lunedì 27 agosto 2012

Quadri Parigini*


Venti. Ho comprato una graziosa confezione da venti cerotti waterproof in una piccola farmacia del centro. A seguirmi, un'inglese zoppicante con le scarpe più sbagliate delle mie. Ebbene, due giorni dopo, quella confezione era già vuota.

E' che lo dicono tutti: una città si conosce camminando. Solo che sopravvaluto sempre lo stato di resistenza dei miei piedi.


Comunque. Non le ho ancora del tutto messe a fuoco, le mie sensazioni su Parigi. Certo, ho dormito su un aereo per tutta la durata del viaggio di ritorno; sui sedili posteriori di un'auto nel tragitto Venezia-Monfalcone; e poi per altre dodici ore filate sul letto di casa mia. Eppure pare ancora non basti a ripristinare del tutto la lucidezza mentale. Troppe immagini e lingue a far baccano nel cervello provocano un senso di immotivato jet lag.

Di sicuro posso dirvi che avere un'amica del posto ti conduce ad assaporare itinerari dal gusto parigino. Il che esclude in una vaga smorfia di disgusto l'edificio dal taglio moderno del Pompidou, il cui azzardo avevo, invece, a suo tempo apprezzato non poco. E che però ti porta a scoprire – più che a ritrovare – i due volti di una città impregnata in ogni angolo di storia e poesia. Tutti i tipi di poesia, a dire il vero, tranne quella che a me sta forse più a cuore. Perchè è l'unico appello, l'unica piccola delusione: dove diavolo è finito il mio Baudelaire? Rilegato fuori dal Pantheon, dalle citazioni sulle cartoline, finanche dai magneti, dannazione! Cioè, ammetto che sarebbe stato pretendere troppo trovarne uno col mio motto personale sui sogni. Ma almeno un accenno piccolissimo a qualche suo aforismo me lo sarei aspettato, tra il Piccolo Principe e le massime di Voltaire. Se non altro la riflessione per cui chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere. Quella ai turisti sarebbe piaciuta! Pover'uomo.

Ma dicevo delle due facce. Una é quella della Parigi da cartolina, con gli Champs Elisées, la folla colorata sui gradini del Sacre Coer, e la Tour Eiffel che alle 10 in punto regala uno spettacolo di luci glitterate. E' il simbolo sovrasfruttato dal marketing dei souvenir. Eppure, anche circondato da pullman, flash, coppie che si baciano platealmente e piedi doloranti, riesce a commuovere di una strana magia. E poi c'è l'altra, la Parigi vera, vissuta. Ed è stata questa, forse, la più autentica sorpresa. Un'espressione di stupore che colpisce cenando a Bercy. Dove le case tutte uguali, in mattoncini marron chiaro, incorniciano un vialetto ombreggiato da teli colorati. Ai bordi, i gazebo dei ristoranti all'aperto, sovraffollati già alle sette da esclusive parlate francesi. Attorno, i negozietti curati, ben arredati, spaziano in un identico amore per il dettaglio dalla moda ai dischi, passando per il cibo per animali. E' stato lì che ho scoperto cosa sono davvero le crepes. Con la pasta più dura, più croccante, quasi fosse fritta. Con un menù di varie pagine a raccoglierne una varietà che manco le più fornite tra le nostre pizzerie. E gli ingredienti che trascendono il ripieno, per occupare di gusto anche il sopra e il sotto di un triangolo calorico di goduria pura. Un po' come il croque monsieur emerso allegramente dal forno dell'appartamento di Céline. La Parigi più autentica è la chiusura ai quattro lati di una piazza di cui non ricordo il nome, a due passi dalla casa natale di Victor Hugo. Lì, sotto i portici di palazzoni antichi, i locali affollano bistrò raffinatissimi, al suono perenne di qualche musicista di strada. Al centro, un piccolo giardino a innaffiare la strada di fiori.



E poi, nel mezzo, c'è stata l'escursione a Versailles. L'overdose di turisti russi che ti pestano i piedi e poi non chiedono scusa. Un palazzo visto mille volte in foto, che ricorda un videogioco che facevo con mio padre quando avevo forse otto anni appena. E in mezzo, piacevole scoperta, le installazioni d'arte contemporanea di un qualche artista vagamente schizzato. Arte che, in un museo, mi sarebbe sembrata del tutto priva di senso, di talento, di emozione. Ma che, invece, proprio lì trova il suo habitat naturale. Lì, dove lo sfarzo del Re Sole si sposa all'eccentricità di un elicottero rosa in piume e swaroski. Dove le gallerie che hanno visto sfilare anni di storia ospitano i tentacoli di un polipo gigante. E due enormi decolletè d'argento inseriscono lo chic d'epoca attuale nella sala degli specchi, per la vanità d'allora.

Nel mezzo ci sono state le casette da fiaba del dominio di Maria Antonietta, a cui – a differenza del palazzo più noto – pare non sia mai preparato nessuno. Ci sono tetti in paglia. Fiori d'un rosa sgargiante. Caprette, maiali e cinghiali nelle loro fattorie. E un faro bellissimo, di quelli che t'aspetteresti in un cartone animato, in una scena di rapunzel, o in un sogno un po' più fuori dal normale.

Sì, Parigi me la ricordavo diversa, questa è la mia principale sensazione. Nel capodanno dei miei tredici anni era gonfia di pioggia e frastuono. Colorata nelle vetrine, grigio-cupa fuori. Invece l'ho riscoperta come un puzzle di colori. Un insieme eterogeneo e schizofrenoico di pezzi a comporre un mosaico che può solo entusiasmare. E, in tutto questo, a rimanere intatto, c'è il mio profondo amore verso la Defense. Il suo gioco moderno di riflessi e cristallo mi conquistava allora nonostante il vento, e torna a farlo adesso anche in sua virtù. Perchè la Defense è un mondo astratto in cui il presente regna. Eppure non può farlo senza rispecchiare il panorama di ieri. La Defense è l'arco perfettamente quadrato che si allinea a quello di Trionfo, in un'immaginaria congiunzione verticale che collega le epoche in un quadro generale. Credo sia per questo. Credo sia un po' questo, il riassunto di Parigi.



Che poi è proprio alla Defense che ho scoperto l'esistenza di un profumo che si chiama come me. 


L'ho cercato, al ritorno, in ogni singola profumeria dell'areoporto d'Orly. Niente. Frustrata dalla sua perenne assenza, ho finito con l'afferrare quasi controvoglia una boccetta tester di Angel for Man. L'ho annusata senza spruzzarmela addosso, come una groupie isterica in crisi d'astinenza.

Dicono che l'olfatto delle donne sia più sviluppato di quello maschile. Dicono che abbia a che vedere con i nostri impulsi più primitivi. Dicono. Io so soltanto che l'olfatto fa viaggare nel tempo. So solo che quel profumo restituisce tridimensionalità a tutte le foto. E la violenza con cui m'hanno assalita le immagini degli abbracci, dei concerti, la nitidezza con cui ho riascoltato il suono della sua voce semplicemente aprendo quella bottiglietta di profumo...ecco, questo mi ha stordita. Ma forse è stato giusto così. Perchè c'è una parete dedicata al tour di Dani Martín, nell'appartamento di Celine. Perché il videoclip di Mira la vida é stato ambientato proprio tra quelle strade. E allora una parte di Parigi, della sua essenza, dei suoi colori, forse é impregnata anche della musica che m'accompagna la vita. E, con lei, di tutte le cose che giá mancano un po'.








* Se hai colto la citazione del titolo, grazie. Anche per essere d'accordo con me sul fatto dei magneti, in effetti. Assenzio? 



2 commenti:

  1. ahhhhh BAUDELAIRE(quadri parigini)quanto l'ho amato!!!!e se non ricordo male c'è una stazione della metro con anche le sue citazioni....ma tornando al viaggio...alla scoperta inedita di Parigi,fatta con una parigina..è la cosa migliore per conoscere e amare una città nel suo lato vero e non turistico...i locali...il cibo...vuoi mettere?io non sono di quelle viaggiatrici che in ogni luogo del mondo cercano i ristoranti italiani e la pizza...quindi ti invidio!
    il profumo?ottima idea per fartelo regalare a Natale!!!!:-)
    besitos kit

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  2. Giá...peró dovrei annusarlo, prima, altrimenti non sapró mai se mi piace! ahahaha

    Ps: stazione del metro con le citazioni di Baudelaire?! Dove?! Quando?! Perché?!

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