domenica 7 aprile 2019

Il momento migliore



Il lomo en manteca tinge di arancione le conversazioni. Mi godo l'incanto di un paesino bianco, il  deserto raccolto attorno all'esplosione della musica live. 

Ci saranno a stento 7.000 anime, a Pizarra, eppure sui concerti ci scommettono un bel po'. Pizarra, che il correttore dell'iPhone trasforma in pizzeria. Manco sapesse della comunicazione via Instagram Stories con cui Andrea propone una cena al Terra Mia

Invano.

E intanto si fanno le sette. Al festival Al Andalus un tizio si addormenta sul muretto, sperando forse di essicare la sbornia nei rarissimi intervalli di sole.

Bagno vs. Cassonetti come Dilemma degli uomini in sala.

Da dentro, le note di un gruppo metal arrivano (mai troppo!) attenuate alle orecchie di chi il cambio drastico di genere non l'ha proprio apprezzato granché. 

Ma in fondo la birra costa un euro, e ai festival ci vai per celebrare la vita. Chissenefrega, allora. Ché tanto ho per le mani bicchieri vuoti e ricordi. I miei amici accanto. Tutto quello che potrei desiderare. 

Foto: Festival Al Andalus


Non so bene di cosa parla questo post. 
Forse di tutto, forse di niente. 
Di sicuro, di me.
Ripenso alle immagini degli ultimi giorni, sconnesse come quelle di un sogno.

I colombiani che ballano al ritmo di canzoni anni novanta in un appartamento AirBnB senza ascensore. Le ragazze che posano come attrici di Hollywood. La pioggia che bagna l'incanto del Barrio Gotico di Barcellona. 

E ancora la riunione di lavoro coi mirtilli in mezzo, una telefonata alla vigilia dell'imbarco, il taxi delle cinque, i bip sul cellulare. 



Rivedo la turbolenza sul volo di rientro e la signora che mi sorride rassicurante mentre pianto le unghie urlando sul sedile di un Boeing della Vueling. 

Dio, quanti miracoli fa il contatto umano. 

"Ognuno pensi ad un trionfo dell'ultimo trimestre", diceva il mio capo attorno a un tavolo rettangolare.

E ho scritto su un documento Google la prima cosa che mi è venuta in mente, senza alcun filtro di riflessione.

Il mio trionfo è un senso di stabilità.

Ecco di che parla questo post.

Parla del fatto che, da quando mi sono ri-trasferita a Málaga, ogni giorno è stato una follia. Una follia bellissima, da divorare a bocconi avidi, senza chiedersi - né potersi chiedere- dove sarò o cosa farò domani. 

Una follia che ha contratto mille anni in due. Una follia di cui ho amato ogni momento, persino le lacrime. Ma pur sempre questo, una follia.

Per la prima volta, ora mi rendo conto che quella montagna russa d'incompiuto sta piano piano cedendo il passo alla tranquillità.

Ho una casa abbastanza piena di vita ed oggetti da poterla con diritto definire "mia". Ho un lavoro in cui scommettono ed investono su di me. Ho gruppo di persone su cui poter contare nel momento del bisogno. 

E davvero non lo so, se a voi sia mai capitato. 

Se vi siete mai resi conto, all'improvviso, che la vostra quotidianità somiglia sempre meno a un procedere a tentoni e sempre più a delle strane sottospecie di radici.

Aggrovigliate, ma pur sempre radici.  

Non so se abbiate mai sentito, in una qualche matassa confusa dentro alle vostre viscere, che state vivendo i
l vostro momento migliore.

Perchè a me sta succedendo adesso, e  fa paura da morire. 

Una paura quasi più grande di quella che mi ha fatto piantare le unghie sul sedile di quell'aereo.

Una paura che, in fondo, è la stessa.

La paura che possa finire.

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