sabato 22 luglio 2017

Le parole non scritte.

Morirò soffocata dalle parole non scritte. Quelle che potevano -e dovevano- diventare post. 
Vi giuro che mi sembra di sentirle gorgogliarmi dentro. Aumentano, come una marea vischiosa che si appropri a poco a poco del mio interno litorale. 

Non sarò mai in grado di usarle per spiegarvi quanto male faccia. 

É come una massa di catarro nel petto. Come la nausea non espressa in vomito. Qualcosa di schifoso eppure estremamente umano. Ecco, un attacco di diarrea quando sei lontana dal bagno. Ché almeno se direte che "scrivo di merda" potrò darvi una valida ragione. 

Tutti indagati, tutti colpevoli. Il vento caldo di Terral, i voli aerei, le luci di un palco: sono loro che hanno ucciso le parole. Quelle che, per vendetta, adesso uccideranno me. Perchè qui è il solito caos di immagini confuse. E notti senza sonno. E divorare la vita a grandi morsi senza fermarsi un attimo a sentirne il sapore. 

Un giorno è un anno, un anno è un giorno. E ormai vivo di flussi di coscienza, nell'attesa spasmodica di trovare un momento per attivare il mese di prova su Netflix. 

Non li ho comprati, poi, quei fiori. 

Però odora di tiglio, ogni mia notte. Appiccicata di sudore sulle cosce; anestetizzata dai bicchieroni di tinto de verano che trangugio come acqua, e so che non dovrei. Chissà, magari un giorno riuscirò a raccontare.

E allora vi dirò della fiera d'arte. Delle montagne del Trentino. Del vento che spettina i capelli su un traghetto. Di come sono passata dal concerto degli Imagine Dragons a quello di Franco Battiato riuscendo ad amarli entrambi. Perché la musica, anche nelle differenze, è solo una delle tante forme che diamo alla magia. 

Le percussioni, come previsto, rimbalzavano sui secoli di storia dell'Arena di Verona. Laser verdi. Il matto che fa irruzione sul palco e la paura di un secondo appena. La consapevolezza lucida di quanto sia terribile, seppure un solo istante, sentire la paura farsi spazio tra la gioia. Welcome to the new age. C'era la gente che ballava, però, lo stesso. La Via Lattea negli spalti, stelle moderne formato smartphone. Maria, quasi fatico a ricordarne il volto. La stima di chi attraversa un Paese in pullman, seduta su un sedile scomodo, pur di andare ad un concerto anche da sola. 





E poi, due aeroporti dopo, l'odore inconfondibile che ha la sabbia nelle Plazas de Toros. Un po' di selvaggio, tanto di suggestione. Quanto sono belle le Plazas de Toros, comunque, quando nessun animale ci viene torturato in mezzo. E al posto di quei tori ci siamo noi, che invece delle banderillas ci facciamo infilzare nelle orecchie cucuruccucù paloma. Giro della capote, incornata di cori su Voglio Vederti Danzare. Noi, drogati dal delicato romanticismo de La Cura, sorpresi da una mossa ardita nella scoperta tardiva di "fornicazione". "Ma questo parla sempre così? Cioè, si mangia i vocabolari?". Per un attimo, senza soluzione di continuità, mi viene in mente Il Cile. E Angela. E Rebecca. E tra tutti gli scenari, chissà poi perchè, la presentazione di un libro a Cremona.



Massì. Un giorno vi spiegherò cosa mi è passato per la mente, quando stremata dall'umidità ho impugnato le forbici alle otto del mattino. E con gli occhi ancora appannati di sonno, senza occhiali, in un solo gesto rabbioso, ho massacrato la mia frangia per un senso di asimetrica - ma se non altro piastrabile - libertà. Vi racconterò di quando sono uscita nel deserto post-nebbia di un Sabato mattina, constatando che sarebbe stato divertente potermi registrare i pensieri. Perchè riflettevo contemporaneamente sul gruppo whatsapp coi riferimenti epici, sulla voglia che m'ha messo di scrivere un altro libro, sull'inquietante bruttezza di un murales sulla destra, su quanto ha ragione la pubblicità della Red Bull ("para días largos y noches aún más largas"), sulla campagna marketing dell'Unicaja in calle Larios, su cosa comprare al mercato, sul sogno assurdo fatto la notte prima in cui mio nonno comprava un fucile a pallettoni, su un tizio su Twitter che sembra la mia fotocopia al maschile. E il mondo che mi urlava nel cervello é andato a pezzi nello squillo di un cellulare. 

Forse riuscirò a parlarvi anche della famiglia americana. Perchè, dai: con tutto il mondo a disposizione, quante probabilità c'erano che mi toccasse far fare un food tour proprio a delle persone che vivono nella Silicon Valley? "Scrivici se vuoi venire, che ti diamo tutte le informazioni". Ed è subito cartolina di me con lo sfondo del Golden Gate. Perchè, come ha detto qualcuno: "Che sia il rock, che siano gli hippie o che sia la tecnologia, abbiamo tutti un motivo per andare a San Francisco".

Già, ma chi l'ha detto, poi? Ah, sì. Era quel tizio con la barba conosciuto all'Artsenal. Quello che dimostrava più anni e sembrava capirmi alla perfezione. Ché "quando ti abitui a viaggiare ti metti nei panni degli altri, e allora sei più incline ad aiutare". E infatti ho regalato una bottiglietta d'acqua a una signora che viveva per strada nell'inferno del Luglio andaluso. Ho dato qualche moneta per aiutare i bimbi poveri. Mi sono fatta dei lunghissimi monologhi mentali sul paradossale egoismo insito nell'altruismo, dato che in entrambi i casi a sentirmi meglio sono stata soprattutto io.

Come all'inaugurazione di Alessia, in effetti.  Perchè è stato bello darle un contatto e vedere che è riuscita a trasformarlo in qualcosa. Le sue foto, poco prima che se ne vada, fanno bella mostra di sé su una parete mentre qualche passante ci identifica subito la metro di Napoli. E il danese che parla delle tasse. E le patate con eccesso di salse. Discutere in tre lingue diverse, mischiarle tutte assieme, sentirsi una di mondo mentre dentro in realtà ti identifichi nella signora che si lancia sulla pista credendo di ballare il tango. Sola. Del tutto fuori luogo. Con un ritmo proprio. Eppure incredibilmente felice.
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Potrei dirvi anche, se la nostalgia non vi disturba, che sono fatta per i quartieri marinai. L'ho capito una volta di più alla festa per la Virgen Del Carmen, nella spiaggia di Pedregalejos con le barche già addobbate, i festoni tra le case bianche, e le ragazze con i drappi rossi tra i camion delle tv. Il rumore ritmico delle processioni arrivava in lontananza, intervallato da scoppi di petardi, mentre l'odore dell'incenso si mischiava a quello degli espetos in una miscela che era in sé Málaga intera.







E io questo voglio, respirare il mare. Aprire la finestra e vederlo. Percepirlo. Avere l
a possibilità di scendere cinque minuti a passeggiarci accanto, parlare con i pescatori, sentire la sabbia dentro al mio modo d'essere - così come riuscivo ad avvertirla a Huelin. 

Io tornerò lì, prima o poi. Io DEVO. Ché, come dice Laura, "ognuno, in questa città, ha un posto in cui è un po' più felice". E dopo anni a cercare il centro, io ho capito che è sulla costa Ovest. O Est, è uguale. Però sia costa. E non la costa turistica della Malagueta, col suo miscuglio di accenti e i croceristi in truppa; No: la costa autentica, con le famiglie accampate sotto i gazebo, il cibo per un reggimento, i negozi di quartiere.

Ho aperto Idealista, di nuovo, il giorno della Virgen Del Carmen. Eppure dicono che la mia casa "è accogliente". Dicono che mi rispecchia. Dicono che la mia casa è come me. Piango alla sola idea di un altro trasloco, ma ho bisogno del mare. Mi è entrato dentro. Io voglio il mare. 

Calma. Chè qui si esagerano anche le sensazioni. Tipo l'altro giorno che, tornando da flamenco, avrei solo voluto singhiozzare a squarciagola. Chi me l'avrà mai fatto fare, di dare la mia disponibilità a ballare al saggio? É tra meno di una settimana, e se non l'ho detto a nessuno é perché sono un completo disastro. Dico sul serio. Continuo a sbagliare la coreografia, non mi sento sicura di niente. Il cuore mi si stringe in un pugno di panico alla sola idea di uscire dalle quinte. Vorrei scappare urlando. Cambiare scuola. Pianeta. Galassia. Sotterrarmi. Che ne so. Con quest'ansia non é neanche divertente. Per la prima volta non vedo l'ora che le lezioni finiscano. Che basta. Che forse ad Agosto potrò dormire, e scrivere, e mettermi Netflix. 

Ma poi mi viene in mente che ad Agosto c'è la Feria e mi riscopro a ridere da sola.

Prima o poi (o forse mai) vi racconterò delle cene in casa, dei sottofondi di chitarre, delle salse piccanti e dei divani comodi. Del rock del ZZ Pub, dei tizi che si dimenano come tarantolati, di quello che raccontava barzellette alle tre del mattino, e io crollavo dal sonno cercando di ridere per dargli qualche soddisfazione. 

"Mi sento come se dovessi vivere ogni attimo fino in fondo, perchè chissà dove sarò domani". 

Non esiste scrittura senza vita. Però, oh, anche  cercare di averle entrambe è un lavoro duro. 
















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