venerdì 10 maggio 2019

Ricordi di Madrid

Madrid è una collezione di deja vù.

Di volti che si sormontano.  Di frasi rimaste impigliate negli angoli addolciti delle sue strade.
C’è la Latina, che ha la voce di Leiva e un po’ anche quella di mia madre.

E Huertas, con Laura che guarda fuori dalla finestra di quel Primo Ostello da cui intrapresi un viaggio di ritorni regolari. Il Jazz di Casa Alberto. Le americane inacidite dal Jet Lag.

C’è il Palacio Real, con Michela che canta i Negrita in una versione tutta sua. E l’incrocio in cui ho conosciuto Céline a due passi dalla Gran Via.

C’è la Glorieta de Bilbao dove mi sono persa. L’hotel pagato dall’azienda la prima volta che ho visto l’Ambasciata. Il furgoncino coi vetri oscurati che mi guidava ad un concerto privato. E Gli showcase alla fnac. E i mercatini d’inverno. E quel locale trendy in cui m’aveva portata Carolina.

É incredibile pensare a quanti ricordi io abbia affidato negli anni alla Capital.

Non l’ho mai vista come una casa, perchè in una casa non ci ridi soltanto.

Lo so bene, oggi che ho rinnovato per un altr’anno il contratto del mio appartamento a Málaga. In una casa assapori lacrime orizzontali stesa a letto dopo aver ricevuto un rifiuto. In una casa organizzi le cene, prendi un té con un’amica, canti facendo le pulizie. Ma ricevi anche brutte notizie al telefono, spegni la sveglia di malumore, ti angosci sui siti per cercare lavoro. In una casa ti svegli col mal di testa dopo una serata in cui hai esagerato un po’.

Madrid non è questo. Madrid, per me, è sempre stato un punto di incontro tra persone in transito. La promessa di non essere mai sola quando, per caso, sei di passaggio lì.

É un luogo in cui ritrovi. In cui conosci. In cui abbracci. É il posto in cui andare a resettarti la vita. E in quei casi la città si lascia sfogliare come un libro, tra versi scritti sulle strisce pedonali, murales e cartelloni pubblicitari che sembrano messi lì apposta per aiutarti a capire chi sei.



Per questo è bello, condividere Madrid con le persone a cui vuoi bene. Perché lì, donde se cruzan los caminos, Madrid è un’oasi di felicitá.

Mi sembra ieri che l’ho vista di nuovo fare capolino dalla finestra di un aereo in ritardo. Era una notte stellata al contrario, coi Vetusta Morla a rivendicare la cittadinanza nelle scelte opportune del mio iPod.

E, come quasi sempre, ho avuto un brivido.

Tornare dalle ferie in Italia è un po’ tuffarsi a testa dentro un’altra vita.

E chissà se un giorno saprò mai spiegarlo davvero. Chissà se riuscirò a farvi capire come ci si sente ad addormentarsi nel letto della casa in cui sei sei cresciuta. A risvegliarsi nei ritmi e negli odori di sempre. E cercare sullo schermo di un cellulare un qualche tipo di prova tangibile che ti confermi che gli ultimi due anni siano davvero esistiti.

Perchè potrebbe essere stato tutto un sogno, a conti fatti. Che ne sai. In fondo, delle persone che vedi ogni giorno, qui non ce n’è neanche una. E qualcuno, sui sedili di un’auto, ti ha detto senza saperlo le stesse parole della canzone ascoltata la sera prima. In fondo tutto quello che avevi chiesto - tutto, fin nei minimi dettagli - si è materializzato in modo troppo perfetto per non essere frutto della tua immaginazione.

E in quella che era la tua casa - e che ora è la casa dei tuoi -  tutto è, invece, rimasto uguale.

Poi in genere l’aereo atterra, l’umidità di Málaga si insinua tra la pelle, e il sogno ricomincia da dove s’era fermato. Nel momento del rullaggio i ritmi lenti del nord-est si cancellano, come se l’ultima volta in cui ti sei stesa su quel letto non fosse stata ieri, ma due millenni fa.

Tornare è un atto brusco, sempre, in tutte le direzioni. Tornare mi sconquassa, mi confonde, mi stordisce.

Ma almeno questa volta, in mezzo, c’è stata Madrid. Ci sono stati gli amici che mi hanno accolta fuori dal Terminal 1 di Barajas e una città che mi si è srotolata attorno mentre Ángel la presentava a chi non c’era mai stato.

Madrid, nel weekend delle elezioni, mi ha fatto da cuscinetto per rendere l’impatto un po’ meno brutale.
Così in quest’altra vita, anzichè tuffarmi a testa, mi ci sono stavolta immersa in modo graduale. Macinando chilometri. Bagnandomi le labbra di Vermut. Aggiungendo volti ai ricordi, frasi alle strade.

Ho mangiato per la prima volta al Mercado de San Fernando, dove vendono libri al chilo e ti fanno i mondaditos de lomo a 4 euro con la birra inclusa.



Mi sono lasciata sedurre di ansia dall’arte claustrofobica di Tetsuya Ishida al Parque Del Retiro.

Ho abbracciato Nancy mentre cantavamo Hemos Ganado Tiempo al concerto dei Viva Suecia pensando che di tempo, sì, ne abbiamo guadagnato un bel po’.



E poi ho aperto gli occhi, a un certo punto, sull’autobus che ci riportava in Andalucía. Ho osservato i miei amici. Una guardava fuori dal finestrino con le cuffie alle orecchie e l’aria malinconica riflessa sul vetro. Un altro controllava i risultati della formula uno sul cellulare. Il terzo leggeva un libro. In quel momento erano talmente loro che mi è venuto da ridere.



Ho richiuso gli occhi, e ho pensato che ho avuto fortuna.

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