martedì 4 luglio 2017

Ma a voi capita mai?

... E con "voi" intendo gli italiani all'estero. I cervelli in fuga. Sì, insomma, gli "espatriati"; Che poi è una parola bruttissima, perchè presuppone un concetto di patria che per voi è adesso più che mai confuso. Voi, che avete fatto della libertà l'unica bandiera. E temete le radici, che abbiano la forma di un certificato di residenza o di un mutuo da pagare. Voi che quando siete stanchi mescolate le lingue, e a volte vi affidate a Google per esprimere un concetto in italiano. Voi che vi destreggiate tra due numeri di cellulare, due conti in banca, due compagnie di amici. Due direzioni opposte per l'imbarco a cui applicate comunque la frase "torno a casa". 

Voi. Voi che vivete tutto con la massima intensità possibile, divorando le giornate ad alta velocità. Voi che le lacrime sono più salate. Le risate sono più sonore. Voi che prendete a piene mani, senza nemmeno chiedere, tutto quello che il presente vi propone. 

Voi, che avete interiorizzato i ritmi di vita del Paese che vi ha accolti. Voi che l'amate alla follia. Voi che l'unico rimpianto è non averlo fatto prima. Voi che però ci sono giorni in cui, senza dirlo a nessuno, fate la spesa a base di tortellini, mozzarella e pesto. E poi sospirate ai fornelli di una cucina. Voi che fate gli schizzinosi col caffè. Voi che scattate mille foto, sempre, perchè una parte della vostra anima è condannata a sentirsi in eterno il turista che un giorno siete stati.  

Voi. Voi che come me vi sorprendete a sorridere beati guardando le tante meraviglie della città in cui vi trovate, pensando a quanto siete fortunati. E avete bisogno che qualcuno, dall'esterno, vi ricordi che quella fortuna ve la siete costruita. Porchè voi - sì, voi- siete stati abbastanza folli, o coraggiosi, o ingenui da fare una valigia e prenotare un volo solo andata. 

Ecco, voi. Dico a voi. A voi capita mai di estraniarvi per qualche secondo da una serata in discoteca o al pub? Di guardare le persone con cui state parlando o ballando; persone che vi siete abituati a considerare parte della vostra quotidianità, e per un attimo rendervi conto che avreste potuto non conoscerle mai? Che in quel preciso istante avreste potuto essere - nella più rosea delle ipotesi - seduti al tavolo di un bar del paesino in cui avete vissuto quasi tutta la vita. A dividere la casa con i vostri genitori sentendovi irrisolti, in colpa per non essere stati capaci di conquistare l'indipendenza che volevate. O potreste stare dormendo, o chattando con qualche amico che se n'è andato, invidiandolo senza riuscirlo ad emulare. Vi chiedereste cosa avete fatto di buono, mentre le coetanee figliano o ottengono promozioni. E trovereste, sì, la felicità in altre cose (perchè se ti ci impegni la felicità la trovi sempre), ma non sarebbe così piena. Non vi farebbe sentire così orgogliosi.



Ve lo chiedo perchè a me capita, accidenti. Spesso. É come se riuscissi a vedere distintamente le diverse vie che la mia esistenza potrebbe aver preso. Sono affiancate, come in uno schermo suddiviso a metà. Come in un'intervista doppia. Come in sliding doors. Da una parte ci sono questi volti, questi nomi ormai famigliari con cui rido sotto alle luci blu con una birra in mano. Dall'altra il divano di casa, una serie tv, la piazza deserta troppo presto sotto gli immancabili temporali estivi. 

A me capita. Ed ogni volta mi sento sopraffatta dalla sensazione di vertigine che crea pensare a come una singola scelta - UNA. SINGOLA. SCELTA. - abbia il potere di cambiarti in fretta e radicalmente la vita.

Che poi lo so: sembra la frase di un libro di auto- aiuto. Ma voi (che poi siamo noi, che poi sono io), so che riuscirete a capire. 

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