domenica 14 dicembre 2014

Riflessioni a caldo al ritorno da Firenze

Le cose, quando le hai attese a lungo, hanno il brutto vizio di sembrarti irreali. Rimescolano i succhi gastrici, rendono le fasi REM troppo brevi e colorate in tinte accese. E se ne vanno, poi. Sempre toppo in fretta. Lasciandoti negli occhi gli aghi delle lacrime che proprio non vuoi far cadere giú. Forse mi odiano, le mie compagne di avventura. Ci ho pensato ieri, per un unico attimo, mentre fissavo il palco ancora vuoto. Luci blu. Perché sono una rompiballe, io, parliamoci chiaro. Cori impazienti, brusio. La fissazione per le foto, la condivisione sui social, i video documentativi che prevedono intrusioni davanti ad uno specchio e primi piani sul mascara. “Fuori, Fuori!”. Scusatemi, ragazze, davvero. L'ho detto, forse troppo poco e a bassa voce. É che sento questo assurdo bisogno di catturare i momenti belli, se non ho accanto un foglio su cui trasformarli in parole. Specialmente se so che nemmeno con le parole, tutto sommato, ci riuscirei.


E poi, fuori da un capannone in un luogo sperduto di Firenze, mi sorprendo a sperare che niente di questo cambi. Che non diventi mai un'altra delusione da mandare avanti sull'iPod. Come se la felicitá avesse una data di scadenza. Come se fosse un piatto buonissimo ma avariato che mangi chiedendoti se poi ti fará male. Paranoie, solo questo. Perché le cose, quando le attendi a lungo, te ne lasciano addosso in quantitá industriale.

Non lo recensiró, il concerto de Il Cile a Firenze. L'entusiasmo é ancora troppo fresco per non prendere in prestito frasi di altre canzoni. Spagnole, questa volta. Dei Sidonie. “Mi escono rose dalla bocca quando mi chiedono di te”, dicevano in “por ti”. E recensire dovrebbe presumere una minima parvenza di luciditá, mica fiori. Quindi, no. Non diró di scalette, testi, presenza scenica e demografia del pubblico. Che lui, secondo me, ha un talento enorme, in fondo lo sapete giá. Invece parleró di ció che adoro. Tipo la mia maglia zuppa di sudore. La piega dei capelli che sparisce in una massa informe mentre per una volta me ne infischio. Diró del Resto-Della-Vita che scompare in un istante mentre balli, salti e canti a squarciagola. Racconteró di quanto é stato bello e a tratti consolante immaginare Bruxelles davanti ad un albero di Natale. Di come continui ad adorare la gratitudine sorpresa e un po' commossa di Lorenzo quando un locale intero intona Cemento Armato. E, ancora, del dopo. Dei commenti, delle foto, delle risate. Dei "vi ho cercate per tutto il concerto!", di un verso di “bruceró per te” che ora (accidenti!) m'é rimasto incollato in testa. Del barista e dei tentativi di scroccare almeno un altro shot. Di quanto sia inevitabile pensare al mio primo concerto di questo tizio, a Treviso, quando per l'imbarazzo quasi non riuscivo a parlare e scrivevo riflessioni fin troppo pedanti sul web. Poi guardarmi adesso, e scoprirmi a sorridere. Quante cose sono cambiate da allora! Quante cose sono successe! Quante persone ho...
Mi fermo. Un tweet di Marta mi ruba il concetto prima che possa darci io stessa espressione.

Se devo riassumere il weekend a Firenze, lo rivedo nell'unico scatto che non sarei mai riuscita a fare: quattro amiche, abbracciate, che cantano assieme i brani che le hanno fatte conoscere. Sa di film da adolescenti, eppure é successo davvero. Perché la musica puó creare amicizie splendide, e le amicizie splendide generano momenti ancora migliori. Constatarlo, chissá perché, mi sorprende sempre un po'. 

Cosí rompo le balle con le foto, perché cerco un modo qualsiasi per non scordarlo mai.




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