venerdì 2 agosto 2013

Giornate Ciloske- Parte II: Prato

Altro post in differita, scritto il 30 Luglio. La prima parte é qui

Alla fine ha tenuto, il tempo. E, tra le tante cose che potrei dire di ieri (perchè sarebbero tante, credetemi, tante davvero) scelgo il riassunto di uno spot del Maxibon. Two is mej che one. Sempre, soprattutto si parla di musica Live. Perchè possono essere a distanza ravvicinata. Possono avere - quasi!- identica scaletta. Ma due concerti dello stesso cantante riescono a darti un quadro più completo di uno solo. Presentarti una realtà a tutto tondo. Sì, insomma, farti rivivere una sensazione pur senza mai ripeterla uguale. 

Ecco: io, a Prato, l'ho capito più che altrove. 


Il Pecci dopo il diluvio, in una foto postata da Il Cile su Facebook


Chè, sulle gradinate in pietra dell'anfiteatro del Pecci, l'atmosfera sapeva di grandi occasioni. E non era solo per i cognomi noti in fila davanti a me alla cassa accrediti. La vicinanza geografica, si sa, è congrega di parenti e amici. Con probabile - e palpabile, in effetti - conseguente impennata di emozione. Non era neanche per la piccola fila formatasi all'ingresso all'apertura dei cancelli, o per la processione degli autografi, pressochè infinita, del dopo show. No. A dividere in modo abissale lo spettacolo toscano da quello trevigiano c'è stata, soprattutto, quell'intimità. L'ambiente raffinato, il senso di eleganza raccolta anticipato da un bravo cantautore siciliano. Tutto il contrario dello spirito rock - fango, alcol e transenne - respirato davanti alla distesa piatta di un festival a base di varietà e gazebo. E poi l'acustica. A voler essere un po' tecnici, l'acustica del Pecci era mille volte migliore. Mi ha permesso di apprezzarlo, finalmente, il testo di quella Baron Samedi la cui bellezza, tra youtube e mix di volumi sbagliati, avevo fino ad ora soltanto intuito. Ha contribuito alquanto, nella pelle d'oca, all'ascolto atteso dell'unica aggiunta in repertorio. Chè nemmeno io le amo, le cover. Ma "Escluso il Cane" di Rino Gaetano sembra essere fatta apposta per essere reinterpretata dal Cile. Dalla sua voce impura e graffiante. Dall'intensità di cui vi ho già parlato. 




E quindi, niente. Non saprei dire quale dei due live abbia apprezzato di più. Non lo so perchè non posso. Perchè sono complementari. Perchè avevo bisogno di entrambi, come delle due anime che convivono in me. Two is mej che one, appunto. Lo sostengo anche in bipolarsmi di nazionalità. 

E se Treviso è stato il primo, il tremore da quindicenne, il fiato buttato fuori con la violenza di un'attesa prolungata...beh, Prato è stata la tranquillità, invece. Il relax di un cammino intrapreso, foss'anche dagli eventi e dall'età. La decisione di entrare in un mondo nuovo, ancora, incurante di ferite ed esperienze del passato. Diversissimo, in effetti, da quelli del passato. Un mondo da cui, sul treno del ritorno, mi sembra adesso di venire strappata. 

Su quelle gradinate, prima che le luci si abbassassero, chiacchieravo con Laura e Rebecca come se le conoscessi da tutt'una vita. Nel guardarmi attorno, tra i volti che s'infittivano, ne scovavo più d'uno già visto qua e là. E, di colpo, per un attimo, giuro che m'è venuta voglia di scappare. Mi sono chiesta che ci facessi lì. Come fossi arrivata, in così poco tempo, addirittura a riconoscere persone. Ad infilarmi - e di diritto, dicono- nella curva ultras delle fedelissime. Quelle che si scatenano. Quelle che il minacciosissimo tizio della security redarguisce ogni due secondi perchè non riescono a non alzarsi in piedi. Quelle che fanno cine, insomma. Davanti ad occhi che, dal palco, sorridono e rispondono, conoscendoci già. Per un attimo, ritorna quella sensazione assurda che provo ogni volta che una nuova esperienza mi fa stare bene. La sensazione di tradire qualcuno, o qualcosa. Di essere in difetto. Ingiusta. Psicanalista da quattro soldi dei miei stessi rimpiazzi.

Se stai bene, però, sensazioni così tendono a svanire in fretta.

E allora al Diavolo le mie paranoie, che in quest'ultimo periodo , l'avrete capito, mi rendono difficilmente sopportabile. Al Diavolo il disagio. Al Diavolo tutto. A me basta, come sempre, che la musica mi arrivi alle vene. 
E in breve diventa un tormentone, la lotta che ingaggiamo con il tipo della security. Uno dei momenti salienti, come quella cover o il discorso de Il Cile prima di attaccare Tamigi. Chè lo fa sempre, lo so. Eppure, a Prato mi ha particolarmente toccata, sentir parlare del coraggio di andare all'estero e cambiare vita; di cercare nuove opportunità o semplicemente arricchirsi d'un esperienza  in altri scenari. Anche se é provvisoria. Anche se torni. Anche se in fondo, poi, non torni mai.
Sarà stata quell'intimità, magari. La sensazione indotta dalla vicinanza fisica che Lorenzo stesse parlando direttamente con me. Il ricordo improvviso di uno dei miei infiniti deliri per cui avevo fatto di quel brano rivisitazioni ispaniche. Ma certo che ti aiuterò con lo spagnolo, prima che tu parta per Madrid. Non lo so. In ogni caso si sa, che l'immedesimazione è il modo più diretto e più efficace per tuffarsi di testa dentro a una canzone. 

Ma l'omone minaccioso proprio non ci lascia, ballare sulle note che amiamo. Ci prende per le spalle, contenendoci fisicamente, tra la nostra indignazione e le risate della band. Che comunque riusciamo a fare un bel casino anche da sedute. "Il moto sussultorio si è sentito fin qui", dice Il Cile (in effetti, "moto sussultorio" potrebbe dirlo soltanto lui). E poi cambia in corsa il testo de Il Nostro Duello, trasformandolo nella "storia di un uomo che vuol far sedere le persone". Ovazioni. Vittoria. "Ma devo fare il bravo perchè ci sono i miei". 
Momenti salienti, insomma. Come la sua emozione ripetuta. Ribadita. Spinta all'apice nella standing ovation finale. 



Quindi non lo so, com'è che andrà a finire ora che sto tornando a casa. Se riprenderó la vita e le passioni di sempre, o se mi immergerò sempre di più in quest'altra nuova dimensione. Onestamente, non mi va neanche di rimuginarci troppo. 

Quello che so è che, a Prato come a Treviso, l'atmosfera attorno al Cile m'è piaciuta almeno quanto la sua musica. Che è stato bello chiacchierarci a tarda notte, senza stress, senza sentire il bisogno di (ri)chiedere una foto o un autografo; Come se - finalmente- quel tastino fossi riuscita a schiacchiarlo. Come se quella sottospecie di deja vù di dialoghi e persone mi avesse riportato indietro nel tempo a fasi alterne di momenti che ho vissuto, e che non c'entravano niente con le masse o le celebrità. Perchè tutto- proprio tutto!- quello che ho vissuto in questi intensi giorni "groupie" ha avuto il sapore esclusivo della normalità. Dal pubblico ai musicisti. Dalle battute ai comportamenti. E allora, al momento del ritorno, tutto ciò che posso fare è rubare un augurio ai Negrita. A una canzone che proprio non la smette di girarmi in testa. Dice: "Resta ribelle, non ti buttare via".


2 commenti:

  1. Grazie Ilaria, mi hai fatto rivivere le stesse sensazioni che ho provato io:) denise, una tua coetanea per sempre 15enne (ci "vediamo" nella rete)

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  2. Essere perennemente quindicenni è una figata, in fondo! ;) Ma sei per caso la Denise che era a Prato? Perchè se si non ci siamo presentate e non ho capito che fossi tu...ma ti avevo già letta in più di un'occasione. Se invece è solo un'omonimia, fai come se non ti avessi detto nulla! :D

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