sabato 13 agosto 2016

La fase dei tori.

Mi sveglio di soprassalto, il cuore a mille all'ora. Dietro allo strato sottile del lenzuolo rosso, staccare le immagini dalla testa vuol dire incollarle all'oscurità. Fuori è un silenzio surrealmente completo. Giusto una civetta, in lontananza, fischia il suo lamento alla notte. L'ascolto per qualche istante, mentre il pensiero fa in fretta a prender forma: ci risiamo. Questa è, di nuovo, la fase dei tori.

É che il mio subconscio, se si tratta di paure, diventa banale da far schifo. Un'accozzaglia di stereotipi, di nudità in pubblico, di impossibilità di urlare, persino di spari sulle tempie mentre l'impotenza del non fatto ti scorre davanti insieme alla vita. Così, dalla vigilia del mio Erasmus, partire per la Spagna significa essere inseguita dai tori. 





Non ci vuole Freud per capire che quei bestioni sono molto più di una ferma condanna alle corride. Sono tutte le mie ansie, invece. Nere, pelose e pronte ad incornarmi nei tonfi di vuoto al cuore a cui nei dormiveglia non so più rinunciare. L'orologio, e sarà quello, fa tic tac. 

Il punto è che di giorno sembra tutto più facile. Sotto il sole di un Agosto senz'afa, trasferirsi a Málaga è inseguire un sogno affacciata a una finestra vista mare. Mi sento coraggiosa, determinata, pronta a rispondere con frasi ormai precotte ad ogni singolo "cosa farai là?". Poi però, il sole inizia la sua lenta discesa. Le voci attorno si diradano. E prima di dormire, sola con me stessa, i punti di domanda m'impiccano al sudore. 

Devo nasconderli. Far finta di niente. Perchè, se appena mostro agli altri quella debolezza, ci sarà qualcuno pronto a dirmi "non partire". E col cazzo, scusate il termine. Col cazzo che rinuncio proprio ora! Per tranquillizzarmi, ripenso a com'era nel duemilaotto. Anche allora c'erano i tori - anzi, ce n'erano di più. C'erano valige troppo grandi e comunque troppo piene. C'erano lacrime su un volo aereo. C'era tutta la solennità e l'angoscia del non sapere, mentre mi chiedevo anche allora se non fossi del tutto impazzita. Mi torna in mente - e chissà perchè, poi - il momento esatto in cui, nel patio di Via D'Azeglio, mi sono voltata per l'ultima volta in direzione dell'aula in cui facevamo lezione. Ho guardato con lei persone, edifici e passato sfocarsi davanti agli occhi e intuito in qualche modo che quando li avrei rivisti non sarebbero stati uguali. O, meglio, che non lo sarei stata io. Poi ho ruotato l'orizzonte con la testa. E, seduta su una panchina, ho cercato di calmarmi prima di incontrare Daniela.

Quell'angoscia, nel duemilaotto, si è rivelata la necessaria premessa al periodo migliore di tutta la mia vita. Non vuol dire (ricordo anche questo) che sia stato facile. Ci sono stati litigi in corridoio, nostalgie di casa nel periodo di Natale, ricerche dell'appartamento perfetto che, con la prenotazione in ostello in fase di scadenza, sembravano destinate al fallimento più totale. Mi mancavano la mozzarella, gli amici, i panini fatti in casa da mia madre. Ma nonostante questo, e in mezzo a questo, ho riscoperto tra tutte la mia me migliore.

Non c'è motivo, adesso, per pensare che stavolta sarà diverso. Quello che so è che ogni grande cambiamento esige la sua dose di paura, e non posso pensare - a quasi trendadue anni - di crogiolarmi ancora a lungo nella routine del paesello in cui sono nata. Sotto il tetto dei miei genitori. Nell'unico scenario che tra tante possibilità avevo scartato dal principio. So che devo andare, provare, ritrovarmi. Solo che adesso è giorno, dirlo è facile.

Di notte - Dio, Cilembrini, quant'avevi ragione! - "c'è poco da ridere". Di notte salta fuori che, a differenza del duemilaotto, sarò sola. Sull'aereo, certo, ma anche mentre affronto tutto questo. Non c'è un "gruppo di eletti" che ha scelto il mio stesso destino negli incontri pre-partenza in Università. Nessuno che possa condividere, a portata di telefono o al di là della strada, tutta la profonda attesa - ed impazienza, e ansia, e stress - del passo che compirò tra un mese.

Di notte, sotto il sottile strato del mio lenzuolo rosso, i pensieri si accartocciano nelle forme più strane. Mi proiettano davanti il momento esatto in cui dovrò destreggiarmi tra le visite degli appartamenti, il wifi per continuare a lavorare nel frattempo, le sveglie all'alba per conciliare le due cose, il cellulare con il numero spagnolo, le file alla comisaría general per il NIE, il conto a La Caixa per pagare le bollette, il curriculum da tradurre, le spedizioni all'IKEA, le troppe cose da comprare.

E poi ci sono i dettagli stupidi. Tipo i libri in italiano che dovrò ordinare con Amazon. La settima stagione di The Good Wife che, con doppiaggio spagnolo, non mi piace mica. La mia gatta che fa le fusa quando viene a svegliarmi al mattino. X Factor 10. I concerti di Cremonini. 

La civetta fischia, fuori, ed io mi rendo conto di essere stupida. Calmati, Ilaria, dannazione. Tu appartieni a Málaga, Málaga appartiene a te. Il sole sorgerà, e tutto sarà di nuovo facile.

Nel frattempo dovrai soltanto correre, e fuggire ancora una volta ai tori. 



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