venerdì 30 marzo 2018

Tu chiamala, se vuoi, vocazione.

"Scusate, ragazze, sapete dirmi se il Paseo Marítimo Antonio Banderas è vicino?"

"Il Paseo...è tipo alla fine del muelle, no?"
"Sì, mi pare, non.."

Entro a gamba tesa nella conversazione, preda di un impulso superiore alle mie forze. 
Immagini di tramonti e capelli spettinati. E lune obese. E gelati. E case in costruzione. Richiamo salmastro della parola "casa". 


"No, guarda è dalle parti di Huelin, la zona Ovest della città."
Le ragazzine al mio fianco sbottano in un "ahhh, è vero". Io alzo gli occhi al cielo. Meno male che, dall'accento, quelle autoctone dovrebbero essere loro. Ay, Dios.
"Non proprio vicinissimo ma puoi arrivarci a piedi in mezz'ora, in auto saranno 15 minuti". 
"Grazie mille! Quindi forse ce la facciamo a fare delle riprese, no?"

La giornalista riccia, ormai, non parla più con me. Si è rivolta a guardare il cameraman, intento a riporre l'attrezzatura tra alzate di spalle e dialoghi veloci che non riesco a percepire. 

Qualcun altro, alle sue spalle, sta filmando per la settima volta l'introduzione di una perfezionista mora. Un telefono squilla. "Siamo davanti al Teatro Cervantes" - ormai la so a memoria - "Per la prima mondiale di Genius: Picasso, l'acclamata serie di Ron Howard..."

Potrei pure andarmene, in effetti. Ho visto Antonio Banderas, ancora inguardabilmente calvo per quelle che presumo esigenze di copione. Gli ero talmente vicina da sentire quello che diceva fuori dal microfono. Attorno pochissima gente, a parte i vip e gli addetti ai lavori. D'altra parte si erano guardati bene dal renderla pubblica, l'ora dell'evento. In pochi, oltre a me, sono stati abbastanza abili nell'arte dello stalking dal reperirla in una comunicazione interna sul sito del Comune. 



Giusto giusto le ragazzine sperdute. Qualche passante che non capisce bene che succede. "Is this a Premiere?" E una signora malagueña che urla a squarciagola "qué bien hablas, hijo, qué bien hablas!" 

Potrei andarmene, davvero. Dovrei. La brezza che inizia a spirare è ancora troppo fresca per i miei vestiti. Eppure c'è una forza invisibile che mi inchioda all'asfalto e mi fa brillare gli occhi nel sospiro della vita che vorrei.

Perchè io, al photocall, guardavo dall'altra parte. Chissenefrega dei vip, al diavolo l'abito lungo della protagonista, o quella giacca improponibile a foglio di giornale. A me interessavano i flash dei reporter. I "guarda di qua". I click di quando cambi obiettivo. Io ero affascinata dai pass attaccati alle camice. Dai registratori tra le mani. Da quel correre veloci a bordo del furgoncino - e dritti in redazione, presto, ché c'è un pezzo da far uscire entro domani. 



Málaga, per un giorno, é stata al centro degli sguardi di tutto il mondo. C'era glamour. Feste in hotel lussuosi. C'erano lingue diverse per lo stesso contenuto nei tweet. Ed é stato in mezzo a quel vortice che, una volta in più, mi sono ricordata di una vecchia passione.

Dicono che quello del giornalista sia uno dei cinque lavori più stressanti al mondo. Eppure, Dio, cosa darei per poterlo esercitare! Dico sul serio. Dico pagata. Dico per viverci.
Intendiamoci: mi piace gestire account social, ma poche cose mi fanno stare bene come l'adrenalina di dare una notizia prima degli altri. Lo scrupolo di verificare le fonti. La tecnica di eliminare il superfluo per far stare un pezzo nel giusto numero di battute. 

Ero seria, l'altro giorno, quando nel fuori onda di una trasmissione radiofonica dicevo che adoro le interviste. Perchè sono curiosa per natura. Perchè ti permettono di scoprire di più su altre persone ed altri mondi, magari lontani anni luce da te.

Entrare nelle redazioni di Málaga col curriculum in mano, sulla scia di quelle sensazioni, mi é sembrata come sempre una perdita di tempo. Ma respiravo nel va e vieni degli ascensori, nei computer accesi, nell'informalità cameratistica dei tizi con gli occhiali, l'odore di un mondo a cui sento di appartenere. É stato - non lo so - come tornare a casa. 

Allora è questa la vocazione? Non ne ho idea. E poi, che sostantivo estremo "vocazione"! Però Martedì sera sono stata ospite di Radio Stonata per commentare gli outfit dei videoclip dell'Eurofestival (Jo Squillo era impegnata). Mi sono presentata dicendo "sono giornalista" ed immediatamente mi sono sentita più sicura di me. Come se, nonostante tutti gli anni di esperienza, dire "faccio la social media manager" mi facesse ancora sentire un'imbrogliona.  Lo "faccio", appunto. Non lo "sono". Ho avvertito un leggerissimo, stupidissimo brivido: come se, finalmente, mi fossi ritrovata. 


A proposito: se volete farvi quattro risate, potete ascoltare il podcast qui. 






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