martedì 5 agosto 2014

Gandía…shore?!

Il suffisso shore ha fatto di Gandia una localitá universalmente nota come scenario marittimo di gente tamarra. La nomini e ti viene in mente un reality show di Mtv, con corrispondenti protagonisti palestrati in cui diametro dei bicipiti, numero di tatuaggi e taglia del reggiseno paiono inversamente proporzionali al quoziente intellettivo. In realtá...beh, la realtá non é che sia proprio cosí diversa, parliamoci chiaro.


Una buona fetta della sua popolazione estiva (e quindi, per definizione, non autoctona) si condensa in riva al suo mare turchino con il solo e preciso intento di fare festa. In base ad un rituale d'origine paleozoica, famiglie ed over cinquanta sembrano essersi guadagnati la licenza di occupare la spiaggia nelle prime ore di sole. Dove per “occupare” si intende per lo piú piazzare ombrelloni a due centimetri l'uno dall'altro fino a ricreare cinque, sei – anche sette, le Domeniche di Luglio – file variopinte ove aspirare a tutto, fuorché alla tranquillitá. Non c'é il tizio del Cocco Bello, ecco. Quello, magari, se lo sono risparmiato. Peró organizzano zumba, balli di gruppo ed esercizi di aerobica alle ore tredici, col termometro che segna 37, nessun copricapo in testa, e la sabbia ridotta ad una brace. Ché ti fermi, sconvolta, a guardare l'istruttore (uno che non capisci se sia d'origine caraibica o semplicemente molto abbronzato) mentre urla ad una donna sovrappeso “VAMOOS! A SALTAR”, e ti viene il sospetto che stia cercando di ammazzarla per accaparrarsi l'ereditá. Sembra anche sorridente, lei, a dire il vero. Come tutti gli altri che le sculettano attorno. E tu, coi rivoli di sudore che scendono molto poco dignitosamente dalla fronte, ti senti contemporaneamente molto vecchia, molto poco sportiva, ma soprattutto molto poco in sintonia con certi aspetti del genere umano.



Comunque. Verso il tramonto – dopo probabile collasso a seguito delle sopra citate attivitá ginniche – anziani, bambini e genitori muniti di materassini e paperelle prendono a sciabattare allegramente verso i rispettivi hotel. É allora che, furtivi e assatanati come un branco di vampiri, i ggggiovani prendono possesso della Costa. La loro routine é grossomodo la seguente: sveglia (ore 18, sú per giú); tuffo nel Mediterraneo (con occhiali da sole addosso per non far vedere le occhiaie); abbronzatura in pose plastiche, frutto di anni di studio e video-tutorial su come mettere in mostra gli addominali; esercizi sulle apposite panche messe generosamente a disposizione dal comune sul lungomare (altrimenti come fai a farti vedere dalle turiste?); alcol; cena; alcol; alcol; alcol; discoteca; droghe q.b. (facoltativo); alcol; alcol; alcol. Rientro in albergo alle prime luci dell'alba (ove se ne sia in grado). Dormire. Ripetere l'operazione.

Tra una tipologia e l'altra di frequentatori di tale ameno loco si incastrano i turisti stranieri: per lo piú signori inglesi e tedeschi di una certa etá che puoi facilmente riconoscere dalla colorazione color aragosta e dalla fila composta al Carrefour per l'acquisto di litrate di – inutili, é abbastanza ovvio – creme dopo sole.

Insomma: se ti capita di andare a Gandía, una serie di incontri quantomeno folcloristici la devi mettere in preventivo. Ad esempio, una sfilza di automobilisti, motociclisti e proprietari di quad che, per qualche motivo non meglio specificato, avvertono la precisa necessitá morale di urlare “ESEDANIMARTIIIIIIIIIIIN” passando davanti alla fila per un concerto. Con un volume atto a rendere comprensibile il messaggio agli abitanti della Scandinavia (Si narra che l'altro giorno l'Ajuntament abbia ricevuto la mail di un tale di Stoccolma che chiedeva: who's Deny Mértin?, con la precisa finalitá di dedicargli un mobile dell'Ikea). Oppure un gruppetto di italiane in evidente escursione da Benidorm che, in un castigliano stentato, chiedono “disculpa, sai donde está la avenida de PincoPallinos?”. Mossa da pietá, rispondi nella loro lingua madre che non ne hai la piú pallida idea. E loro ti continuano a parlare (sforzandosi sempre di piú) in spagnolo come se non se ne fossero nemmeno accorte.

La fila per il concerto di Dani Martín a Gandía, scenario di mirabolanti avventure. 

E poi c'é lui: un omone di fattezze gitane che, a circa due ore dall'apertura dei cancelli, si presenta in canottiera bianca, catenazza d'oro al collo, e un'intera confezione di gel in testa. L'accompagna una donna con una capigliatura bicolore che non capisci se é ricrescita o statush. Senza lasciar spazio a un minimo di convenevoli, il tipo prende subito a sbraitare come un pazzo che “A ver! Que mi hija é qui dalle ore 14.00 e aveva davanti a sé 68 persone, e ora ne deve avere davanti esattamente 68 perché qui nessuno prende in giro nessuno, É CHIAROOO?”. E, mentre una ragazzina educata ed inspiegabilmente sobria (la cosa del pero che non casca lontano dall'albero dev'essere una palese stronzata) cerca di interromperlo con le guance rosse e una serie di “papá, ti prego, papá...non fa niente...”, tu ti chiedi come diavolo abbia fatto a contare esattamente le persone che aveva davanti a sé in fila. Intanto, lui sta giá sgomitando come un pazzo per crearsi un varco a due metri scarsi dalla prima transenna. Dopo di che prende di peso la figlia (che guarda tutti con occhi da gatto di Shrek e un “vi prego, scusate!” cucito sul labiale) e ce la colloca in mezzo. La tizia con lo pseudo statush blatera un “bien hecho, bien hecho” e lui piazza il punto conclusivo con un “Y AHORA QUÉ NADIE SE MUEVA, che mia figlia é qui dalle due e si merita di stare dove sta”. Ché ti verrebbe da fargli notare che tu, come del resto tutti quelli che al momento si trovano dietro di lei, sei lí dalle 12, se non fosse per il timore che possa avere una pistola nascosta in mezzo a tutto quel gel. La ragazzina, nel frattempo, sta palesemente cercando di sotterrarsi scavando un buco nell'asfalto. A dirla proprio tutta, ti fa veramente pena.

Perció sí, Gandía é tutto questo. É un posto dove noleggiano bananoni di plastica (e i bananoni di plastica, un posto, lo definiscono di per sé). Uno in cui, in imitazioni autoctone del burger king, ti fanno le patatine fritte colorate, guardandoti anche straniti se dici che le vuoi normali.

“Ma guarda che costa uguale, eh? Sicura che non le vuoi verde fluo?”
Che a te viene da dire: perché cacchio uno dovrebbe mangiare delle patatine fritte verde fluo? Cosa ci guadagna? Ma soprattutto: non fa un po' schifo? Mah.

Non é solo questo, peró. Perché, se é vero che ogni angolo di mondo possiede un suo fascino, anche Gandía ne ha davvero un bel po'. Basta evitare i tizi da reality, tutto sommato. E allora ti godrai i 100 montaditos con vista sul mare. La sabbia bianca e finissima. Le acque di una trasparenza invidiabile. 




Gandía é anche una serie di cocktail bar suggestivi in cui rintanarti prima che la movida prenda il sopravvento (io l'avrei fatto piú che volentieri, accidenti a me che giro con gente astemia!); mercatini artigianali allestiti sul lungomare; un centro storico snobato dal turismo e per questo intrigante nella sua autenticitá. Coi suoi portici medievali. Le luci basse. Gli ombrelli colorati a fare da tetto provvisorio tra un vicolo e l'altro. La texture ornamentale sulle pareti degli edifici.





A Gandía ci sono receptionist d'una gentilezza rara. Aitanti giovani con la barbetta che ti chiedono di tirargli la palla sfuggita dall'altra parte della strada. E tu che A) non hai manco visto la palla; B) hai i sandali; C) Se si tratta di tirare un calcio a qualcosa di sferico hai la forza fisica di un'ameba e D) stai lottando con il cappellino perennemente conteso dal vento, dai il meglio di te con una serie di frasi sconnesse che terminano – tutte, inevitabilmente- con hihihihihi. E, non avendo una quarta, non te le puoi permettere neppure.

Appunto mentale: lavorare urgentemente sulle tattiche d'approccio.


Ah, dimenticavo di dirvi che (se la memoria non mi inganna) vicino a Gandía hanno girato anche una puntata di Cuenta Atrás. 

A proposito di palle, lo scatto italo-spagnolo da Gandía non poteva mancare!

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