riesce pur sempre ad essermi casa.



Perció ho voluto rispondere, a quei dieci punti. Uno per uno. Senza astio né polemica. Senza antipatriottismo, senza bisogno di difendermi da me. Cosí, solo per dimostrare la relativitá stessa delle etichette opposte di pro e contro. Solo per capire se sarei davvero pronta a rifarlo di nuovo. Per sottoporvi, qui di seguito, un dialogo fittizio di opposte visioni. Buona lettura, allora, esterofili e non.



1. Lalingua. Altrove si parla un'altra lingua, che per quanto possiate parlare (o credere di parlare) bene, rimane comunque una lingua straniera. Se vi sentite pronti ad affrontare i primi colloqui o le prime avventure tra accenti maldestri e verbi mal coniugati, provate a pensarvi la prima settimana in un ospedale, perché qualcosa del genere può sempre succedere nelle coincidenze incaute della vita, e pensate a dover descrivere le parti del corpo che vi fanno male (quelle per cui non è facile risolvere tutto in un qui,,questa cosa) o i sintomi (vi brucia? vi preme? vi tira?). Certo oggi è tutto più facile, ma bisogna anche avere fortuna, siete pronti?

Ci sará un motivo, dico io, se amo cosí tanto giocare a Taboo. Adoro le sfide. Adoro mettermi alla prova. E adoro le perifrasi, persino. Non solo, ma ho imparato che é nelle circostanze estreme che riesco a dare – anche linguisticamente - il meglio di me. In effetti, sono anche piuttosto brava, a Taboo. Per cui, no: l'eventualitá di non sapere come descrivere un malessere non é un ostacolo sufficiente a fermarmi. Per niente. Tra l'altro, se sono in grado di parlare per spiegare di che si tratta, sono anche in grado di fare una telefonata. Non siamo (piú) le isole di cui parlava J.Donne: un amico madrelingua o un parente con internet a portata di mano ce l'abbiamo tutti, mi pare.

2. Lo shock culturale. Un altro paese è un altro paese, altri modi di fare, di essere, di vivere, e questi modi vi potrebbero sembrare tutti sbagliati, vittime dello shock culturale , quando si perdono i punti di riferimento e dopo un periodo estasiante da foglio bianco dovuto al cambio, vi potreste ritrovare in un umori grigi tra rifiuti e lamenti, rigettando il diverso che vi circonda all'estero. Ci vuole comprensione, autocritica e voglia di capire. Pronti?

Sbagliati?! Innanzitutto, se é questa la definizione che ti viene in mente di fronte a un modo di vivere diverso dal tuo, di sbagliato c'é solo chi ti guarda allo specchio. Puó essere strano. A volte snervante. Ma mai, assolutamente mai puó essere sbagliato. Se solo lo pensi, allora é davvero il caso che tu te ne torni a casa. Restaci, anche, per favore. Il senso di superioritá fa solo danni, ed é purtroppo, in molti campi, un nostro grande peccato nazionale. Quanto a me, beh...non mentiró: é abbastanza impossibile, all'inizio, non spazientirsi mai di fronte al ritardo cronico degli andalusi. Alla loro slow life, cosí distinta dalla frenesia del nord italia. A quel “no pasa nada” ripetuto come un mantra, di fronte a qualunque tipo di problema. Poi, peró, finisce che ti adatti. In fondo basta sapere che , se ti dicono, “ci vediamo alle quattro”, vi vedrete probabilmente alle 16.30. Basta non spaventarsi se, chiedendo indicazioni, ti dicono che un luogo “é lontanissimo da raggiungere a piedi”. Potrebbero volerci, in realtá, soltanto 15 minuti. Basta guardare dall'esterno, soprattutto, che é poi il grande vantaggio che l'essere emigranti dá. Finisce che le apprezzi, quelle abitudini, allora. Ché io guardo il modo di vivere degli Andalusi e penso che, cacchio, i cretini siamo noi. Perché loro, se t'incrociano per strada, ti sorridono. Anche senza conoscerti. Perché loro, nei bar, si mostrano affabili. Perché non corrono, si godono la vita. E, davanti al muso imbronciato di un milanese tipo, non riesco piú a capire perché noi ci ostiniamo a stressarci cosí.



 3. Le reti sociali. E non quelle virtuali, ma di amicizie e conoscenze reali. In un paese straniero le reti sociali sono da ricostruire totalmente e se non si hanno già degli amici sul posto,non sempre è facilissimo crearsi un proprio gruppo, soprattutto con i locali, già impegnati nelle proprie reti sociali come voi lo sareste in patria, o con i colleghi, spesso non coetanei e magari restii a rapporti extra-lavorativi. Corsi di lingua, vita mondana, coincidenze, possono aiutare, con un po' di fortuna, pazienza, voglia di conoscere. Siete pronti?

Ma quanto puó essere bello ricostruirsi da zero una rete sociale? Ne vogliamo parlare? Dimenticare i propri trascorsi, iniziare ad assommare tasselli di carattere ad un volto nuovo, ritrovare in se stessi una persona interessante a tramite di sguardi altrui. Gli amici di sempre, poi...beh, siamo nel ventunesimo secolo, ragazzi! Per loro, ci sono sempre skype e compagnie low cost.

 4. Il tuo paese, visto da fuori. Uscire e vedersi da fuori non è semplice e non sempre l'effetto fa piacere. Sgretolare convinzioni secolari, punti fermi figli di educazione nazionale o propaganda unilaterale, può lasciare un senso di smarrimento ma anche difesa, avendo l'impressione che un attacco, una critica o un commento non siano diretti al paese ma a voi. Ci saranno differenze tra il paese reale e quello percepito e non reagire sempre a spada tratta non è facile. Siete pronti a voler conoscere un altro paese, il vostro?


 5. Gli stereotipi. Ritrovarsi a rappresentare l'Italia tutta, tu, in una sola persona, in conversazioni o rapporti con stranieri, significa anche avere una certa responsabilità, nel confermare o contraddire gli stereotipi  con cui gli italiani sono visti dagli occhi altrui e diventare una finestra su un paese che attraverso voi non sarà sicuramente pizza, sole e mandolino, ma non sarà neanche quello reale, perché voi non siete l'Italia tutta né probabilmente la conoscete tutta , voi siete voi, solo che gli altri spesso non lo sanno e vi confondono con un italiano. Siete pronti anche voi a muovere la testa e non solo il corpo?

Non ho mai percepito le critiche al mio Paese come attacchi personali, forse perché sono sempre stata io la prima ( e spesso l'unica ) a farlo. All'estero, vedo gli italiani da fuori e generalmente scorgo gente che dá troppa importanza alle apparenze. A come uno si veste, ai locali che uno frequenta. Gli italiani, in un ambiente multiculturale festivo, sono obiettivamente gli unici che, invece di pensare a divertirsi, stanno in disparte a criticare gli altri. Guarda quella com'é grassa, guarda l'altra come s'é conciata, e via dicendo. Gli italiani sono gli unici che, quando ordinano qualcosa al ristorante, chiedono il piatto “ma per favore senza quell'ingrediente”, “e magari con l'aggiunta di quell'altro ingrediente”, Gli unici che,in discoteca, aspettano che in pista ci sia giá qualcun altro prima di mettersi a ballare. Invece, checché alcuni pensino, in Spagna ci amano parecchio. O forse é stata solo la mia esperienza ad essere particolarmente fortunata, non lo so. Ma resta il fatto che, mentre io criticavo alcuni atteggiamenti di cui – finché non emigri – non t'accorgi, i miei amici locali lodavano le nostre cittá. Le nostre spiagge. La nostra storia. Per le spagnole, poi, quello dell'uomo italiano é un mito ancora piuttosto radicato: dicono che i nostri connazionali siano bellissimi, spiritosi, molto sexy.

Se poi parliamo di critiche a livello politico o sportivo, beh...quelli son fatti di attualitá di cui discutere puó essere anche bello. Ma sono confronti, mai accuse. E sono parte integrante della bellezza di uno scambio culturale.

6. Il lamento. Potreste trasformarvi in un lamento continuo, perché il clima non è ideale, perché i trasporti non sono come immaginati, perché il lavoro è un compromesso, perché il cibo non vi piace, perché non c'è mamma a cucinarvi e perché fuori anche le piccole cose, quelle una volta etichettate come insignificanti, possono avere un peso nella bilancia quotidiana quando si rompono gli schemi e con essi le abitudini e bisogna ricostruire un po' tutto. E se il lamento non viene da voi, potrebbe venire da vostri connazionali all'estero. Ci vuole resistenza, pazienza e serenità. Pronti?

Mai stata un lamento continuo, in Spagna. Nemmeno nei momenti succitati di nostalgia natalizia. Mai. Piuttosto, ero un concentrato di entusiasmo che qui non riesco – almeno, non in quel modo – ad essere piú. Non so di che si parli, penso dipenda tutto da quanto uno adori la propria destinazione.

 7. I ritorni a casa. Tornando a casa ci sarà una voce che prima non esisteva nella testa, quella del confronto. Tutto sarà un confronto, nuovo, perché finalmente si ha un termine di paragone. I ritorni a casa, insomma, non saranno mai più gli stessi, rimettendo in discussione molto di quello che precedentemente rappresentava il vostro intorno abituale in un equilibrio oramai rotto. E le vacanze non saranno mai vacanze. Pronti a non sentirvi a vostro agio a casa?

Ecco, questo sí che é un motivo valido per non partire, invece. La depressione post-eramus, il mal di Spagna, non lo raccomanderei nemmeno al mio peggior nemico. Dopo tre anni, non sono ancora riuscita ad essere la persona che ero prima di partire. Non sono piú riuscita ad integrarmi del tutto nel mio gruppo di amici. Il gap di interessi e tipo di vita che si viene a creare tra ció che hai lasciato e ció che hai trovato é talmente incolmabile da essere letale. Se non fossi mai andata via, oggi non sari cosí disadattata nella mia perenne nostalgia. Peró, altrettanto ugualmente, oggi sarei meno ricca dentro. Cucinerei peggio. Avrei meno spirito d'adattamento, sarei meno indipendente e vorse non viaggerei cosí spesso da sola. Il che, senza dubbio, farebbe di me una persona peggiore.



 8. I commenti. Diventare  italiano all'estero significa anche portarsi dietro una certa lista di etichette, a cui bene o male ci si può abituare con risposte pronte o spallucce veloci. Ci sarà sempre il genio di turno a commentarvi come vigliacco, perché è facile partire e lasciare tutto, è facile criticare il proprio paese da fuori, perché (d'improvviso) non si conosce più il paese non vivendoci realmente o a denigrare il paese da cui venite ed una  qualitá di vita che non può, in nessun modo, essere superiore a quella italiana. E tante altre storielle che ritroverete puntualmente tra ritorni e chat. Sinceramente, chi ve lo fa fare?

Proprio poco fa ho letto sui social networks un commento in cui si diceva che chi vuole andar via é uno sfigato, perché non apprezza ció che ha. Puó essere. Ma continuo a mettere su di una bilancia la mia vita di qui e quella che avevo (o che potrei riavere) nella mia seconda patria. E, per quanto dirlo mi dispiaccia, vi giuro che non regge il paragone. A legarmi a questo posto c'é la famiglia, che é moltissimo, ma non c'é nient'altro. Potrei dire gli amici, ma avendo viaggiato tanto i miei amici – quelli veri – sono sparsi per l'Italia e per il mondo. Qui, nella cittá in cui vivo, me ne sono rimasti pochi. E peraltro, tra una cosa e l'altra, finisce che non ci si vede quasi mai. Tra l'altro, a livello puramente numerico, forse ne ho addirittura piú in Spagna che qui. E poi, cos'ha da offrirmi, obiettivamente, questo posto? Contratti a tempo determinato, stage gratuiti con un rimborso spese di trecento euro al mese, affitti esagerati, un albo obsoleto e anacronistico che mi impedisce di esercitare la professione per cui mi sono laureata. Ora la Spagna non é l'esempio migliore in questo senso, lo so. Ed é per questo che ripongo ogni speranza nelle borse di studio. Ma, in generale, per che motivo uno non dovrebbe aspirare ad avere di piú?

Mollare tutto e andarsene é fare un salto nel vuoto. Non riesco a capire come un salto nel vuota possa non essere visto come coraggio, anziché codardia.

 9. Le mancanze. Ci sarà sempre quel momento, quello in cui manca una piazza, una panchina, il sorriso di un amico, la carezza della famiglia o il piatto della nonna, è il problema dell'emigrante e con esso la voglia di ritornare, il rimorso di non aver fatto quello anziché questo. E ancora, ci sarà la mancanza di quel passato comunedi voi verso gli altri e viceversa, quello che solo una cultura comune può costruire e che non troverete in amici stranieri e potrebbe portare rapporti sociali non più lontano di un certo limite. Ve la sentite?

La nostalgia é una convivenza necessaria. Ma anche lo stato d'animo che meglio ti ricorda quanto tu sia stata felice. E, per riflesso, quanto tu in fondo possa esserlo ancora. La nostalgia é sensazione agrodolce di ferite ovattate. Terribile a tratti. Peró, non so voi: io la preferisco al rimorso per non aver cercato la mia strada.

10. Il limbo. Partire é un po' morire, dicono, e infatti qualcosa muore mentre altro nasce. Partire significa perdere qualcosa della propria nazionalità e guadagnarne un'altra, di cosa, che non ha nazionalità, o le ha tutte. Diventare uno straniero ovunque può però avere effetti collaterali, come non sentir nessun luogo proprio, sentirsi a disagio nell'intorno natio o cadere nella voglia di voler cambiar luogo ogni anno, continuamente, alla ricerca di se stessi quando il signor Se stessi è con voi, basta solo fermarsi ed ascoltarlo. Sicuri di voler iniziare?

Amen. Non c'é veritá piú assoluta di questa. Io amo essere una cittadina del mondo, peró. E allora sí...credo che il verdetto sia arrivato. Credo che mi piacerebbe proprio, ri-cominciare.