domenica 12 giugno 2016

Una Paloma.


Sono le cose piccole quelle che, più di tutte, attentano alla determinazione. Tipo quando accarezzi il gatto. O quando, in un camerino sovraffollato, qualcuno stappa una bottiglia di prosecco usando una gruccia come cavatappi. É allora che dici a te stessa che tutto questo ti mancherà. Il pensiero più pericoloso al mondo, se hai appena deciso di cambiare vita. 



Mi viene un po' da piangere, adesso che ci penso. Oggi che è una Domenica di quelle che sembrano fatte apposta per la malinconia. Un battito di ciglia a Luglio, il termine massimo che mi sono auto-imposta per la prenotazione di un volo di sola andata. Ma prenderlo - mi accorgo ora - vorrà dire, anche, rinunciare a giornate come quella di ieri. Mi sembra di riviverla, a guardare le foto. Perdersi tra i vicoli in cerca di un parcheggio. Addormentarsi nella penombra del teatro. Lo zucchero a velo che tradisce sui jeans un muffin al cioccolato che ti sei sbafata in modo inutilmente furtivo. Ancora, i melodrammi e i gossip consumati dietro ai riflettori. I mazzi di rose nel sottoscala. Le battute che magari in altre circostanze non t'avrebbero fatta poi così ridere. Poi ti scappa da dirlo, come fosse scontato, "l'anno prossimo..." e ti mordi la lingua. E ricordi i progetti. Iperbole mentale, tragica e fuori luogo, sul sapore amarissimo di chi sa d'altre fini. 

Quando, sei anni fa, mi sono iscritta a questa associazione ricordo di aver pensato che sarebbe stato provvisorio. Avevo addirittura chiesto se potevo pagare solo i primi mesi. "Perchè sai, se mi chiamano ...". Ero fresca di laurea, cercavo lavoro altrove. L'unica cosa che volevo, sopra tutte, era fuggire dalla mia città. Sapevo che più sarei rimasta e più mi avrebbe imprigionata, ancora. Con i suoi ritmi fiacchi, il niente e il tutto delle mie radici, la comodità e il cullarmi rassicurante della routine. Avevo fresca nella testa l'immagine di un'auto che si allontanava dal mio portone a Parma, e il verso di un brano pop che solo vivendo lì avevo finalmente compreso. Quella notte avevo dormito malamente dentro a un sacco a pelo, in bilico tra un passato ormai finito e un futuro da iniziare. Lucida, nonostante il gin tonic. Meno felice, forse, di quanto avrei immaginato si dovesse essere dopo la festa della propria "liberazione". Perchè, checcavolo, e ora? 

Sei anni, dice un diploma. Sei anni di un "per ora" diventati "sempre". Sei anni di vestiti buttati nell'armadio "ché tanto poi li devo mettere in valigia". Sei anni di "magari un giorno". E adesso, che ho deciso di inseguire un mio sogno, l'atmosfera goliardica di un camerino mi fa capire in fondo che non tutto è stato da buttar via. Come quando accarezzo il gatto. Come quando penso a come reagiranno i miei nonni. Come quando l'amica di una vita mi svela di essere di nuovo incinta. Come quando il sole si bagna nell'Adriatico seminando tracce di sangue arancione. 



Se mi chiedessero cos'è per me il flamenco, non sarei certa di saperlo spiegare. So, però che ci sono anni in cui una coreografia ti sembra più complicata del normale. Ci bisticci, non la capisci, la senti lontana - troppo - da quella che sei. Arrivi quasi ad odiarla, segretamente. Finchè qualcosa, nella tua vita, ti incrina in qualche modo il cuore. Quel giorno vai alle prove, gli occhi gonfi di lacrime, la te di un tempo che ti chiama da una finestrella aperta da qualche parte nel tuo passato. Senti il testo. E non vuol dire che lo traduci. Che lo capisci. Vuol dire che per la primissima volta afferri il senso che ha.

É allora che tutto cambia. 

Come se la musica ti srotolasse dentro un filo che da quel preciso istante arriva, mesi dopo, su un palco di legno malandato. E in quei quattro minuti, come per magia, ritorna per la seconda volta - più opportuna che mai-  la stessa sensazione che avevi provato allora.

Non lo so, se ho ballato bene o male ieri. So che quando il cantaor è arrivato al punto in cui alla colomba tagliano le ali mi sono commossa più di quanto avrei creduto. Non voglio essere quella colomba. Non voglio essere più la causa di nessun mio rimpianto.

Per questo devo, comunque, prendere quell'aereo. Sbagliarmi. Salvarmi (se sono stato così lontano è stato solo per salvarmi, diceva appunto quel brano pop). Volare.

Perchè in fondo l'accento andaluso ascoltato in quel teatro mi ha trasmesso uno strano senso di casa. E le uscite di scena vanno fatte - dicono - all'apice del proprio momento migliore. Quello di ieri è stato, per me, lo spettacolo migliore di questi sei anni. A livello di percentuale di errori commessi, di distensione, di atmosfera nel backstage.

Forse allora è giusto che il ricordo sia questo. Nell'anniversario tondo di quell'associazione. 

Il prossimo anno, magari, tornerò per guardarlo da spettatrice. 
Da una vita sotto il sole, forse fallimentare, che avrò però provato a costruirmi da me.

E ovunque sarò, qualunque cosa farò, cercherò di ricavarmi sempre almeno uno spazietto per ballare. 

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