venerdì 9 dicembre 2011

Campovolo e lacrime in 3D.

Milleuno comma bis: mai far vedere documentari di concerti ad una pseudo-groupie in crisi di astinenza. In barba alle mie stesse regole, ieri sera ho scelto Campovolo. Non l'avevo mai visto, un film in 3D, prima. Iniziazione all'insegna delle stelle filanti. Mano che si allunga come a prenderle, lieve frustrazione nella sala vuota di un cinema. Una di quelle situazioni, insomma, che ricordano uscite con Roberta nell'atmosfera pre-natalizia di una Malaga adesso lontana. Uno di quei momenti in cui ti senti comunque ricca protagonista di cortometraggi in bianco e nero.


"Meglio tardi che mai", dirà qualcuno. Smentisco: meglio mai. Almeno se penso alle controindicazioni. Ché voi forse non lo sapete, cosa accidenti possa voler dire infilare occhiali sopra occhiali, se hai il naso troppo magro per sopportarne il peso. Sono uscita da lì con un solco rosso bordeaux a dividermi in due parti nette il viso. Giuro. Mi fa ancora un po' male. Per non parlare del costante scivolamento dei miei occhiali da vista. Va da sé: sottostando a quelli 3D, inducono a continui sfasamenti visivi. Conseguenza: contorni che si sdoppiano. Affaticamento del nervo ottico. Antiestetico sfondo rosaceo alla pupilla, formatosi dopo novanta minuti appena. Ma come accidenti avranno fatto a sopravvivere tutti quanti, alle quattro ore di avatar? Non ti viene il mal di mare? Mah. Forse son strana io. Resta il fatto che, una volta a casa, ogni minimo rumore mi si amplifica nel cervello. Accendere la luce è il peggiore dei delitti. Giuro che un mal di testa simile io non lo ricordavo dai tempi delle feste erasmus. Quelle piú alcoliche, peraltro. L'inferno dev'essere molto simile al protrarsi perenne di tale condizione.

Comunque. Adesso penserete che io sia qui per lamentarmi, e invece non è vero. Chè Ligabue, già solo a sentirlo parlare, m'evoca odore di terra e profonda tranquillità. E', a conti fatti, la stessa sorta di nostalgica quiete casalinga che provo nel deja vù di portici e di giallo, di chiese a mattoncini e strade strette. Tra nebbia e locali a cui dai del tu. Sospiro. Ligabue è la mia Emilia. Emilia adorata, seppur sia senza mare. Non m'ero resa conto di quanto mi mancasse, cavolo. Sono ricordi formato canzoni. Ancora una volta, protetti dal visino stupito della Luna Piena. Quella Luna – la stessa – mentre centoventimila persone affollavano Campovolo, stava realizzando i miei sogni in terra spagnola. Era il picco di qualcosa che da lì, mi ci sono fissata, non poteva far altro che decrescere. E forse è per questo che adesso avrei più che mai bisogno di un messaggio. Di un conforto, un appiglio a cui potermi aggrappare. Una ragione per rendermi conto, ancora una volta, che non é cosí. Poi non so cos'ho, accidenti: sono tre giorni che piango per ogni cazzata. Tristezza, rabbia, felicità, emozione, frustrazione, invidia...è come se nessun sentimento fosse più in grado di restare chiuso dentro me. Sono un pianto continuo, insopportabile. L'altro giorno ho stentato a trattenere le lacrime persino perché non mi riusciva al primo colpo un passo nuovo di flamenco. E ho detto tutto. Cioé, vi prego, abbattetemi.



Ma poi saranno gli ormoni. Sarà che c'è pure oggi, questa benedetta Luna Piena. Ed è da quel giorno, dal giorno di Campovolo, che persino il ritornello dei Modà per me ha cambiato radicalmente significato.



E sì, sono melensa peggio di una ragazzina. Ma in fondo è identificarsi in una canzone il primo passo per fartela piacere. Se Ligabue riesce a convocare tutta quella gente in uno stesso posto; gente che dichiara –come me- di essere parte di qualcosa...beh, io credo sia perchè ha il dono di riuscire a trasformare le loro storie in un'ensemble di musica e parole. Sapete, una volta qualcuno disse, riferendosi a pop e rock, che “la perfezione, in musica, è sinonimo di freddezza”. Ecco, io sono d'accordo. Perchè ci sono generi in cui è più importante incastrare la personalità in un tratto distintivo, in un riff di chitarre, in una voce immediatamente riconoscibile. Ci sono generi, soprattutto, da cui non ci aspettiamo altro che un riflesso di quelli che siamo. Generi specchio, dentro cui avere un brivido. Colonne sonore al nostro personale videoclip.

Ho scelto di andare a vedere Campovolo perchè, malgrado il mal di testa, un concerto del Liga era un'esperienza che da anni volevo fare. Dover star zitti in una sala vuota, tuttavia, mi risulta comunque un bel po' contronatura. Mi tappo la bocca con le mani, mentre a tutto volume suona “Quella che non sei”. 


2 commenti:

  1. salve o mia soave e dolcissima Groupye(ufff..come si scrive?)...ti capisco...ah se ti capisco...solo chi è freddo,insensibile e cinico,non può capire cosa sia questa lieve malinconia di mattoncini e portici...lune piene e accampamenti di giorni.....sorridi,all'avvicinarsi del tuo prox conci in terra iberica!:-)non credo manchi molto,no?
    besos kit

    RispondiElimina
  2. Manca comunque sempre troppo! :) Comunque grazie Kit!!! :D

    RispondiElimina