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sabato 11 luglio 2015

Quello che farò non appena starò bene.

Se c'è una cosa che detesto, è scrivere per lamentarmi. Ho sempre inteso dolori e malumori come fatti privati, da esorcizzare tutt'al più in qualche racconto o poesia. Ne ha già abbastanza, il mondo, per avere voglia di sobbarcarsi anche i tuoi. Ne ha di più grandi. Di più urgenti. E, quando accende il computer, chiede soltanto di scordarsene un po'. É così che mi sono guadagnata l'immagine che ho sempre voluto dare: con pazienza. Pensando agli altri. Selezionando, come tutti, le cose che di me avrei voluto far sapere. Così sono l'"anima lieta". Sono quella da cui correre a sfogarsi perchè sai che in tutto troverà sempre e comunque almeno un lato positivo. Quella che vive a tinte forti, preda d'entusiasmi d'intensità maggiore della media. Li condivido - quelli sì - con la precisa sensazione di svolgere un servizio pubblico. Capita che ci riesca. Che a volte sappiano spingere qualcuno ad incuriosirsi nei confronti di un musicista, di una canzone, di un luogo. Mi scrivono, in quei casi. Conoscenti, amici, perfetti sconosciuti. Mi fanno sapere che quella curiosità ha portato a belle scoperte. Ed io - per assurdo che sembri - mi sento di colpo una persona migliore. Più utile. Più capace persino di volersi bene.

Share the love, dice il buon Cremonini. Non The Pain. Perchè in fondo è raccontare il dolore, non l'amore, ciò che davvero ti mette a nudo davanti agli altri. Ti rende fragile. Vulnerabile. Fa di te l'agglomerato di aggettivi a cui per sempre mi rifiuterò di appartenere.




Non vuol dire che non lo provi, però. Non vuol dire che non attraversi anch'io dei periodi in cui tutto ciò che vorrei fare è piangere. Dormire. Scagliare oggetti contro la parete urlando dalla rabbia e dalla frustrazione. Ecco, questo è uno di quei periodi.

Ché ho passato un mese (un mese intero!) tra febbre, bronchite e studi medici. E dopo tutto questo tempo, dopo essermi letteralmente ammazzata di medicine, la tosse ancora mi sveglia nel cuore della notte. Gli antibiotici mi disegnano chiazze rosse e pruriti sulla pelle. Il dottore mi impedisce di prendere il sole. Ed io, pallida, brutta ed annoiata tra le pareti di casa, ho la sensazione che - di nuovo - mi abbiano derubata dell'estate.

Oh, quanto la volevo, l'estate. Quanto ero felice, le prime giornate di Giugno coi trenta gradi, i vestiti colorati e la promessa fasulla che, almeno questa volta, sarebbe andato tutto bene. Credevo di meritarla, dopo che ospedali e condizioni meteo l'avevano cancellata dai calendari del 2014.

Invece.

Dire "invece" è già di per sè come sputare lacrime.

Leggo molto, nei fine settimana, mentre il resto del mondo si gode la vita. 

E oltre a leggere penso. Penso ai miei viaggi. Alle mie strane nostalgie. Penso, soprattutto, a quello che vorrei fare una volta guarita. Ho stilato un elenco. Perchè forse la volontà funziona meglio della chimica. Perchè mi aiuta a non buttarmi sul letto e vegetare. Perchè, in fondo, sono e voglio ancora essere quella che vede in tutto i lati positivi. 




Quindi mi taglierò i capelli. Mi farò le meches. Mi metterò lo smalto sulle unghie e andrò a comprarmi un bel vestito nuovo. Quello lungo di H&M, magari. Mi sbronzerò di Mojito al tavolino all'aperto di un bar, godendomi l'aria fresca della sera. Ascolterò musica a palla sotto il sole, con il livello di carica dell'iPod come unica preoccupazione al mondo. Diventerò un po' rossa, e poi nera. Nera da far schifo. Nera come i bambini quando si abbronzano facendo i castelli di sabbia. Magari mi comprerò finalmente anche quel bikini con le frange il cui acquisto rimando da una vita.  Poi nuoterò nel mio amato mar mediterraneo. Sentirò il sale sulle labbra. Le gocce che cadono dai capelli bagnati mentre mi stringo, con un filo di pelle d'oca, dentro all'asciugamano giallo e nero. Tornerò a Málaga. Andrò a trovare le amiche. Vedrò finalmente il Pompidou Pop Up. Andrò ad un altro concerto de Il Cile. Magari a Viareggio. Forse a Bergamo. Chissà. Prenoterò un volo per Barcellona. Farò in modo che l'acquisto di quel biglietto non sia stato vano, e mi godrò El Pescao dal vivo sulla terrazza panoramica di un hotel assieme ad altre 99 persone. Poi tornerò a lavoro. Tornerò a ballare. E, quando mi chiederanno com'è andata la mia estate, potrò finalmente rispondere "da Dio!".

mercoledì 4 luglio 2012

Generación...perdida.


Generación Erasmus”, come il titolo di un libro che ho giá letto: si chiama cosí. E' uno di quei programmi in cui ti imbatti a tarda notte, quando scollarsi dal ventilatore sembra comunque piú difficile che assecondare le palpebre in caduta. Un reportage di quindici minuti scarsi per festeggiare il compleanno della borsa di studio che mi ha cambiato la vita. 25 anni, mica bruscolini.

Lo trasmette la televisione di Stato spagnola, quel programma. Ci sono cattedratici che fanno fede al nome nascondendosi dietro a una scrivania. Ex studentesse particolarmente fortunate da essersi poi stabilite nel Paese in cui erano state spedite. Ma il messaggio di base, ahimé, resta soltanto uno:

Fuggite dalla Spagna, emigrate. Per i giovani, qui, non c'é nessun futuro.

E a me viene il magone. Non che non lo sapessi, intendiamoci. La Spagna è in crisi, mica é una novitá. Solo che ascoltarlo lí, pronunciato a voce alta e in tono fermo... non so, é stato come sentirsi strappar via con violenza il cerotto di una speranza che io conservavo ancora. Come se, d'un colpo, perché l'ha detto un altro, fosse diventato vero.

Non si sceglie di chi innamorarsi. Per questo a volte parliamo di “persone sbagliate”. Persone che non ci ricambiano. Che ci complicano la vita. Che ci riducono in un angolo, impotenti, a pianger via la consapevolezza che i sogni ad occhi aperti rimarranno sempre tali. Ecco, forse con i Paesi é un po' lo stesso. Non posso scegliere di lavare la Spagna dal mio cuore. Se é per quello, non sono neanche in grado di smettere di lottare. Solo che, accidenti, é la terra sbagliata. Il playboy che non ti garantisce un futuro. Uno giá impegnato con un'altra. Qualcuno che, semplicemente, hai conosciuto nel momento sbagliato.

Fuggire dalla Spagna”, é il consiglio che danno ai giovani di lí. E io, io che vorrei soltanto entrarci; entrarci per restare, finalmente... io quali prospettive ho?

A volte penso che dovrei prendere in considerazione altre vie. Cercare il mio futuro in Inghilterra, magari. Oppure, chessó, in Svizzera, ché dicono sia all'avanguardia. Forse potrei addirittura puntare oltreoceano. A Miami c'é una grossa comunitá di hispanoablanti, tanto per dirne una. E in Costa Rica, giá dal nome, non dovrebbero stare cosí male. In realtá non credo che avrei difficoltá ad ambientarmi. Non le ho mai avute, in nessun posto. Poi, si sa, mi piacciono le sfide. Sí, la paura che sento a ipotizzare scenari del genere non é certo di quelle che ti tarpano le ali. Solo che...accidenti, solo che non é il futuro che volevo.




Io ho sempre avuto le idee chiare. Ho sempre saputo che avrei voluto scrivere, per vivere. Ho sempre saputo di voler studiare giornalismo. E ho anche sempre saputo che la mia indipendenza l'avrei vissuta in uno tra due posti: in Spagna, soprattutto. O, se proprio fosse andata male, in Emilia Romagna. Aut aut.

Invece sono ancora a Monfalcone, l'unico posto dove non mi sarei mai immaginata di restare. Persa tra tirocini che non mi daranno mai da vivere. Rimborsi spesa inconsistenti, e curricula spediti senza risposta alcuna. Sono ancora qui, sempre piú apatica e con sempre meno voglia di lottare. Qui, a passare in rassegna nella testa tutte le persone che vorrei avere accanto per accorgermi che tutte, tutte loro, son lontane dei kilometri.

Forse dovrei davvero passare al piano C. All'assurda ancora di salvezza di pubblicare un romanzo e sperare che vada bene. Perché davanti a troppi no; davanti a titoli di studio e lodi che non servono; ho la sensazione che sia scrivere la sola e unica cosa che so fare davvero. Mi manca la storia, peró. Mi manca anche il coraggio di raccontare di me.

Oggi é un giorno un po' cosí. Un giorno in cui “fuggire dalla Spagna”, piú che un consiglio, é uno strappo al cuore.

lunedì 30 aprile 2012

Ilaria o Revienta (flusso di coscienza tachicardico)


Tachicardica come ogni Lunedì. Sul serio, non lo so cosa mi prenda. E' come se all'inizio della settimana avvertissi l'esigenza di mostrare al mondo quanto io sia rapida ed efficiente. Soprattutto se, fuori, ci sono le nubi. Così, non ho nulla di interessante da scrivere. E però scrivo lo stesso. Scrivo male. Scrivo muovendo le dita sulla tastiera a velocità supersonica. Forse seguendo il ritmo dei miei battiti nevrastenici, subconscio incasinato di fretta e di idee. Corro qua e là per la casa, chiacchiero veloce per non perder tempo.  E' due giorni che sento "wonderwall" alla radio o in stereo altrui, ovunque io passi, tanto che mi chiedo se non sia un qualche bizzarro segno del destino. Ma chi é che mi puó salvare?



Lunedí. Rispondo male a tutti, mi incazzo con la gente a sua insaputa e la perdono - altrettanto a sua insaputa-  cinque secondi después.  Espiro. Inspiro. Espiro. E mi verrebbe da urlare in eccessi di decibel, ché a livello pratico, in realtá, sono disoccupata. Ché di lavoretti, sì, ne faccio un sacco. Però nessuno mi paga, e poi domani è il primo Maggio. Quindi, dai, questa fretta cos'é? Lunedì. Una sfilza di percussioni tra atri e ventricoli, le lacrime che scendono e poi salgono e poi, invece, ho solo voglia di ballare. E rido. Di gusto. Di quelle risate che, se stai bevendo, sputacchi acqua frizzante tutt'attorno. Poi non rido piú, tutto di colpo. Poi, chissà. Un ricordo inopportuno che attraversa la testa, una smorfia. Un'altra idea creativa. Ma non riesco a capire se ho voglia oppure no di uscire anche stasera. L'allergia a questi dannati pollini mi gonfia gola ed occhi come elio in un palloncino, mentre Aprile finisce. A sua insaputa, pure lui. Di cosa dovrei parlare, allora? Del programma di Bonolis che arriva su Antena 3? Dei decaloghi per il corretto utilizzo di twitter? O, forse, ancora dei fatti miei? Peró di quelli, in fondo, che vi posso dire? La bandiera della Spagna mi esalta sempre e comunque; ma un bicchiere di sangria a un festival etnico basta ormai da solo a mettermi KO. 

Sí, insomma: sto invecchiando. 

E che arrivi il Martedì, per carità. Dico davvero!

In tutto questo, scrivere del Festival del Cinema di Málaga m'ha messo voglia di guardare un film. Anzi, ecco di cosa vi posso parlare!  Carmina o Revienta, s'intitola. E' il debutto di Paco León (avete presente? Il Luisma di Aída!) come regista, nonché di sua madre nelle vesti di attrice. Ne parlano come di un falso documentario. Di una sorta di monologo. Di un lungometraggio che non si riesce a inquadrare in un genere concreto. Di un prodotto, peró, che ha sorpreso ed emozionato un po' tutti. E allora, ecco, sono alquanto curiosa. Anche perché “el flamenco, a mí me hierve las venas”. 


lunedì 6 febbraio 2012

Dolcemente complicata. (E senza pretese d'originalitá)

Dunque: è da almeno una settimana che cerco di esprimere un concetto sottoforma di post. Blogger è invaso da bozze che non pubblico. Nei miei fazzoletti, moccoli e disperazione. Se fossi un quadro, sarei probabilmente l'Urlo di Munch. Che, comunque, ha un discreto valore. Per dire. Mi vien da scuotere le chiome parodiando L'Oreal. “Perché io valgo”, detto con voce snob. Solo che magari mi si distorce di nuovo il collo. E ho voglia di ballare, non è il caso.



Comunque sia, ci ho ricavato una morale. No, due. Anzi, tre. Oh, insomma: i conti teneteli voi. Ma l'importante è che non iniziate a scrivere soltanto perché avete un buon titolo. Che mettiate via gli incipit ad effetto per le occasioni che valgono la pena. E, soprattutto, che non crediate mai a chi vi dice che i flussi di coscienza siano una bellissima invenzione. Non se scrivete con il vostro vero nome, per lo meno.

Quello che volevo dire, se lo privi degli strati di paturnie personali, era a conti fatti una sorta di derivazione sentimentalista delle leggi di Murphy. Della serie: ogni donna, prima o poi, si ritrova ad affrontare dei momenti di maggior fragilità. Giusto? Voglio dire, non sono solo io, quella strana. Lo cantava persino la Mannoia. Lo dice il titolo (e non a caso) anche se certo non è bello come l'altro a cui avevo pensato. Pazienza. Complicazioni a parte, il fatto è che in momenti del genere vorresti solamente dimostrazioni. Vorresti essere certa, assolutamente certa, al duemilapercento certa che tutto ciò in cui credi vale la pena. Che il tuo tempo lo stai investendo, non perdendo. Nient'altro. Non lo sai perchè. Forse c'entrano gli ormoni. Ma senti l'urgenza, tutto a un tratto, di una dose extra di affetto. E allora non importa da chi, quelle conferme, le vorresti. Dal partner, da un'amica, dal cantante che segui in tour, dai tuoi datori di lavoro, da tutti quanti insieme....non importa. Il punto é che, immancabilmente, in quei momenti tardano ad arrivare.

E allora, dico io, quanto sarebbe semplice riuscire solo a CHIEDERE?! A far capire a tutta quella gente, senza giri di parole, senza paura di sentirsi ridicola, che in quel momento, ebbene sì, hai bisogno di loro?

Non ce l'ho mai fatta. Non ce la farò mai. Decisa ad occultare le mie debolezze, cancello i post e faccio battute idiote. Mi mostro forte e divertente, - ah ah ah, guarda come sto bene! - mentre dentro, in realtà, mi torturo. Storia della mia vita. E dire che lo so, lo so benissimo: l'unica domanda che non può avere risposta è quella che alla fine non fai.

Che poi, quando ti senti completa e sorridente; quando davvero non avresti bisogno di niente e di nessuno...zacchete. Legge di Murphy. Immancabile. Il telefono ti assorda, lui che prima non squillava. Un abbraccio ti sorprende. Le belle notizie sembrano arrivare a frotte, quasi fossero attirate dal tuo stesso sorriso. E a te viene da chiederti: “ma dove diavolo eravate, prima?!”.

La mia vita non conosce il tempismo, e tantomeno l'equilibrio: questo è. Ha perso le mezze stagioni, come il clime. E forse è perchè lo so, se ancora stringo i denti aspettando nell'anima l'estate.

La vignetta dei Peanuts, la dedico oggi a chi si sente come me. Lunatica, sì. Ma non per questo una brutta persona.