venerdì 21 febbraio 2014

A un post su Sanremo non si rinuncia mai.

Sanremo, più che un programma, è un argomento di conversazione. Un rito ancestrale di mezzo inverno. Il sottofondo necessario a capire le battute contenute nei tweet. Va subíto, in ogni caso. E a voi, come diretta conseguenza, tocca di nuovo subire me. Sì, perchè mica ve li posso risparmiare, i commenti. Non quest'anno, ché lo sdegno ce l'han tolto di bocca sin dai primi secondi della prima puntata. 

Un esordio col botto, non c'é che dire: sipari che si incastrano, gente che minaccia di buttarsi dagli spalti (Sanremo, diamo voce ai suicidi dal 1967), ospiti prelevati direttamente dal reparto geriatrico di qualche ospedale. Un festival che passerà alla storia per i foglietti stropicciati (che c'avete fatto, prima di scriverci sopra comunicazioni d'importanza vitale? Gli aeroplanini? Una tartaruga origami in omaggio al ritmo della manifestazione? Boh!) e per l'evidente tentativo di incorniciare una qualche ultima esibizione rifornendo di prezioso materiale da recupero gli archivi di Mamma Rai. 

Un festival che, più che altro, è una puntata del Bagaglino travestita da Kermesse musicale. Uno show commovente, in grado di regalare momenti d'alto spettacolo come la Castá che canta “ma 'ndo vai se la banana non ce l'hai?” e Renzo Arbore impegnato nella sua migliore reinterpretazione della Sagra della Porchetta. 

Degni di menzione anche Sárcina che si fa le selfie come il più agguerrito dei Bimbiminkia, lo sguardo da orba di Arisa senza occhiali, Ron che si crede il protagonista di una qualche puntata di Nashville e Frankie Hi-Nrg che plagia le mie perle di saggezza aretine (te possino!).



Del resto, la crisi si fa sentire. E non soltanto nell'ispirazione dei cantanti in gara. Sul truccatore, per esempio, hanno dovuto evidentemente andare al risparmio. Chè, voglio dire: finchè il rossetto sui denti ce l'ho io (cosa che, peraltro, capita spesso), vabbé. Ma che ce l'abbiano tutte le donne con le labbra rosse all'interno di un evento altamente mediatico non è proprio del tutto normale. Insomma, ce l'avrai un minimo di fissativo? Un po' di cotone per tamponare? Dei cosmetici non comprati da Kiko? Un pezzo di scotch - chessò- dello stucco da parete, QUALCOSA?! 

Poi ci sono i Grandi Dilemmi. Del tipo: Perchè la “cartolina” di Sanremo è uguale da secoli? Non hanno uno stagista sottopagato da mandare a fare delle foto della città? Voglio dire, ormai quella nave all'orizzonte sarà quantomeno affondata. Poi: il Dj che collabora con Gualazzi ha intenzione di rapinare una banca? Ma soprattutto: in che cazzo di lingua canta la Ruggiero? 

Detto ciò, la mia indiscussa Top 3 di quest'anno (purtroppo composta di meno peggio più che di migliori) è formata da: 


1. Perturbazione: più o meno l'unica (ah- ah!) canzone che mi si sia conficcata in modo irrevocabile nel cervelletto, inducendomi al canticchiamento mentale molesto nell'arco di giornate intere. Loro, del resto, sono la mia rivelazione dell'anno anche per ragioni lavorative e/o di conoscenze condivise che ora non mi dilungo a raccontare. 






2. Sinigallia: e infatti me l'hanno squalificato, povera stella. Mica è colpa sua se gli spettatori dei suoi concerti non sanno mantenere un segreto. Ingrati. 





3. Renga: vabbé, preferivo di gran lunga l'altra, anche per via di una certa amara identificazione nel testo. L'accoppiata con la Toffoli, però, visti i di lui natali udinesi, costituisce un messaggio subliminale del Turismo Friuli Venezia Giulia per cui sono patriotticamente obbligata a tifare. E poi lui è sempre un bel vedere, ammettiamolo. Soprattutto ora che s'è riconvertito al ricciolo. 





Devo purtroppo ammettere (ma sottovoce) che non mi dispiace del tutto neanche il brano di Rubino, nonostante lui mi stia simpatico grossomodo quanto il sacchetto col pranzo che ti si spacca in due sulle scale dell'ufficio facendo rotolare tutto il contenuto per due piani almeno (cosa che, del resto, tende a capitarmi spesso). 

Una parentesi va aperta anche sui giovani: gli unici a cui il palcoscenico dell'Ariston dovrebbe davvero giovare, eppure anche i più bistrattati. Dai, è palese che li sopportino a stento. Prima li rilegano a una fascia oraria Marzulliana incastrata tra l'abbiocco con bavetta e i cornetti caldi alla crema; poi, nel presentarli, ricorrono a frasi altamente lusinghiere e motivanti quali: 

“Ora canta tizio, ma continuate lo stesso a seguirci, che tra un po' c'é la classifica dei big”. 

Cioè, mi fanno pena, davvero. Anche perchè, esclusioni femminili a parte – e qui l'altro dilemma: per quale motivo recondito le donne della categoria giovani devono presentare sempre delle lagne improponibili? - al solito risollevano la qualità media della serata. 

Di positivo c'è che da questa edizione li faranno riesibire tutti l'ultima serata. Cosa che rende obbiettivamente inspiegabile il processo di eliminazione progressiva e altrettanto inevitabile la mia ciloska indignazione. L'anno scorso pareva brutto pensarci, né? (da leggersi con accento torinese, giusto per adeguarsi al trend geografico generale) 

Comunque, i bistrattat...ehm,  i giovani sono tendenzialmente dei personaggi strani. Ad esempio The Niro, descritto dai miei come un incrocio tra Il Cile in versione ripulita e Gualazzi col Parkinson; o Vadim col sciarpone da polo nord nonostante l'evidente quarantina di gradi centigradi a cui è soggetto il teatro e l'aggravante dei riflettori. E' già un merito mica da ridere il fatto che sia riuscito a non svenire.



Tra loro i miei preferiti sono Diodato, Graziani (che difatti è stato eliminato subito...sta diventando una mania) e  il tizio che canta ''Nu juorno buono. A tal proposito, da Clementino in poi la mia simpatia per i rapper napoletani inizia a diventare preoccupante. Sarà una reazione inconscia di contrasto a quelli milanesi, che mi stanno invece simpatici quanto la carta igienica quando ti accorgi che è finita nel momento stesso in cui hai espletato i tuoi bisogni seduta sulla tazza del water.  Altro episodio che, peraltro, mi capita con insolita frequenza. 

In tutto questo, l'unico #italospagnolismo al momento pervenuto è racchiuso nell'accento del direttore d'orchestra che ha omaggiato Abbado. Però mancano due serate. Non si può mai dire. 

2 commenti:

  1. concordo in pieno!e ti aggiungo che le tue similitudini umoristiche son 1000 volte più intelligenti e spassose di quelle,aimè,ormai trite e ritrite della Littizzeto,che si vede quest'anno nun c'aveva voja manco lei........
    altra aggiunta...l'italospagnolismo c'era nell'apertura di Mengoni(uno tra i meritevoli di lode,dopo il LIGA...si intende!)quando ha pubblicizzato la sua scalata della classifica iberica!:-)...olèèèèèè
    besos
    kit

    RispondiElimina
  2. sì, infatti l'italospagnolismo è comparso nel momento stesso in cui stavo postando questo post, mannaggia!
    Grazie per il lusinghiero paragone Littizzettesco (?): tra l'altro una volta a Trieste eravamo sullo stesso scaffale! :)

    RispondiElimina