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venerdì 6 giugno 2014

Tornare al Liceo.

Stare dietro ad una cattedra é una responsabilità mica da ridere. Fino a che punto, l'ho capito ieri.
Intervallo agli sgoccioli, chiacchiericcio in fade off. Poi, venticinque persone si alzano in perfetta sincronia, producendo un rumore armonico – e a tratti un po' inquietante – di metallo strascicato sul suolo. “Buongiorno”, urlano in coro, obbiedendo alla richiesta di un'insegnante orgogliosa. Ecco, è stato in quel preciso istante che ne ho avuto il sentore. L'ho saputo subito. Nessun dubbio, vaga volontà di scappare. Non ne sarei stata all'altezza. Mai.




Parliamoci chiaro: come avrei potuto? Ho troppe goccioline di sudore sulla fronte per poter esprimere un minimo di autorità. Io che il mio ingresso al Liceo l'ho fatto per sbaglio dalla porta sul retro, ritrovandomi dritta in una palestra affollata. Ho abbassato la testa. Ignorato uno sguardo obliquo. Ho girato su metaforici tacchi come se sapessi dove andare. Ecco, i tacchi. Avrei dovuto mettere almeno quelli, dannazione. Sarei stata un po' più alta, almeno. Un centimetro al di sopra di studentesse con cui (capitemi: pensarlo mi consola) potrei anche cercare di confondermi. E poi si può sapere com'è che non mi sono ancora mai comprata un tailleur?

Naaa. Non riuscirò ad avere la loro attenzione. Di sicuro non corrispondo all'immagine dello scrittore che avevo in testa io a quattordici anni. Perchè per loro a trenta si è già vecchi, lo capisco, ma io ho ancora un ricordo troppo nitido delle mie giornate alle superiori. Le chiacchiere con i compagni di banco. Le cotte collettive per il figo della scuola. So dei primi giorni di Giugno, pieni di interrogazioni di recupero, rese dei conti e prospettive d'estate. Giorni di relax, se il resto dell'anno avevi lavorato bene. Giorni in cui una lezione con una tizia venuta dal nulla a parlare di Twitter sarebbe stata il pretesto perfetto per un sonnellino lungo un'ora. Manna dal cielo. Una camomilla per la fase digestiva. Questo sono io, oggi, qui.



In effetti un po' addormentati lo sembrano, all'inizio, gli studenti della prima liceo scientifico a cui mi è stato proposto di presentare la mia #Odissea. Siamo a Riva del Garda, intrappolati in mezzo a una giornata di sole. Li guardo accasciarsi sul banco e penso che saranno il pubblico più difficile che io abbia mai avuto.

Poi, invece, la sorpresa. Perchè la quantità di mani alzate si traduce in domande più intelligenti di molte che mi siano state fatte in quest'ultimo anno e mezzo di presentazioni. I vantaggi di aver appena finito di studiare Omero, suppongo. Comunque sia, i quesiti che sollevano sul modo in cui ho trasposto in tweet i singoli episodi dell'originale sono esattamente gli stessi che mi ero posta io al momento della stesura. Come eliminare l'elemento surreale mantenendo fedele la vicenda, ad esempio. Perchè non potrebbe funzionare usando un altro social network. Come rimettere in ordine i flashback per costruire un ordine cronologico. Come riuscire a ricreare il Pathos in un contesto in cui – se Ulisse twitta – Penelope non può non sapere che è vivo. Come giustificare i Proci, di conseguenza. Come aggiungere goccioline di sudore alla mia fronte nel tentativo di ricordare (ora che è passato del tempo) come accidenti c'ero riuscita. E c'ero riuscita, caspita! Ebbrava me.

Ho pensato che, in effetti, trasporre i classici in tweet potrebbe essere un buon esercizio narrativo da fare nelle scuole. In fondo ti costringe a leggerli. A studiare soluzioni per il riadattamento. Ad impararli. Perchè no? Se sei suonato almeno la metà di me, a divertirtici pure.

Mi sono sentita fiera, soprattutto, questo è. Non tanto del mio lavoro, anche se non mi ero mai accorta che potesse sembrare difficile. No. Io parlo delle nuove generazioni. Del fatto che – a quanto pare – non siano poi come le dipingono.

Non sono neanche ciò che dicono le statistiche sull'uso dei social, a dire il vero. Ché, stando a quelle , gli adolescenti starebbero abbandonando Facebook per rifugiarsi su Twitter. Che i messaggi da 140 caratteri l'uno sarebbero i prediletti dagli over 30 e dagli under 18. Che poi ci sono un sacco di website tutti nuovi.

Per alzata di mano, invece, i ragazzi hanno dichiarato di avere quasi tutti un account Facebook (su 25, a occhio e croce 20), di usare Ask in 3 e che soltanto uno, tra loro, è iscritto a Twitter; Però, ci tiene a precisare, non lo usa.




Mi chiede, una ragazza sul fondo, che scuola abbia fatto io alle superiori. Quando rispondo “Liceo Classico” avverto percepibile un brusio di disapprovazione. Mi scappa un sorriso. Nonostante tutto, certe cose non cambieranno mai.  

venerdì 28 giugno 2013

Appuntamento alla Lovat.


Luca Bianchini, urge ribadirlo, è autore di alcuni tra i miei personali libri-cult. Tra i suoi meriti, quello di creare i personaggi con le manie più contagiose nella storia della fiction. Tra le sue colpe, il fatto che io non riesca più ad evitare di leggere l'ultima riga di un romanzo prima ancora di averlo iniziato. Quella di “Io che amo solo te”, ad esempio, è: “non avrebbe mai voluto vederli salire in macchina e tornare a casa”. Cioè, più o meno la stessa sensazione che ho avvertito io chiudendo il libro. 

Ma Luca Bianchini, al di là delle recensioni (ne ho scritta una su Anobii, se proprio vi interessa), è soprattutto una bella persona. Ecco perchè, se capita a Trieste, cerco di non perdermi le sue presentazioni. Il nostro, ormai, è un appuntamento scandito dalle uscite editoriali. Un rituale di penne, di orecchie e di firme consumato a scadenza biennale tra gli scaffali affollati della libreria Lovat. E, non si sa come, riesco sempre ad uscirci con un grande sorriso. 



Sarà che gli ingredienti sono ancora gli stessi: una parlantina fluida, un'umanità fatta di dubbi ed ansie, e quell'innato talento nel trattare con le persone. Nel farle sentire speciali, tutte. Anche se solo per il tempo di un autografo o una foto. E, tra la consegna di un cornetto portafortuna e una battuta sovrastata dal megafono, ancora mi stupisce che, ogni volta, si ricordi di me. 

E poi c'è il pubblico, quello che riempie le sedie. Volti di età e abitudini diverse che, più che seguire lo scrittore, sembrano essersi materializzate dalla sua stessa penna. Come i suoi personaggi, sono divertenti e appena un po' sopra le righe. Umanissimi, a tutto tondo, eppure caratterizzati in un unico tratto distintivo. Come ai suoi personaggi – inevitabile – ti ci affezioni sempre un po'. 

Prendi la signora seduta alla mia sinistra, per esempio. Quella che parla con spiccato accento triestino e c'ha la fissa degli oroscopi. Non legge libri,  afferma con insolita fierezza. Per Bianchini, tuttavia, farà un'eccezione. Sì, perchè lei c'è venuta due volte, in libreria. E “go dito, orca ciò, go sbaià giorno”. Chiede come vive il suo essere acquario, perchè se uno è acquario si vede da lontano, dai. Chè lei è dei Pesci, 'ste cose le sa. 

O prendi, magari, il ragazzino sedicenne. Quello che si sveglia ogni mattina ascoltando Colazione da Tiffany, su Radio2. “E continuerei ad ascoltarla, se non mi toccasse andare a scuola”. La sorella, in virtù di quelle levatacce, odia la voce che oggi s'è rifiutata di venire ad ascoltare. 

C'è anche un ragazzo piuttosto carino. Mi si palesa davanti per una frazione di secondo, diretto a tutt'altro settore. Sbircio velocemente. Narrativa italiana? Straniera? Umorismo? Naa, per me c'ha la faccia da Thriller. O noir. Se magari cercasse qualche biografia di musicista, invece? A vederlo, potrebbe suonare in una band. In ogni caso, lui non è qui per ascoltare Bianchini. Ragion per cui lo perdo di vista quasi subito. 

Peccato. Innamorarmi in una libreria, tra i miei sogni di romanticona, si colloca al terzo gradino del podio. In concreto, dopo la scintilla scoccata in aeroporto e quella che fa galeotto un qualsiasi  concerto pop-rock. In effetti, ora che ci penso, ci starei bene anch'io, in un libro di Bianchini. 



La storia di leggere l'ultima riga, comunque, non è poi così male. Tanto per dirne una, mi ha appena permesso di apprezzare una finezza non da poco anche nell'ultimo successo di Dan Brown. Perchè, se l'Inferno di Dante Alighieri si conclude con “e quindi uscimmo a riveder le stelle”, il suo, d'Inferno, finisce così: “Fuori, nell'oscurità appena scesa, il mondo si era trasformato: il cielo era diventato un arazzo scintillante di stelle”. 

E non mi direte che è un caso. 

mercoledì 8 maggio 2013

Maggio mi ucciderà.

Maggio mi ucciderà. E non mi riferisco al vincitore di Sanremo Giovani.
E' che, di nuovo, i telefoni suonano il loro plurale in una costante stereofonia. Io mi sveglio nel cuore della notte, la fronte imperlata di sudore, urlando mentalmente: "Merda! Dovevo postare l'evento sul muro della Ubik". Muro, non bacheca. Perchè anche in piena notte, io, parlo itañolo. 
Insomma, sono giusto un filino esaurita. Per darvene un'idea, l'altro giorno mia madre mi ha beccata mentre, uscita dalla doccia, appallottolavo chirurgicamente il pigiama. Dopo di che, con fare da professionista, lo lanciavo sul letto dalla soglia della mia camera. E, riuscita nell'impresa, me ne bullavo pure.

"Scusa, eh? Ma cosa stai facendo?", chiedeva lei, con una giusta dose di apprensione. 
"Mi sto allenando."
"..."
"Sí, a lanciare robe sul palco". 
"E cosa devi lanciare sul palco?!"
"Boh. Una groupie avrá sempre qualcosa da lanciare sul palco". 

Dopo di che, visibilmente rassegnata, mi ha lasciata in uno scoppio di risata nervosa. 
Del resto, io do sempre i numeri, prima di una presentazione. Figuriamoci se sono addirittura due. 

Ore 18.00. Che dite, ci vediamo lí? 









lunedì 5 dicembre 2011

Con una elle in piú.

Dicono che un taglio di capelli radicale sia, per una donna, sintomo ed effetto del cambiamento interiore. Chissà, magari è lo stesso per i blog. Sono circa tre post, ormai, che mi parlo addosso su questo trasloco. Un periodo sufficientemente lungo da risultare noiosa, me ne rendo conto. Ed ecco la ragione per cui, almeno stavolta, cercheró di essere breve. E' che, accidenti, benvenuti ve lo devo pur dire! Bentrovati, anche, a quelli che mi conoscono già.



Ciao, sono sempre io. A voi non serve neanche che lo spieghi, che la plaza de toros qui alle spalle tutto ha, tranne valenze pro-taurine. Dio me ne scampi. Prendetela, piuttosto, a cornice di concerti massivi. Stereotipo ed emblema dell'Andalusia che m'ha rubato il cuore. E' la plaza de toros di Ronda, quella delle foto di gruppo in una gita in terza media. E Chayenne, nella testa, che del tutto inopportuno mi cantava “torero”. E' lo squarcio di un burrone sotto crocchi di case bianco-neve. Il freddo che ti gela le ossa, il pisto delizioso in un localino all'angolo durante una visita dei miei genitori. Il sorriso di cui il paesaggio, dopo una strada tortuosa, illuminava il volto di mia madre. O magari, è – invece – il recinto de las Ventas. La prima volta a Madrid, in compagnia di Laura. I chupitos di Tequila in plaza Santa Ana. Le tante, mai sufficienti e sempre insonni, volte successive. Potrebbe anche essere la cubierta de Leganés, scenario del mitico desnudo collettivo che ha irridiato di follia la promozione de El Canto del Loco. Potrebbe essere la collezione di foto che, obbediente a un bizzarro rituale, crea un filo conduttore tra gli album di Celine. Sì, insomma, sono io. Tutti i post vecchi li trovate qui a destra. Proprio lì, sulla barra, anticipati dal titolo “Italo-Spagnola old style”. Potete ancora commentarli, se volete. Sono io. E finalmente non ho bisogno di usare i blog degli altri per scoprire in colpo d'occhio chi, tra coloro che seguo, ha aggiornato più di recente il suo. Finalmente, qui su blogspot, mi basta guardare a lato. Benedetto sia. Sempre io, lo giuro. A separarmi da quella di Splinder, soltanto questa L in più. L di Luna84, il mio nickname di sempre. L come i principianti nelle scuole guida di Spagna. L di Loca. Di Libre. Di Love. Di Lol. Di lost. Elle di “se becco chi s'è già fregato il dominio Italospagnola mi sente”, ecco. Sono io. E, tra l'altro, stavo riflettendo sulle coincidenze della vita. Perchè il primo post di Italo-Spagnola, su Splinder, era dedicato a un disco degli estopa. E, per la prima volta da quel lontano 2008, proprio pochi giorni fa i due di Cornellà hanno pubblicato un nuovo album di inediti. Io al Caso non ci credo molto. O, piú semplicemente, fa più figo credere al Destino. Così, invece di affidare l'accompagnamento musicale a “Bienvenido” dellaPausini (che in spagnolo continua a piacermi di più) scelgo il buon augurio di Mañanitas.



A chi non mi conosce, poi, che dire? Potrei stare qui delle ore a prodigarmi in dichiarazioni d'intenti. Ché la linea che voglio dare al blog é quella di un confronto tra le culture italiana e spagnola. Bla bla bla. La veritá, peró, é che finiró sempre e comunque a parlare dei fatti miei. Anche se i fatti miei – questo va detto – sono giá di per sé italo-spagnoli. Un'altra cosa che potrei dirvi (a questo punto l'avrete giá capito anche da soli) é che di me, in certi campi, non vi dovete fidare: amo troppo scrivere per riuscire davvero ad essere breve.

Insomma, (ri) cominciamo. E, se è vero che non tutti i mali vengono per nuocere, spero soltanto che questo nuovo inizio vi piaccia. Come ogni inaugurazione che si rispetti, offro oggi a tutti voi un virtuale bicchiere di Sangria.