martedì 1 agosto 2017

Una tranquilla Domenica al mare.

Nueve de la tarde. Capelli incrostati di salsedine. Il mio (bellissimo!) costume nuovo ha già arricchito di disegni ton sur ton le tracce della vecchia abbronzatura. Sguardo perso di torpore euforico. Porte che si aprono. Bling. 'nastardes. Pasen al fondo del autobús. 

Il variegato campionario umano dell'uno, a quest'ora, comprende: 


- Autista figo.  

- Ragazze munite di: due sdraio a testa, due borse, un frigo portatile, un ombrellone, uno stereo, una palla, un fornellino, forse un disco volante e probabilmente una parabola satellitare. 
- Folta comitiva di gitani che include, tra altri figuranti: donna di mezza età quasi completamente sdentata che parla urlando al marito dall'altra parte della vettura; Marito che risponde alla moglie sciorinando barzellette di cui ride solo lui; Figlia con disabilità che chiede ogni tre secondi a chiunque capiti se siamo già arrivati a Las Flores; Giovane donna con bimba neonata che decide di allattare lì per lì in mezzo alla calca. Suddetta neonata addobbata con un fioccone variopinto in testa che la fa sembrare un po' un uovo di Pasqua (ma che personalmente mi intenerisce perchè mia mamma, quando ero piccola, tendeva a pettinarmi così. Non fate commenti). 

- Giovane e bionda genitrice che ha chiaramente deciso di assuefare il figlio con le canzoncine della buonanotte sparate a palla sull'iPad. Col risultato che, però, lui è sveglissimo mentre io tra un po' scivolo in fase REM. Spegnete quell'affare Per Dioooo. 

- Ragazzo all'incirca della mia età che, isolatosi da tutto, risponde concentrato ai messaggi su Whatsapp (Tra parentesi: ma voi le spiate le digital-conversazioni altrui sul bus? Perchè io spessissimo. Cioè, me ne vergogno, ma non riesco a farne a meno. Mi sono creata tante di quelle trame di romanzi in testa sulle basi di quei frammenti di vita rubati che non potete averne idea). 
- Signore con stampelle che gareggiano verbalmente a chi ha la malattia più grave sui posti riservati agli invalidi. 
- Sbuffanti varie e fischiettanti eventuali. 

Quando finalmente riesco a scendere, penso che alla fin fine è stato più facile ballare flamenco in teatro che passare una Domenica al mare. 

Sì, insomma, le Domeniche d'estate le spiagge andaluse sono un corso di sopravvivenza, si sa. L'iPhone dice che mi sono fatta 5,4 km a piedi prima di trovare un frammento di sabbia su cui stendere il mio modesto asciugamano. Giusto il tempo di un bagnetto. Di auto-compiacermi del mio costume nuovo (no, davvero, è proprio bellissimo), e l'acqua del Mediterraneo, dal nulla, mi solletica il piede.

Urla di terrore tutto attorno. "ER MELILLEROOO! ER MELILLEROOOOO! QUE LLEGA EL MERILLEROOOO". Oh, merda, el Melillero. Raccolgo le mie cose in fretta e furia e mi unisco all'esodo di massa dei bagnanti in infradito verso il fondo della spiaggia. Il tutto mentre un muro bianco si staglia all'orizzonte alzando di almeno mezzo metro la gente che nuota. "uaaaaaaaaaaa!", bimbi che urlano felici come fossero al Luna Park. Qualcuno si affanna a cercare di recuperare un materassino. Un secondo appena. Poi, metà della spiaggia non c'è più.



Ri-assestamento. Gli asciugamani si ri-piazzano, ancora più vicini di prima. I vecchi, che hanno osservato la scena dalle porte immaginarie dei loro gazebo iper attrezzati, tolgono le mani dai fianchi e tornano a sedersi sulle loro sedie. Proprio lì, tra il barbecue, il frigo, e il tavolino di plastica che si sono portati da casa. Spettacolo finito. Tempo due minuti, e ricompaiono anche i venditori. Quello delle bibite e del tinto de verano. Quello dei dolci ripieni di cioccolata. Quello dei teli mare. Quella dei gioielli. L'aereo che squarcia l'orizzonte per propinarti lo striscione pubblicitario di un negozio di pentole. 




E dire che l'avevo pure letto, del Melillero. Possibile che me ne dimentichi sempre? É un fenomeno naturale cento per cento malagueño per cui, quando passa il ferry che va a Melilla, si alza improvvisamente la marea provocando un'onda improvvisa ed allagando tutto. Il nostro piccolo tsunami in miniatura, insomma. Lo scherzetto ai turisti, ih ih ih mira el guiri ese. Il modo che ha il Mediterraneo di tenerti sempre sull'attenti. 

Ci riesce fino ad un certo punto, comunque. Ché, con la stanchezza che mi porto dietro, tempo di mettermi le cuffie e scommetto che finirò fritta in secondi tre, due, un...ZZZ. Infatti. Mi arrendo definitivamente al sonno sulla famigliarità di Parlano di Te de Il Cile (scusa Lorenzo; giuro che è un complimento, in qualche modo). Le immagini del giorno precedente si scrollano di dosso le cronologie per ricomporsi in un quadro scomposto ma fedele dei momenti clue della mia prima esibizione andalusa. L'abbraccio delle compagne che mi accoglie fuori dalle quinte. Io che, sciolta la tensione dei primi passi, inizio a divertirmi in un sorriso. Le tre maestre che mi sorridono di Missioni Compiute alzando entrambi i pollici al cielo. E, ancora, la treccia che in qualche modo sono riuscite a combinarmi in testa. Le tapas del matahambre, e quelle del giorno prima. Il caldo che teneva quel vestito. I palloncini che "sono per mia nipote". La voglia di feria. Badare alle bambine. "Seño, mi sistemi il mantón?" La tipa col calo di zuccheri. I monitor nei camerini delle prof. I pettegolezzi. "Prenota prima per Alcatraz". Il modo tutto peculiare che ha uno spettacolo di unire le persone. 




Perché è di questo che sono più fiera, adesso. Più del diploma da appendere. Più del concetto di per sé altamente emotivo dell'aver ballato flamenco in un teatro dell'Andalusia. Più dell'idea di averlo fatto tutto sommato bene, nonostante il mal di stomaco, le paturnie e la frustrazione che mi aveva causato l'attesa. Nah. Ridere attorno a un tavolo: è questo che alla fine resterà. 

Ma i sogni sono sogni, e in mezzo a verità disordinate il mio subconscio incastra - chissà poi perchè - una versione di Battiato con i capelli blu davanti e fucsia dietro. Un'amica che dice di avermi regalato disinteressatamente un post sponsorizzato su Facebook (IO.HO.BISOGNO.DI.FERIE), e le note di una canzone che non riconosco. Ah, no, quella arriva dalle orecchie. E lentamente mi riporta alla realtà. 

Apro gli occhi, bevo un sorso d'acqua. Le sette, ormai.
Playa de la Misericordia è ancora lì, adesso un po' meno guarnita di umanità. 
Dietro di me una signora apre l'immancabile frigo azzurro, che in Andalusia è più o meno la porta ad una dimensione parallela.

"Niñaaaa" - inizia ad urlare, guardandoci dentro- "Cosa vuoi? Tortilla? Filetto? Crocchette? Una banana? Niñooooo, vieni qua, portaci dei dolci!". 

E a me viene da ridere, dell'affetto bonario di cui ridi di chi ami. 

Perchè persino nel loro stratosferico casino; Nel colorato affastellarsi di architetture improvvisate; Nell'incapacità del rispettare gli spazi e la privacy; Nell'attaccare bottone sempre e comunque, anche quando vorresti startene sulle tue; Nel tono di voce altissimo; Nei bagagli con cui intralciano lo spazio sul bus; In questo loro spiazzante senso di comunità senza confini; In questa loro leggerezza accogliente, gioiosa ed informale. Sì, persino in tutto questo - e in parte proprio per questo - io agli andalusi voglio davvero bene. 

Però magari la Domenica la siesta è più rilassante farla a casa. 

A parte per il fatto che a casa nessuno avrebbe visto il mio bellissimo (perchè è proprio bellissimo) costume. 


Mi scusi signora, non è che le avanza una crocchetta anche per me? 









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