mercoledì 2 dicembre 2020

Lezioni di scrittura da Stephen King

Il bello di avere un blog personale é che ogni tanto ti puoi permettere anche di andare fuori tema. Perciò vi chiedo scusa, se siete approdati da queste parti cercando qualcosa che riguardi la Spagna.
Navigate pure tra i post precedenti e sentitevi autorizzati a saltare questo a piè pari.

Qui mi rivolgo soprattutto a chi scrive, non importa se per mestiere o meno.
Magari un pochino anche a chi vuole farsi i fatti miei, sia pure solo per sapere che volumi sto accumulando sul comodino.

Il punto è che ci sono libri che ti aprono la mente.

A volte ti fanno riflettere su qualcosa a cui non ti eri mai degnato di prestare attenzione. Altre risvegliano interessi che non sapevi di avere. Alcuni (i migliori) ti aiutano persino a migliorare in ciò che fai. In genere sono loro a trovarti e, se ti capita la botta di culo, lo fanno proprio quando iniziavi ad adagiarti in una (s)comoda routine.

On Writing di Stephen King, per me, rientra nell’ultima categoria. A metà tra l’autobiografia e la saggistica, è il primo e fino ad ora unico manuale di scrittura che mi abbia catturata sin dalla primissima pagina.

Non che ogni parola mi sia esplosa in testa come una rivelazione.  Anzi. Alcuni dei consigli dell’autore mi sono sembrati addirittura “scontati”: probabilmente perchè si rivolgono a chi sta iniziando a scrivere, ed io (bene o male) non faccio altro da quasi trent’anni.

E poi King parla di narrativa.

Io mi sono formata come giornalista, faccio la copywriter e proprio al massimo aggiorno un blog: nel 90% dei casi, i miei obiettivi sono molto diversi dai suoi.

Anche così, ho estratto da quel libro alcune perle (sei, per l’esattezza) che mi hanno spinta a soffermarmi su diversi aspetti della mia prosa.

É per questo che le voglio condividere qui. 

Per non dimenticarle. Per lanciarle al mondo nella speranza che siano d’aiuto.

Da quando ho finito On Writing, è come se una vocina insistente me le sussurrasse nelle orecchie ogni volta che butto giù un copione, un’email, un articolo o addirittura il testo di una pubblicità per Facebook (nella lista della spesa non si é ancora intromessa).

Sono consigli semplici, certo. Eppure sono convinta che possano migliorare lo stile di chiunque scriva; non importa se lo fa per vendere, per intrattenere o per informare.

Perchè vedete: il problema, quando ti occupi di una cosa da tanto, è che a volte finisci per dimenticarti come si cominciava. Ripassare le basi è, invece, tanto raro quanto obiettivamente vitale.

Suonerà strano, ma mi auguro sentiate le voci 
anche voi.


























LEZIONE #1 - METTETE LA SCRIVANIA IN UN ANGOLINO




Vi servirà a ricordare in un colpo d’occhio il ruolo che dovrebbe avere la scrittura per voi: Sempre e comunque marginale.

Secondo King la vita non dev’essere di supporto alla creatività, ma viceversa. In effetti, questo è anche uno dei motivi per cui condanna la classica americanata dei camping immersivi di scrittura. Non puoi produrre niente di buono - dice - se ogni giorno la tua principale e unica missione è scrivere.

Lo so, può sembrare contraddittorio.
Potreste anche obiettare che è un po’ difficile non mettere la scrittura al centro quando ci devi pagare le bollette. Ricordate, però, che è un lavoro anche per Stephen King.

Certo, lui guadagna di più con un solo libro di quanto noi comuni mortali incasseremo in tutta la nostra vita. Ed è vero: se di punto in bianco esaurisse l’ispirazione, potrebbe campare di rendita da qui al resto dei suoi giorni. Però non è stato sempre così. La gavetta l’ha fatta anche lui. Le incertezze le ha avute anche lui. Di fatto, ‘sta cosa della scrivania l’ha capita dopo essere caduto nelle droghe. Non si voleva disintossicare perchè temeva che le idee gli venissero dalle sostanze che prendeva (visto quello che scrive, avrei pensato lo stesso) e che nel momento in cui l’avesse fatto si sarebbe giocato la carriera.

Ecco cosa significa mettere la scrittura al centro: sacrificare in suo nome salute, famiglia e relazioni personali. Ne vale la pena? Io direi di no.

A conti fatti, è tutta questione di mentalità.
Si tratta di non darle tanta importanza. Di ridurre lo stress, se preferite. 


C’è stato un periodo in cui credevo che il mio impiego come copywriter fosse temporaneo. Accarezzavo segretamente l’idea di aprire un negozio di souvenir d’arte in centro a Málaga, e non mi preoccupava più di tanto l’eventualità che mi licenziassero. Avevo un piano B.

Un’altra volta ho aperto LinkedIn e ho trovato 3 offerte di lavoro diverse nei messaggi privati. Tutte nel mio settore. Tutte apparentemente valide. Tutte che mi chiedevano la disponibilità per un colloquio. Mi sono tranquillizzata, pensando fosse una chiara dimostrazione del fatto che, se anche avessi perso il mio posto, ne avrei trovato un altro in fretta.

Saranno state coincidenze, ma nel primo caso ho ottenuto una promozione e nel secondo un aumento di stipendio.

Poi ho deciso di cambiare casa, e mi sono resa conto che per il tipo di appartamento che volevo mi serviva assolutamente il salario che prendevo. Non potevo scendere da quella cifra. Mi sono anche accorta che il mio lavoro mi piace un sacco, e che vado d’accordo con i colleghi. Insomma: ho iniziato a preoccuparmi seriamente per l’eventualità di esserne privata. Non volevo rinunciare ad una casa più grande e ad una situazione obiettivamente privilegiata.

Allora ho iniziato a sfacchinare come non mai. A fare straordinari. A finire un’email la domenica alle 22 per “portarmi avanti” sul lavoro del Lunedì. A metterci tre ore per scrivere un copy che normalmente non mi avrebbe portato via più di mezzora, solo perché ci tenevo che fosse perfetto. Ci ho rimesso un sacco di capelli per lo stress, e non ho avuto né aumenti né applausi. Di fatto, i testi che ho scritto in quel periodo non sono neanche lontanamente al livello di quelli scritti quando non me ne fregava un granché.

Insomma, la chiave sta nel ricordarsi che in ogni caso mettere in fila parole è solo una professione. Solo una delle tante cose che fai nella tua quotidianità e senza la quale la gente vivrebbe e procreerebbe comunque.

Si dice che ciò di cui più si pentono le persone in punto di morte è di aver lavorato troppo e di non aver passato più tempo con i loro cari. Quindi ricordiamocelo: per quanto possa essere importante arrivare a tempo ad una consegna, non sarà mai importante come passare la serata guardando un film col tuo partner, giocando con tuo figlio o uscendo con i tuoi amici. MAI. Quello è la sala, la stanza. Una stanza enorme e ben illuminata.

La scrivania su cui scrivi è solo un mobile nell’angolino.







LEZIONE #2 - MORTE AI VERBI PASSIVI!




I verbi passivi, secondo King, bisognerebbe impararli a scuola e poi dimenticarli per sempre.

Quando l’ho letto, per poco non mi è sfuggito un urlo di approvazione. Finalmente qualcuno che lo dice! La forma al passivo, in generale, è IL MALE SUPREMO. 


Che senso ha dire “il cadavere è stato trascinato” quando puoi dire “qualcuno ha trascinato il cadavere”? Perchè complicarsi la vita? ‘Sto tizio è pure morto: secondo quale logica dovrebbe essere il soggetto della frase?

Ovviamente esistono le eccezioni. Per esempio, se un poliziotto sta indagando sull’omicidio e non sa ancora chi sia il colpevole, ci sta che, analizzando la scena del crimine, dica: “il cadavere è stato trascinato”.

Nella maggior parte dei casi, però, quando trovate un verbo al passivo in qualcosa che avete scritto, dovreste cercare di trovare un modo per volgerlo all’attivo. Non solo renderà di più, ma ci guadagnerete in specificità: regola aurea del copywriting e della scrittura in genere.

Pensate, per esempio, alla frase: “l’idea è considerata buona”. Magari potete migliorarla un po’ con il “si” passivante (L’idea si considera buona) ma il problema di fondo resta: CHI la considera buona? Se fate l’esercizio di mettere la frase all’attivo, dovrete per forza dire che qualcuno la considera una buona idea, e di conseguenza concentrarvi su chi è quel qualcuno.

Potrete scrivere che “La popolazione la considera una buona idea”, “La società occidentale la considera una buona idea” o che “mia madre la considera una buona idea”. In ogni caso, starete contestualizzando e specificando. Oltre al fatto non trascurabile che la frase suonerà mille volte meglio. 







LEZIONE #3 - RIDUCETE GLI AVVERBI




Nel mondo del copywriting ti insegnano a enfatizzare i concetti con aggettivi e avverbi piazzati in modo strategico: un “esclusivo”, un “nuovo” e un “eccezionalmente” non si negano a nessuno.

Il problema è che questo finisce col portarti ad “imbellettare” anche il linguaggio che utilizzi in altri ambiti; E il rischio diventa quello di esagerare.

Se hai impiegato 10 cartelle per descrivere il comportamento abituale di un personaggio, quando all’improvviso quel personaggio fa qualcosa di diverso, magari non sarà necessario aggiungere che lo fa “eccezionalmente”.

Se scegli bene le parole dei tuoi dialoghi, non ti servirà specificare che Paolo sostiene “gentilmente” o che Maria afferma “sdegnosamente”. Il tono si capisce. E, se non si capisce, hai sbagliato qualcosa.








LEZIONE #4 - SCRIVETE PER IL VOSTRO LETTORE IDEALE




Qui torniamo all’importanza di sentire le voci.
Tutti scriviamo per qualcuno. E, se non lo facciamo, dovremmo iniziare subito.

In genere viene spontaneo. Che tu lo voglia o meno, quando trasformi i tuoi pensieri in parole, inevitabilmente pensi alle sensazioni della prima persona a cui le farai leggere. Quella persona è il tuo Lettore Ideale, e secondo King riveste un ruolo fondamentale nel processo creativo. Nella nostra testa è il nostro primo giudice, ancora prima di diventarlo davvero.

Che sia nostro padre, il nostro partner la vicina del secondo piano, il Lettore Ideale è quasi sempre qualcuno che conosciamo molto bene. Conoscendolo, intuiamo come reagirà alle nostre parole nel momento stesso in cui le scriviamo. Sappiamo cosa lo farà sorridere. Cosa detesterà. Cosa riterrà superfluo. Nella maggior parte dei casi, questo ci porta ad aggiustare in corsa paragrafi cruciali. Pensare “uff, questo sicuramente il Lettore Ideale non lo capirà” ti porta a spiegarlo - il che lo renderà più comprensibile non solo a lui, ma al 90% della popolazione.


Se nella narrativa il Lettore Ideale può essere chiunque, sul lavoro, secondo me, dovrebbe essere il nostro responsabile diretto.

Prendetevi un po’ di tempo per leggere tutto quello che scrive. Cercate di individuare le formule e le strutture linguistiche che usa più spesso (tutti abbiamo degli amori sintattici, e in genere basta una lettura un po’ più attenta per capire quali sono). Alle riunioni, cercate di prestare attenzione al modo in cui parla. Invece di incazzarvi perché vi fa un appunto su un testo un po’ debole, ricordatevi quello che dice. Fate vostro il suo stile. Calatevi nei suoi panni. Se davvero amate scrivere, non dovrebbe risultarvi poi così difficile. 

Quando riuscirete a conoscere il vostro capo abbastanza da sentire la sua voce nella testa ogni volta che vi mettete al lavoro, probabilmente migliorerete la vostra scrittura. O, per lo meno, la migliorerete ai suoi occhi: il che, alla resa dei conti, è ciò che vi assicura uno stipendio. 








LEZIONE #5 - ABOLITE IL  “NON SO COME DIRE”



Quante volte inseriamo nelle nostre conversazioni quotidiane frasi tipo “non so come dire”, o “non so spiegartelo”?.

In On Writing, Stephen King afferma (in questo caso forse anche un po’ sdegnosamente) che dobbiamo eliminarle dal nostro vocabolario. Come scrittori - o scribacchini- il nostro lavoro consiste precisamente nel saper spiegare e nel saper dire. Se in un dialogo qualsiasi non siamo in grado di tradurre le nostre sensazioni in qualcosa di comprensibile per l’altro, come accidenti possiamo pensare di avere un futuro in questo mestiere?

Per quanto suoni un po’ brutale, questo concetto (che peraltro viene presentato en passant) è quello che più mi ha fatta riflettere di tutti quelli espressi nel libro. Mea culpa: il “non so come dire” io l’ho sempre usato tantissimo. Così ho iniziato a fare lo sforzo mentale di cercare, sempre, le parole giuste.


Quando mi chiedono “Perchè ti piace tanto Málaga?” In genere rispondo sempre “Non so spiegartelo, ha un certo non so che”. Oggi me l’hanno chiesto di nuovo.

Stavo per riciclare la risposta standard, ma poi ho pensato a Stephen King. Cosí mi sono morsa la lingua. Ho riflettuto 5 secondi . E mi sono lanciata in un monologo:

“Mi piace perchè pur essendo una grande città ha una dimensione umana. Ho la sensazione di poter arrivare da qualsiasi parte camminando, e questo mi da un senso di protezione. Perchè nel giro di pochi metri passi dalla spiaggia, alla storia alla modernità. Perché ha mille anime in una. Perché sono meteoropatica al di là di ogni immaginazione, e ho bisogno del cielo azzurro per sentirmi piena di energia. Perché la gente è aperta, ti guarda negli occhi quando cammini, dà la sensazione di preoccuparsi per te anche se non ti conosce affatto. E non importa se non è vero, fa comunque bene al cuore.”

Il mio interlocutore non sapeva più come fermarmi, e probabilmente si sarà annoiato a morte. Io, però, mi sono sentita scrittrice. 


Ve lo consiglio, davvero: provateci anche voi.







LEZIONE #6 - LASCIATE DECANTARE 




Premettendo che ogni scrittore ha le sue abitudini, Stephen King sostiene che è una buona pratica dimenticarsi completamente di un’opera di narrativa dopo aver ultimato la prima stesura. Per almeno 15 giorni consiglia di dedicarsi ad altro. Andar per funghi, fare immersioni, accamparvi all’Ikea, quello che vi pare. Ma non pensare, per niente al mondo, a quello che avete scritto. Chiudetelo in un cassetto. Magari iniziate un altro progetto.

In questo modo, quando riprenderete in mano la vostra opera per rivederla e correggerla, vi risulterà completamente estranea. Solo così potrete analizzarla a mente fredda, e riuscirete a migliorarla per davvero.

Un altro insegnamento importante che ho tratto dal capitolo sulle revisioni (e che, pur conoscendolo, avevo dimenticato) è che la seconda stesura dev’essere il 10% più corta della prima. Vale a dire che le revisioni devono sempre, sempre, sempre accorciare. MAI aggiungere.







Che ne pensate di queste sei lezioni? Vi sono sembrate utili o tutto il contrario? Se vi va, lasciate la vostra opinione nei commenti. Vi leggerò con piacere!  

1 commento:

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