martedì 21 agosto 2018

Incompleta.

L'hot dog delle 5.30 del mattino getta silenzio tra le conversazioni.
Mancano i cornetti. Abbonda il sonno. E qualche ricordo fresco ancora da assimilare. 

I bassi di un brano reggaetón ci raggiungono dalla caseta di fronte, testimoni del via vai di un mondo parallelo. Di gonne flamenche che accarezzano l'asfalto. Di trucchi disfatti. Di file all'ingresso come un insulto all'alba che non deve arrivare. 




"Se acabó la Feria, chicos".
Nella mia voce una punta di tristezza si mischia al sapore dell'ultimo Cartojal. 

L'ho salutata per bene la mia Málaga, 'sta volta.
E l'amarezza di un volo in ritardo sembrava ribadirmi quello che già so. 

Lasciarla fa male, da sempre. Che sia per dieci giorni o per dieci anni interi. 

Perchè il mio posto è qui, non ho alcun dubbio. E a spaventarmi non è la resaca all'aeroporto, ma piuttosto l'idea di risvegliarmi come quella che una volta ero. Non voglio perderla, la leggerezza di quest'estate assurda. La scintilla nello sguardo che ha fatto dire ad un'amica che mi vede "più donna". La spontaneità con cui consiglio dischi alle commesse del Corte Inglés. 

Ogni volta che torno, un sonno che pare eterno mi getta sfinita sul letto della casa in cui sono cresciuta. Al risveglio le immagini della mia vita andalusa sembrano i resti di un sogno che fatico a mettere a fuoco. Lontane. Indistinte. Irreali. Non ci sono notifiche sul cellulare, né programmi per il fine settimana. 

Ogni volta è come se gli ultimi due anni si fossero cancellati nella pigrizia estrema che di nuovo mi investe. E mi rende bambina. E m'incatena per mio stesso volere alla routine mai perduta del passato.

Ecco, è questo che mi fa paura. 

Eppure Dio sa se le volevo, queste vacanze estive nella terra patria.
Dio sa se ne avevo bisogno.  

Tanto. 


Come di un punto e a capo. Un attimo di autentica disconnessione. Una parentesi di tranquillità che nelle notti lunghe della Costa del Sol non riesco - né, temo, riuscirò mai del tutto - ad incontrare. 

Solo che la tocco con mano, ogni giorno, la nostalgia degli altri italiani che vivono in Spagna. Per quanto amino il Paese in cui vivono, tutti loro hanno qualcosa per cui sospirare. 

La difendono nelle conversazioni. Li riempie di orgoglio e di emozione quando comprano un biglietto aereo. E, anche se non l'ho mai ammesso, io li invidio.

Non l'ho mai provato, quel senso forse di appartenenza alla mia città o alla mia Regione. 
E solo adesso mi accorgo che mi fa sentire incompleta. Diversa. In colpa, persino.

Nel mio Nord-Est ci torno - e volentieri! - per la famiglia. 
Ma, per quanto mi sforzi, la lista di ragioni si esaurisce  lì. 

Da me non ci sono, purtroppo, i mari cristallini del Sud. Le spiagge di Málaga che tanti criticano sono nettamente migliori di tutte quelle che ho accanto nel mio angolo d'Italia. 

In più l'acqua è fresca e subito fonda, proprio come piace a me. Non devi camminare per chilometri perchè ti arrivi ad altezza vita. Nè litigare con i bambini che giocano a palla in una pozza a temperatura pipì.

La gastronomia andalusa - non è un mistero- mi piace da morire. Per un espeto potrei fare la guerra. Il Moscatel lo importerei senza remore.

Non mi manca il cibo italiano, perchè se ne ho bisogno lo trovo a Málaga, e di miglior qualità di quello che posso reperire a Trieste o a Monfalcone. 

Non sto scherzando. 

Il Terra Mia fa la pizza più buona di qualunque pizzeria dell'Isontino. L'osteria da Angelino, vicino alla Cattedrale, propone una cucina romana da leccarsi i baffi. Alla Bacanal lo spritz è ottimo. E ci sono posti in cui i cannoli li importano direttamente dalla Sicilia. 

Se penso alle uniche pietanze veramente locali che in Andalusia non trovo mi vengono in mente tuttalpiù il cotto col kren (aka rafano), la Iuta, la cubana, il frico, la polenta, i cevapcici, la lubianska. Ma onestamente chi le mangerebbe, con quaranta gradi all'ombra? 

A Málaga il caffè buono si trova, se sai dove cercare. E senza le orde di zanzare. I temporali ogni  sera. Le facce incazzate della gente che va sempre di fretta per le strade. A Nord - Est il sole se ne va a dormire presto, e nessuno canta flamenco mentre passeggia davanti alle finestre della sala. 





Gli occhi degli estranei ti evitano invece di fissartisi addosso in un sorriso. Nessuno, dietro allo sportello di una banca - o alla cassa di un supermercato - inizia a chiacchierare con te della tua vita. 

Quando gli altri italiani all'estero mi chiedono di dire qualcosa nel mio dialetto, io fatico un sacco a ricordarmi le parole. In cambio, conosco a perfezione gran parte delle espressioni malagueñe più tradizionali.

É come se fossi completamente disconnessa dal mio passato. Come se fossi priva di radici. 
E, ve lo giuro, mi dispiace da morire. 

Perchè tra questi palazzi da mozzare il fiato e queste vocali troppo aperte; tra la Fincantieri e l'Ursus; tra le raffiche di vento e la statua di Svevo ...qui, alla alla resa dei conti, ci sono le mie origini.

Vorrei poter essere in grado di difenderle, come chiunque altro. 
Di riscoprirle. Di riconoscere il ruolo che devono pur aver avuto in ciò che sono diventata. 

Vorrei con tutta me stessa avere il sorriso che hanno gli italiani all'estero quando s'imbarcano in direzione "casa". Il sorriso che, al contrario, ho io soltanto quando la rotta è a Sud-Ovest.

Così, in queste vacanze, ho deciso di impiantarmi nello sguardo il filtro dei turisti entusiasti.
Di cercare tutto il bello della mia terra, immagazzinarlo, e poi sputarlo fuori. 

Sotto forma di foto. 
Di storie su Instagram. 
Di parole sui social network. 

Voglio provare, per una volta, ad ignorare il resto. 
E vedere se così riuscirò finalmente a sentirmi completa. 














Nessun commento:

Posta un commento