mercoledì 18 gennaio 2012

Cronache catalane, parte II: letture e abbracci in una torre di vetro.


La sagoma di Sil, scura contro il sole del primo pomeriggio, ci appare inconfondibile in fondo alla strada. Davanti a lei, Judith ed Elena stanno già affrontando con aria decisa la porta girevole dell'edificio. E' una torre alta, vestita di quel vetro che non lascia spiare l'interno. Un grattacielo a cinque stelle le cui stanze danno presumibilmente la vista sul mare. Adesso, a guardarlo da qui, mi appare come una sorta di giocoso caleidoscopio: restituisce i raggi in tanti piccoli arcobaleni di riflessi colorati, perdendo tutta l'inquietante possenza che mi sembrava avere nel primo mattino.


Celine ed io acceleriamo il passo, dopo un pranzo trangugiato senza troppo entusiamo. Ho le ossa indolenzite dall'aria gelida del parco in cui ho passeggiato. Inumidite dal sudore del paseo maritimo in cui ho fatto turismo poco fa. Un'aspirina efervescente appena sciolta nel bicchiere previene gli effetti di tutti i miei starnuti. O per lo meno, vivamente ci spero.

“Ma ciao! Anche voi qui?!”

Raggiungiamo le altre nella hall di un albergo che fingiamo familiare, pur sapendo a perfezione che non potrà esserlo mai. L'orario l'ha svuotato dai clienti in partenza, lasciato intonso da chi è ancora fuori a pranzare. Resta solo la scelta tra i divani rossi e bianchi, disposti ad incrociarsi attorno a tavolini in vetro. Ordiniamo acqua e Coca Cola, per scioccarci bisbigliando dei quattro e quattro euro e cinquanta che ci vengono richiesti per ogni consumazione.

Sí, peró guarda che quell'acqua lí é proprio buona. Poi é nella bottiglietta di vetro...”
Ho capito, ma con 'sto prezzo me ne compravo tre casse intere al supermercato. Cos'hanno fatto, ci hanno tritato dentro le pepite d'oro?”



La sorseggio lentamente, come fosse un rito religioso. E nel frattempo penso a un vecchio corso seguito tempo addietro all'universitá. Non c'é che dire: qui li hanno seguiti tutti, i principi della comunicazione ambientale. Si respira relax in ogni angolo. Nella musica chill out che inonda l'ambiente a basso volume. Nella luce soffusa. Diffusa, non imposta dall'alto, dai pannelli colorati dietro al bancone del bar, dove un tizio sorride affabile anche se non ha nessuno a cui rivolgere il sorriso. Per cui, se alla comoditá dei cuscini aggiungete la digestione in corso , capirete che l'abbiocco lo schivo per un pelo. Anzi, forse non lo schivo affatto. Perché di fatto ho quasi chiuso gli occhi quando i musicisti fanno il loro ingresso dalla porta principale. Mentre gli altri chiamano l'ascensore, Iñaki ci rivolge un saluto da lontano. Qualche parola scambiata in fretta con Carlos Gamón, poi si dirige verso di noi.

“Hola! Como estáis?”

Bacini dispensati a tutte e cinque, nel momento in cui realizzo che, per la prima volta, ad aspettare Dani ci siamo soltanto noi.

“Come vi é sembrato il concerto, ieri? Si sentiva bene?”
“Benissimo, acustica perfetta!”
“Si sentiva da Dio perfino via cellulare, per cui non immagino dal vivo...”

Elena gli strappa un sorriso.
“Beh, il cellulare non fa testo! Ma tu non c'eri, ieri?”
“No, problemi di studio...solo oggi.”
“Invece voi vi fate tutte e due le sere?”, ci chiede abbracciandoci idealmente con un gesto della mano. Assenso sicuro. Occhi sgranati. E “Madre mía!!”

“...Porque esto costaba, no?”
“50 euro a biglietto”, esclamiamo tutte assieme, in tono grave.

“Caspita! Me l'avevano detto che l'affitto del Palau era caro, ma non avevo idea di quanto costasse...beh, grazie mille, davvero!”
“..comunque non é niente in confronto ai prezzi dei Red Hot Chili Peppers”, interviene Judith.
“Sei andata a vederli?”, si informa il pianista.

“Sí, qui a Barcellona. Concerto stupendo, per caritá, ma il biglietto mi é costato 101 euro tondi. Per una serata sola”
“E non eri in un posto vip, tipo poltronissima o roba del genere, immagino. Giusto?”
“Macché! Gradinate, come tutti.”
“Che esagerazione, per quel prezzo lí avrebbero dovuto come minimo offrirti anche una cena con loro, o un ingresso in camerino con catering e free drink.”

Scoppiamo tutte a ridere, un po' per sdrammatizzare. Nel frattempo, il “ping” dell'ascensore apre la porta ad una breve siesta pre-soundcheck.

“Vabbé, ciao ragazze! Io vado che poi tra un po' dobbiamo provare! Divertitevi stasera! E, allora, a dopo!”

Lo guardiamo allontanarsi, discutendo per un paio di minuti sul numero di piani che questo palazzo potrebbe mai avere. Non abbiamo molto tempo, per goderci ancora un po' la morbidezza dei cuscini. Giusto i secondi necessari a commentare l'affabilitá di Iñaki, ed inghiottire un altro sorso di acqua-pepita. Acqua con cui quasi mi strozzo non appena la voce di Elena, tirata ma tranquilla, informa che é terminata l'attesa. “E' arrivato Dani!”.

Sguardi che si girano in silenzio verso l'ingresso, indecisi sul tipo di saluto da lanciare. Decidiamo di rimanere sedute, come se niente fosse. Tanto lo sappiamo, ci speriamo, che si avvicinerá lui. E infatti.

Spalanca appena gli occhi azzurri. Espressione di divertita sorpresa, mentre la camminata svelta si dirige verso di noi.

“Hola Chicas!”

E' allora che mi alzo. “Hola”. E, raggiungendomi per prima, mi stringe in un abbraccio per cui non saprei mai trovare descrizioni. Una stretta morbida in cui mi culla un po'. Una stretta che si chiude un po' di piú attorno a me quando sto per abbandonarla. E mi trattiene ancora, per piú tempo di quanto – almeno credo – abbia fatto mai. Attorno a me la scena viene salutata da un corale “ooooh! Qué bonitoooo”, che mi arriva attutito. Che forse ho immaginato. Che non so mica chi ha pronunciato per prima.

“Gracias”, mi dice poi a voce bassa, quasi nell'orecchio, staccandosi da me.
“A ti”, dico con voce stupida e sorriso a troppi denti, mentre saluta le altre con due baci ciascuna.

Ne approfitto per estrarre dalla borsa il mio famoso libro, decidendo che il momento é ora.

“Dani, esto es para ti.”
Lo afferra, con sguardo interrogativo, iniziando piano a sfogliarne le pagine. Apre la bocca per dire qualcosa e, prima che possa farlo, lo interrompo con le mie spiegazioni.

“...Sono tutti i tuoi messaggi sul forum verde dal 2007 a quando é stato chius...”
L'entusiasmo di Elena, utente assidua di quel vecchio forum, mi coglie in contropiede.

“DAVVEROOOOO?!”
“Sí, tía, io l'ho letto ieri, é una figata, c'é tutto!”, interviene Sil.
“Oooh, io lo voglio! Dani, fammene una copia!”

“No me lo puedo creer!”
Dice allora lui, guardandomi con un'espressione in bilico tra commozione e shock. Prende a sfogliare le pagine piú avidamente, soffermandosi a leggerne qualcuna qua e lá. Guardo i suoi occhi scorrere sulle parole che ho copiato (e commentato), mentre le sue labbra si incrinano di volta in volta in un sorriso, in una smorfia o, piú semplicemente, in un atteggiamento di malinconica riflessione.

“...E poi ci sono altre sorprese qua e lá, e foto...”



Mi guarda fisso per un attimo. “Muchas gracias, de verdad”, poi torna a leggere. E a me inizia a salire un crescente senso d'inquietudine tra gambe e guance. Non c'é cosa al mondo che mi imbarazzi di piú di qualcuno che legge i miei scritti in mia presenza. Non importa che sia Dani o chiunque altro: il punto é che mi ha sempre fatto sentire dannatamente vulnerabile. Non so come spiegarlo, ma é decisamente peggio che parlare in pubblico. E' peggio di qualunque altra cosa. E' come...non lo so, come stare nuda al centro di una stanza piena di gente in smoking che ti fissa senza interruzione. E' terribile.

Cerco di far finta di niente, pur saltellando da un piede all'altro. Maschero il tutto con una parlantina di ritmo crescente, la voce mio malgrado sempre piú acuta.

“...e altre cose che, insomma, vedrai da solo. Quando lo LEGGERAI. In futuro.”

Ma sembra non cogliere. Ed io non ce la faccio piú.

“Peró non farlo giá adesso, che mi da..che mi da...non so...ufff!”
“Si imbarazza, Dani”, corre in mio soccorso Sil.
“Sí, parecchio, a dire il vero.”

Allora mi guarda, ridacchia, e chiude il libro in un tonfo. Dentro di me, sospiro di sollievo. Ma mi basta voltarmi un attimo ad afferrare la macchina fotografica per ritrovarlo con gli occhi sulle pagine. Cioé, chi é che diceva che la curiositá é donna?!

“Pero sigues leyendo?!”
Mi scappa ,in tono un po' indignato, dal profondo dell'anima.

Lo sguardo furbo che mi regala, tuttavia, sembra sufficiente a sciogliermi.

“Ah, ma praticamente sono le cose che scrivevi tu, e quelle che scrivevo io?!”
“No, no. Sono solo quelle che scrivevi tu! Magari avessi ancora le mie...quelle le ho perse!”

Nello stesso istante in cui pronuncio la frase, mi viene in mente che magari la pagina che stava leggendo era una delle poche in cui avevo riportato un nostro botta e risposta. Per cui é anche probabile che stia pensando che sono del tutto psicopatica. In effetti, lo sguardo perplesso ce l'ha. Ma, oh, insomma, chi se ne frega! In fondo mi conosce, ormai. Finanche nella mia pazzia.

Sfoglia rapidamente tutte le novanta pagine in formato a quattro, come una specie di maxi ventaglio. Poi le richiude in un tonfo.

“Beh, ho scritto un bel po', eh?!”, mi fissa sorridendo.
“...E pensa che magari mi é anche sfuggito qualcosa!”.

Il suo tono si fa serio.
“Io non credo che a te possa essere sfuggito qualcosa”.
“Infatti, proprio no”, gli danno man forte le altre. E io, per un istante, mi sento avvampare.

Judith, nel frattempo, ha preso in mano le redini della conversazione. Gli porge qualcosa da autografare, si complimenta per un programma televisivo andato in onda di recente, e - senza volerlo – dá il via a una discussione sul presentatore Cesar Millan. Ascolto interessata, senza avere molto con cui intervenire. Poi, senza soluzione di continuitá, Dani mi scuote dal mio provvisorio torpore.

“Ilaria, pero tú en qué parte de Italia vives?”
Semplifico adducendo la relativa vicinanza a Venezia, e gli strappo un'esclamazione di meraviglia.
“Venecia! Jo...qué bonito!”
“Devi venirci, lo sai”.
Sorride.
“Anche perché, a parte tutto, mi devi firmare un po' di roba: il libro, l'edizione libro di Pequeño, Arriba el telón, de Personas a Personas...tutte 'ste robe pesano, non le riesco mai a portare in valigia viaggiando con Ryan Air”

Con la coda dell'occhio, scorgo in quel momento la presenza fino ad allora muta del road manager Carlos, che sta osservando i miei deliri con aria a dir poco sconvolta. Devo fare uno sforzo sovraumano per non ridere.

“Mentre César é di Roma, giusto?”

Torno a concentrare l'attenzione su Dani, perplessa. Cesar Millán? Quello di cui stavano parlando poco fa? Ma non era messicano?

“Davvero? Non lo sapevo!”

Dentro ai suoi occhi azzurri, vedo apparire distintamente un altro paio di punti interrogativi. “Come no? Cesar, Cesare”. L'inciampo sulla pronuncia mi svela di colpo l'arcano. Sí, ma allora ditelo, peró, che il soggetto é cambiato!

“Ahhhh Cesare! Cesare Cremonini?”
Annuisce, come se fosse ovvio.
“No, lui é di Bologna”.

“Bologna. Ah.” , ripete con aria pensosa. “Comunque lui adesso sta facendo cinema, vero? Cioé, non sta facendo musica, giusto?”

“No, no, guarda che sta componendo per il disco nuovo!”
“Ah, sí?”.
Per qualche strano motivo, ho come la sensazione di dover aggiungere qualcosa.

“Ma alla fine com'é finita, allora? Collaborate? Vi siete parlati?”
“Mah, guarda...io gli ho scritto, qualche volta. Ma penso che non mi capisca.”
“Scrivigli in inglese!”

Ci pensa sú un attimo, fissandomi.

“E' che il mio inglese non é che sia particolarmente buono...mi sa che capirebbe ancora meno!”

Scoppiamo tutti a ridere. A me resta strozzata in gola la proposta di fungergli da traduttrice. Forse dovrei dirlo, e peró forse é scontato. Forse, soprattutto, sembrerebbe un modo bieco e subdolo per cercare di avvicinarmi di piú a lui. Forse, se non fossi una fan, sarebbe piú facile. O forse sono solo paranoica, che ne so.

“Beh, ragazze, vado a riposare un po'. Ci vediamo stasera”
“Possiamo farci una fotina, prima?”, chiede Elena.
“Certo!”

“Rifalla”, dice all'improvvisata fotografa quando arriva anche il mio turno, “che mi sa che ho chiuso gli occhi”.
“Sí”.



E poi, mentre ormai sto allontanandomi, mi accarezza teneramente la schiena.
“Gracias por venir”, ribadisce mentre mi volto.
Con lo stesso tono stupido di sempre,ancora non posso evitare di rispondergli “a ti”.

Proprio ieri, su twitter, Dani Martín ha chiesto a Cremonini come procede il suo disco. In inglese. Non ero neanche connessa. Peró non so spiegarvela, la mia soddisfazione.  

(to be continued...ma manca poco, lo giuro)

martedì 17 gennaio 2012

Cronache catalane, parte I: "approfitta e tocca" e la dura vita di una fan.

Il punto, fondamentalmente, é che noi fans siamo gente strana. Sí, insomma: lo sappiamo, che il frigorifero dei nostri idoli si riempie grazie a noi. D'altronde é la piú classica tra le rivendicazioni incazzate, se le cose non vanno come ci aspettiamo. Un po' da film disney di seconda categoria, per capirci. E' l'eccesso di arroganza del “ sei qui grazie a me” che – ringraziando il cielo- non ho mai avuto ragione di esternare. E'il commento in tono acido che ho sempre immaginato uscire dalla bocca di una bionda con le unghie finte lunghe quattro centimetri l'una. Una che odora di lacca per capelli. Giuro, non lo so perché. Ma ne siamo consapevoli, quest'é. Ce l'aspettiamo, quel grazie. Eppure, per qualche motivo, riusciamo comunque a sentirci sempre in debito. Come se la colonna sonora della vita fosse un premio troppo grande per riuscirlo a ricambiare. E' per questo che, da Dani Martín, io non so presentarmi a mani vuote. Per questo che, per circa un giorno e mezzo, il libro mi pesa in borsa tutte le sue migliaia di parole. 




Ci ho messo dei mesi a redigerlo. Lavoro di ricerca, selezione ed editing sfociato nell'antologia ragionata di tutti i suoi vecchi messaggi sul forum. Nel riflesso cartaceo di ricordi ed emozioni che s'apre in una lettera e si chiude con la traduzione di un post. Qualcosa che, se fossi in lui, vorrei sicuramente possedere. Qualcosa che adesso, in questa Barcellona piena di sbalzi termici e ottimismo forzato, gli voglio assolutamente consegnare. Per quanto la fortuna non sembri propriamente condividere l'idea. 

“Sono alla stazione di Sants, davanti al tabellone degli orari”

L'esseemmeesse di Celine mi sorprende sudata ai piedi di una scala. Iniziava tutto cosí. Abbandonando il sesto piano di una pensione senza ascensore dalle parti della Barceloneta.

“Di giá? Cacchio, ma sei in anticipo!”

Iniziava con una corsa contro il tempo per i corridoi troppo lunghi e troppo bianchi del metro. Le lancette indifferenti ai tempi del transbordo, mentre sfrutto gli ultimi 30 centesimi della mia scheda yoigo. “Vi prego, intrattenetelo, se ha preso quel treno lí”. Rossetto steso sulle labbra screpolate in mosse da contorsionista con le gambe attorno al trolley. Flashback non voluti di Sliding doors. Il fiato che non regge la mia corsa. L'immagine di due ragazze che chiacchierano tranquillamente davanti all'uscita degli arrivi. E, no: su quel treno lí, alla fine, non c'era. 

Ci passiamo mezza vita, allora, in quella stazione. Colazione al Mc Donald's, addentando le nostre brioches accanto al gazpacho di un presunto inglese. Calcoli basati sulla dinamica dei tweets. Aspettiamo fino al treno delle 12.40. Un divisorio in vetro a separarci dalle nostre speranze. Qualche chiacchiera ancora. Le lancette che marcano l'una, mentre decidiamo di tornarcene via. 

Lo scopriamo due ore piú tardi, quando quello stesso luogo si  rianima di reincontri e di maglie del merchandising. Il gruppetto sempre piú folto, le macchine fotografiche strette in mano, i  Bloc notes pronti a ricevere autografi. Forse per questo, mossa da pietá, la ragazza in divisa della Renfe ce lo dice. Dani Martín é giá in cittá. E' arrivato all'una e un quarto. Mentre Sil stava ancora facendo il biglietto appena al di sotto di questo stesso pavimento laccato. Merda. 

Non ci demoralizziamo, peró. In fondo, tra poco piú di un'ora c'é la prova del suono. Un pranzo veloce al baretto all'angolo e poi via, verso il Palau. Continua cosí. Con lo studio accurato delle possibili uscite. L'arrivo dei musicisti dentro a un furgoncino bianco. Le chiacchiere con Anto, e gli abbracci di MariCarmen che da secoli non vedo. “Holaaa!”, esclamo felice in direzione di Iván, tutto intento a sistemare il merchandising nel banchetto all'entrata. Un paio di ragazze, mentre il cielo si fa buio, iniziano a distribuire volantini promozionali. “Ser es mejor que aparentar”, dice una citazione autografata sopra ad uno scatto di Ruben Martín. Socializzo con una giornalista di Europa Press, scocciata di attesa e osservazione. L'edificio alle nostre spalle, esagerato d'eleganza, mi procura col suo stesso essere euforia. L'euforia, peró, é un sentimento d'eccesso. E, come tutti gli eccessi, pare stancarsi essa stessa di sé. Sará che devo andare in bagno. Sará che le gambe fanno male, che ne so.  Resta il fatto che, di botto, é come se mi vedessi dall'esterno. E non é piú solo il libro, a pesare. 



Che ci faccio io, qui? Una giornata intera a Barcellona e ho visto a malapena la stazione e quest'incrocio di strade. Inizio ad avvertire il freddo tra i vestiti, come se lo sentissi per la prima volta. Come se mi arrivasse dal cuore. Sto bene qui, intendiamoci. Qui in mezzo a queste facce che conosco, in mezzo a queste voci a cui ho tanto da dire. Eppure, per quanto mi sforzi, non riesco a non pensare di aver perso solo tempo. 

“Senti, il libro lo spediró a Puerco Espín. Andiamocene, che mi voglio cambiare”. 

Mentre camminiamo lentamente verso l'ostello, una citroen grigia si addentra nella strada parallela. Una sola occhiata. Celine e io giá sappiamo, dentro, chi c'era. 

Quello che non sappiamo, peró, é che ha un telefono in mano.

Perché sí, signori. In quello stesso momento, Dani Martín stava rispondendo a mia madre su twitter. Lei gli aveva scritto di mandarci un bacio. Che saremmo state in fila 10, stasera. Dalla Francia e dall'Italia, una volta di piú. Ed é quando leggo della sua gratitudine che capisco che la sorte é destinata a cambiare. Sará un gran giorno. Sará un gran viaggio. Ora lo so. 
E, Dio, quanto avevo ragione!

Ché, poche ore piú tardi, le note di Cruce de Caminos mi spronano ad alzarmi dalla mia poltroncina con un discreto anticipo sulle file anteriori. E' un attimo. Lo sguardo del cantante si sposta nella mia direzione, illuminando il  volto in un sorriso. Mi indica. Io azzardo un gesto di saluto. Come risposta, si batte due volte la mano sul cuore. Né libri né ricerche estenuanti: in questo momento, al centro della mia gioia, ho giá tutto quello che potrei volere. 





Ma ormai ho giá saputo anche l'hotel in cui si alloggia. Ormai che, conti fatti, non ricerco piú niente, tutto ha giá iniziato a riversarsi addosso a me. La ruota sta girando. Non la posso-  non la voglio - fermare. E' per questo che, comunque, lo aspetto all'uscita del Palau. Anche se basta guardare la quantitá di persone pressate attorno alla porta laterale per sapere con certezza che adesso, il libro, non glielo daró. Non importa, peró: adesso ho piú fiducia nel domani. E allora, preannunciato da una finestra e da urletti stereofonici, lui scende nella bolgia infernale. Decine di ragazzine gli si avventano letteralmente addosso, sparando flash praticamente a caso. Io mi mantengo in disparte, la schiena alla parete, lontana dal casino. Forse, da quella finestra, mi aveva giá vista, peró. 

Prima di prestare attenzione a uno qualsiasi dei loro striduli “Dani, Dani”, gira lo sguardo verso di me. Il suo “Hola Ilaria!”, per qualche ragione, mi precipita in uno stato di tranquillo relax che, da quel momento, non mi abbandonerá piú. Rispondo sorridente, agitando soltanto la mano. E arretro un altro po'. Stia indietro, la miscela di vergogna e oppressione che riesce sempre a provocarmi l'altrui diluvio di ormoni. Le osservo da lontano, vagamente divertita. Decisamente al sicuro. Quello che non avevo calcolato, peró, é che Dani avrebbe approfittato del primo varco disponibile per avvicinarsi a me. Quello che non avevo calcolato, é che di quella massa lui é calamita. Un frammento di secondo per mettermi in allarme: stare con la schiena alla parete, a conti fatti,tutto é stato tranne che una buona idea. 

Succede tutto in fretta. Troppo. Lui si avvicina, indicandomi previamente con il dito indice, come a dirmi “attenta, ora vengo lí”. Per un momento, le mie assurde sinapsi cerebrali lo mettono in associazione coi manifesti dello zio Sam, cosí mi scappa da ridere.  Quasi si facessero riflesso della mia stessa allegria, anche i suoi occhi azzurri s'illuminano divertiti. 

“Ilaria! Como estás?”

Un abbraccio veloce, peró stretto. La sua barba che punge appena le guance. Due baci piantati, non lanciati nell'aria, con il loro lieve schiocco ad accompagnare il profumo. Quel profumo. Dio, perché accidenti si rovescia addosso la bottiglietta intera? Perché é cosí intenso? Perché accidenti passeró la notte a risentirlo appiccicato sui capelli ogni volta che mi rigiro sul letto di un ostello low cost? Questa é cattiveria, ve lo dico io. 

Ché poi, in un attimo, mi lascia stordita. Ed io non ho il tempo materiale per reagire. Oddio! Le vedo in un sussulto di panico, attorniarmi come una mandria di bufali impazziti. Sento i loro corpi farsi sola, spaventosa, minaccia. Il piede arretra di un passo, ma tocca la dannata parete. Dietro di me, soltanto pietra. Davanti a me, Dani. Davanti a Dani, attorno a Dani, solo gente indemoniata. E' allora che realizzo: finché non se ne andrá, non riusciró in nessun modo a muovermi da qui. 

All'inizio cerco di farmelo piacere. Voglio dire, in fondo sono appiccicata a lui, con la testa praticamente appoggiata alla sua spalla. Dovrebbe essere bello, no? Bellissimo. Cavolo, sono una sua fan! Ben presto, peró, inizio a sentirmi oppressa. E' una situazione assurda. Direi claustrofobica. Lo sento borbottare in loop costante “esto es un lío”, questo é un casino, “es un lío de cojones”. E poi voltarsi un attimo a guardarmi, scuotendo la testa come a scusarsi. “Es un lío, sí...”, mi sento dire poco convinta, come se la mia voce venisse da altre dimensioni. Nel frattempo, la gente gli porta un braccio alla spalla e si scatta foto. Di continuo. Senza curarsi del fatto che, nel mezzo, scusatemi tanto, ci sarei anche io. Ad ogni flash mi accuccio dietro la sua schiena, come se fossi un cagnolino terrorizzato dai botti di capodanno. Deduco che in ciascuna delle foto di quelle ragazze ci sará un'inquietante massa di capelli uscire dal fondo. E, per un momento, mi viene di nuovo da ridere. Poi, peró, l'angoscia torna. 

“Sentite, potete spostarvi un attimo? Non riesco neanche a muovermi!”

Una ragazza, emersa da chi sa dove, mi guarda con aria di sufficienza. 
“Beh, giá che sei lí approfitta e tocca, no?”

Rimango talmente sconvolta da non riuscire a ribadire nulla. “Approfitta e tocca”?! Cioé, ci rendiamo conto? Cos´é, un oggetto? La lampada di Aladin? Allucinante. In quel momento, prima che Carlos lo protegga con un braccio fino alla porta del furgoncino, decido che alle uscite non l'aspetteró mai piú. Non quando vengo a sapere il nome dell'hotel, almeno. 

“Hasta mañana”, gli urlo dietro mentre sale. “E ti daró quel libro”, aggiungo tra me e me.

(to be continued...) 

domenica 15 gennaio 2012

Ritorno da Narnia (anteprima)

"Scriverai le cronache di Narnia!"

Sorrido tra me e me: alla resa dei conti, la sua battuta ci sta a perfezione. Seduta al bordo della fila vuota di un volo ryan air, un tappeto di nubi a sinistra, sembra proprio di tornare da altre dimensioni. D'altronde, non sono ancora scoccate le dieci. Dopo tre giorni di sonno stentato, rifiutato o brutalmente interrotto, soppiantare l'abbiocco con la schermata di word è chiaro sintomo di un'urgenza evidente. Io devo - assolutamente devo - riordinare le idee.



E' che, dentro alla mia testa, le immagini del viaggio si rincorrono confuse. Irreali e spezzettate come quelle di un sogno. Che poi, in effetti, gli ingredienti del sogno ci son tutti di nuovo. Però ho le foto, di nuovo. Dio, siano benedette! Chè io lo so che mi ripeto, ma il  bi-bip di accensione è porta alla conferma. Il metodo più veloce per essere certa che sia accaduto davvero. Cerco di ripensarci , adesso. Di tirare le fila in nessi logico- consecuenziali, mentre non sono del tutto certa di dominare ancora l'italiano. L'hostess, nel frattempo, continua a spacciare gratta e vinci e sigarette senza fumo, come se avesse il diritto di distrarmi da quest'arduo - ma dolcissimo- lavoro. Se non ci fosse lei, credo che scrivere in aereo mi piacerebbe pure.

Però, le immagini, dicevo... lì c'è tutto, a ben vedere. Le tapas de El Viejo Pop, i vicini che russano nella stanza accanto, la (neanche tanto) lieve strizza che mi da un parc guell inspiegabilmente troppo buio by night. E, ancora, i gomiti appoggiati al palco. Le note di Cruce de Caminos. Il mondo che mi chiama in cacofonia mentre i megafoni annunciano di andarsi a sedere. I reincontri inaspettati, le conoscenze attese. La casa di Montse come un parco giochi di ninnoli, e il suo pappagallo che mi saluta felice. "Hola! Hola!". Rivedo, adesso, l'eleganza sovraffollata del Palau. La faccia dispiaciuta di Ivan nel dirmi che i bracciali sono finiti. La torre di cristallo di un hotel a cinque stelle. Il saluto raggiante di Carlos e María.  Iñaki che ci chiede se i biglietti erano cari.



 Ma, soprattutto, ripenso ad ognuno degli incontri che,in questi giorni, ho avuto con lui. Ai suoi abbracci, alle sue carezze. Al modo in cui stringendomi piú a lungo, un po' piú forte, oppure in modo inaspettato, riesce sempre a dirmi di piú di quanto le parole potrebbero mai fare.  A come, con uno di quei - tanti, wow! - abbracci ha messo a tacere anche le mie paranoie, catapultandomi al centro di un finale da film. "Buen viaje", allora. Che, per una volta, la tranquillitá é stata parola d'ordine. Ha vinto la sfida di sostenere sguardi troppo azzurri, di riempire silenzi, di essere me. Ed é per questo, a conti fatti,  che i ricordi mi sembrano irreali: perché tutto mi é parso normale. Stare lí, chiacchierare con lui senza imbarazzi, sí, lo giuro, mi é sembrato normale. Almeno finché poi torno da Narnia, mi guardo dall'esterno, e me ne accorgo. Mi rendo conto, come se prima non l'avessi capito, che la persona che mi coccola, quella che mi trasmette tutto questo calore, affetto, e gratitudine, é la stessa da cui a volte anelo una risposta su twitter. La stessa che illumina le mie giornate con i dischi che ho stipato sulla scrivania. Note e melodie che, rispecchiando la mia vita, sono riuscite in qualche modo a diventare mie.  Chi mi abbraccia é Dani Martín. Proprio lui: il cantante per cui faccio tutto questo, la ragione stessa del mio avido viaggiare. Testo e musica hanno colpa, adesso, della mia leggera depressione da rientro. Tutto loro é il merito della mia incontenibile euforia.



Intanto, qui a sinistra m'é apparsa la costa della Francia. L'opportunismo del marketing di Ryan Air ha spinto la hostess (che, davvero, non sta zitta un minuto!) a vendere cuffie "a chi é stufo di ascoltarmi". Ed io lo so che volete i dettagli. Ve li devo. Solo che queste cronache, francamente, non ho ancora capito da dove accidenti le dovrei cominciare. Vi chiedo solo qualche giorno per tirare il fiato.

Ma se Barcellona doveva farsi perdonare, sappiate intanto che ci é riuscita alla grande. Se come fan pensavo che niente avrebbe mai superato il doblete Valencia-Palma, beh...questo giá lo dico: mi sbagliavo.

martedì 10 gennaio 2012

Sii buona, Barcellona. Si us plau.


Mi hanno rubato il portafoglio, l'ultima volta che ci sono stata. Mani in tasche altrui. Orecchio incollato al telefono sul tren de cercanías diretto a Mataró. Alba alla centrale dei Mossos d'Esquadra, con gli occhi blu di un giovane in divisa a farsi unica consolazione. La volta prima, d'altro canto, avevo attraversato a piedi ben piú di mezza cittá. Un'amica, al mio fianco, condivideva sbadigli e scarso self-control. D'altronde la stanchezza, se eccessiva, fa impresa impossibile anche del semplice atto di leggere una cartina. L'edificio dell'universitá, monito inconfondibile: "Naza, abbiamo sbagliato strada". E poi ancora la notte, il taxi che sfrutta il mio accento straniero per passare due volte sulla stessa via. Tassimetro che corre sopra a una polemica lieve. Ecco: se non c'é due senza tre, io avrei anche giá dato. Adesso, Barcellona, mi puoi pure perdonare. 


Perché in fondo lo so: é tutta questione di energia. Sí, insomma, io credo che i luoghi lo percepiscano, il nostro stato d'animo. Rispondono alle nostre predisposizioni nei loro confronti, adeguandocisi in conseguenze di sorrisi o negativitá. E lei magari lo sapeva, allora, quanto disperatamente io adorassi Madrid. Chissá, forse voleva dare una lezione al mio snobismo. In fondo non l'ho mai sopportato, l'eccesso chiassoso di connazionali sulla Rambla. La strana convinzione dell'italiano medio di conoscere la Spagna solo perché é stato in fila all'ingresso della Sagrada Familia. Io dicevo “é Catalunya”. Ribadivo: “cacchio! Sí, lo so che é bella, ma resta pur sempre la cittá meno tipicamente spagnola che ci sia”. E poi la criticavo, l'invadenza degli indiani che quasi ti lanciano addosso magliette blaugrana. I prezzi troppo esosi della metro. Quell'atteggiamento, nel calore, un po' piú freddo della gente che cammina per strada. Barcellona mi ha punita per questo, ecco la veritá. E, a dirla proprio tutta, ha avuto anche ragione. 



E' che, vedete, il pensiero umano é selettivo di per sé. Cosí, di fronte ai miei piccoli traumi, ha rischiato troppe volte di dimenticare tutto ció che di bello mi ha donato, invece, la cittá. Tutto quello che, negli anni, ha finito per significare nella vita. Allora, questa volta, sará diverso. Questa volta, io le vado incontro cosí: con i ricordi positivi ben stipati in valigia, accanto ai miei pacchetti regalo e alla bandiera che mi porteró comunque. Anche se non l'useró. Perché senza la bandiera, ormai, non mi sembrerebbe neanche di seguire un tour.  

Domani parte il mio volo, e io terró bene a mente il giorno in cui, a Barcellona, ho comprato il mio primo disco de El Canto del Loco. Cercheró di ricordare che é quella la cittá in cui, per me, tutto é cominciato. Voglio che torni ad essere quel luogo, dannazione. Il luogo delle scoperte, del “footing” al Parc Guell, delle risate. Il luogo in cui ho imparato la parola “cenicero”. Barcellona, in fondo, é l'ambientazione di uno dei miei film preferiti. La cornice del programma televisivo che mi ha ispirata per il nome del blog. E allora perdonami, ti prego. Perdonami, tu che hai sempre provato a parlarmi mentre ero troppo ingrata per saperti davvero ascoltare. Questa volta, lo prometto, ti sapró amare di piú. 





Cosí chiudo il trolley con la speranza di un abbraccio, la certezza di moltri reincontri, e le aspettative un po' piú alte del dovuto. Tra le mie mille lune, un cantante mi scrive su twitter parole carine. Ed é sempre un po' strano, in fondo, iniziare la settimana sulla stessa strada in cui la finiró...strano, sí, se penso che nel mezzo io saró davanti a lui. Lí, in uno dei pochi posti che davvero m'appartengono. Dove, finito un palco, esplode piena e incontenibile la mia felicitá.



Torno a fare la "groupie". Ci si risente domenica, my friends. 




venerdì 6 gennaio 2012

Venerdí...Migas!


Le Migas sono un piatto murciano di origine povera. Delizia ancora troppo poco conosciuta a livello internazionale, si è diffusa negli anni in tutto l'entroterra spagnolo, finendo per registrare infinite variabili locali. Esistono, ad esempio, le migas manchegas o le migas aragoneses, altrettanto squisite. Perché non dirlo? Sono anche tra i piatti più economici in qualunque menù. Vi svelo un piccolo segreto: la prima volta che mi ci sono cimentata in cucina, non avevo ancora avuto modo di assaggiare le originali. Eppure, la mia personale versione m'é piaciuta addirittura di più di quelle (pur buonissime) assaggiate in seguito su territorio spagnolo. Perciò, beh: io non lo so, se la mia ricetta sia effettivamente quella tradizionale, né se la procedura di preparazione sia effettivamente tra le più canoniche. Però, che volete che vi dica? Il risultato mi piace. E spero piacerà anche a voi. 

Ingredienti:

Aglio 
Peperoni verdi o rossi
Sale
Pancetta tagliata a dadini
Pane raffermo (o, in alternativa, farina setacciata) 
Acqua
Olio d'oliva


Lascia il pane raffermo in ammollo in acqua per circa 10 minuti. Nel frattempo, in una padella soffriggi gli spicchi d'aglio, la pancetta tagliata a dadini e i peperoni tagliati a listelle. Metti il tutto da parte. Aggiungi un po' d'olio in padella, prendi il pane  precedentemente lasciato in ammollo e versalo in padella. Cucinalo finché non diventa dorato e assume la consistenza di briciole più o meno grandi, mescolando continuamente perché non si attacchi. Una volta raggiunta la doratura, basterà aggiungerci l'aglio, la pancetta e i peperoni precedentemente soffritti. Voilà. Le vostre migas saranno pronte. 

NB: In alternativa, le Migas si possono preparare anche utilizzando la farina setacciata al posto del pane raffermo (in effetti, quelle che vedete in foto sono state preparate proprio con la farina). Basta mescolarla con acqua e un pizzico di sale fino a che non diventi una sorta di pasta. A questo punto, basta versarla in padella e seguire il medesimo procedimento. 


giovedì 5 gennaio 2012

Remix cerebrali tra le braccia di Morfeo.


Il mio cervello fa remix che manco Pitbull. Prendete, nell'ordine: la lettura serale di un libro in cui si parla di fiumi e chitarre; la necessità di aggiornare il fanclub italiano di Dani Martín e David Otero; l'avvenuto check in online per un prossimo volo a Barcellona; gli scambi di corrispondenza con un'amica francese, la consultazione del sito web trenitalia, e la visione di vecchi filmini famigliari datati fine anni 80. Beveteci sopra una tisana alle erbe. Quindi, shackerate bene. Probabilmente, ne otterrete anche voi qualcosa di estremamente simile al sogno delirante che mi ha intrattenuta la notte scorsa. D'altronde, quando ne ricordi ancora ogni minimo particolare, non divulgarlo sarebbe un peccato. No?

Dunque.



Mi trovo in un paesello a me sconosciuto. Case bianche. Gerani rossi sui davanzali. Cielo terso. In giro, pochissime persone. Passeggio accanto a mio padre. L'intento è quello di tornare verso l'aeroporto, dove mia mamma già ci aspetta per partire: a quanto pare, dobbiamo imbarcarci tutti su di un volo per Modena. Durante il tragitto a piedi, mi viene in mente che non ho controllato gli orari dei treni da Modena a Parma. Ed evidentemente è proprio quella, la mia destinazione finale, perchè mi assale di botto una discreta ansia. Ormai è tardi per cercare un internet point. Sempre ammesso che qui ci sia, un internet point. Mi guardo attorno, l'aria disperata. La strada, ormai, è deserta del tutto. Forse è l'ora della siesta. Ad ogni modo, non c'è segno di negozi, o attività commerciali di nessun genere. Case, case, solamente case. Mi viene in mente che, tutto sommato, di treni da Modena a Parma ce ne sono sempre e comunque tanti. Potrò occuparmene una volta lì. Il fatto, poi, che tra le due fermate ci sia solo Reggio Emilia, riesce a rallegrarmi particolarmente. Ci metteró poco piú di mezz'ora! Praticamente, niente! Persino nel mio subconscio, viaggare sui regionali mi nausea.

Mentre mi pianifico l'immediato futuro, mi accorgo, peró, che mio padre ha imboccato la via sbagliata.

Guarda che non é questa strada, é la parallela!”
No, no. Fidati, é giusta. Ti confondi perché sono tutte uguali”.

Per un istante, devo ammetterlo, il dubbio mi viene. Ben presto, peró, ci accorgiamo che la strada finisce con un fiume dalle acque turchine. E capisco che avevo ragione. Per qualche strano motivo, tuttavia, mio padre il fiume sembra non vederlo. Ci cammina dentro, deciso a proseguire. A me torna l'angoscia.

Papá, dove vai? Dobbiamo tornare indietro! Non la vedi, l'acqua?”
Solo a quel punto, lui guarda a terra.
Oh, cavolo, é vero! Non me ne ero mica accorto! Allora avevi ragione tu, sulla strada”.



Faccio per tornare indietro. Lui, peró, mi afferra per un braccio, indicando una traversa piú vicina.

Se dobbiamo immetterci nella via parallela, possiamo svoltare anche di qui, che facciam prima!”.

Non del tutto convinta, lo seguo. In fondo, la frase é perfettamente logica. Ben presto, peró, noto che il fiume inonda tutta la strada che abbiamo imboccato. L'acqua é piú alta. Piú blu. Per qualche motivo, piú minacciosa. Ma, nemmeno questa volta, mio padre la vede.

Attento! Il fiume!” , urlo in tono troppo acuto mentre ormai ne é immerso fino alla vita. Per tutta risposta, si gira verso di me con aria insolitamente calma. “E' vero, per di qua non si passa. Torniamo da dove siamo venuti”.

Siamo ormai a pochi passi dall'aeroporto, quando incontro una serie di ragazzi e ragazze che non riesco, adesso, a definire. Li conosco bene, comunque. Mi fermo a chiacchierare un po' con loro. Mi invitano a mangiare un gelato nel bar che, mi accorgo, si erge alle loro spalle. Un'occhiata all'orologio: c'é tempo. Saluto mio papá con un cenno della mano, e li seguo, felice, all'interno. Ci sediamo ad un tavolo in veranda, le finestre che lasciano penetrare la luce accesa del sole. Le poltroncine di paglia. Attorno a me, tutti parlano in francese. Tutti tranne la compagnia con cui mi trovo, ovvio. Un cameriere si avvicina posando al centro del tavolo una grande coppa di cristallo contenente una porzione di gelato e tanti cucchiaini, uno per ciascuno. Chiedo a qualcuno dei commensali come mai avessero ordinato un solo gelato per tutti, e scopro che in quel posto é cosí che si fa. Allora inizio a prenderne delle piccole cucchiaiate, senza fare altre domande. E' delizioso.



Alzo gli occhi, e mi accorgo che c'é un piccolo televisore fissato in un angolo. Stanno emettendo un programma musicale, o forse un varietá. Un presentatore blatera qualcosa in francese ma, ovviamente, io non ci capisco nulla. Continuo a mangiare il gelato. Quando rialzo lo sguardo, il volto famigliare di David Otero, El Pescao, sta cantando le sue stesse canzoni tradotte in italiano. Ma un italiano stereotipato, in realtá inesistente, assolutamente incomprensibile. Indossa la maglia della nazionale azzurra e si sta dimenando, affiancato dalla sua band, all'interno di una scenografia pacchiana. Anch'essa, tutta sui toni del blu. E' solo quando un tizio barbuto compare sulla scena che la scritta in sovrimpressione chiarisce tutti i miei dubbi: “Omaggio all'Italia – decifro – nel musical su Leonardo Da Vinci, ultima fatica de El Pescao”. In realtá, la performance non mi convince affatto. Peró, sono improvvisamente eccitata: adesso so cosa scrivere sul fanclub!

Sto ancora cercando di rielaborare quanto ho appena visto quando mi accorgo che attorno al tavolo a cui sono seduta, e proprio accanto a me, c'é Dani Martín. Forse c'era anche prima. Forse é appena arrivato. Chi lo sa. Il punto é che la cosa mi sembra assolutamente normale. Improvvisamente, inizia a intrattenerci raccontando delle barzellette in un italiano perfetto, imitando di volta in volta quasi tutti gli accenti regionali. Io lo guardo stupefatta.

“Ma...parli benissimo la mia lingua! Molto meglio di tuo cugino”, gli dico, sinceramente ammirata. “Non si sente proprio la cadenza spagnola”.

E' che l'ho studiato all'accademia di Arte Drammatica”, risponde lui come se fosse del tutto logico. Tacitamente, soppeso l'informazione nella consapevolezza di avere un'altra cosa da scrivere sul fanclub.

Uscendo dal bar, noto poi delle chitarre posate su di un mobile all'ingresso. Sono tutte usate. Ognuna di loro ha legato sopra un cartellino arancione con sú scritto il nome del proprietario e il prezzo base per l'offerta d'acquisto. Sono tutte bellissime, tranne una. Una piccola, squadrata, impolverata. “Ma non potevano, almeno, pulirla?”, esclamo indignata. Poi, noto il cartellino che l'accompagna. “Ve la do gratis, basta che ve la prendiate”. Sotto, il nome e cognome di un amico, Marco. Che- manco a dirlo – proprio in quel momento fa la sua apparizione nel bar.



Scusa, ma da quando in qua regali chitarre? E non potevi almeno sprecarti a passarci uno straccio sopra?”, lo aggredisco. Lui si stringe nelle spalle.
Troppa fatica. Se se la prende qualcun altro, perché dovrei pulirla io?”.

Un po' perplessa, e ancora vagamente infastidita, mi trovo ad afferrarla.
Beh, senti, se é gratis me la prendo io. Magari é la volta buona che imparo a suonarla!”

Ed esco dal locale con aria vittoriosa.

Finalmente, arrivo all'aeroporto. Che, in realtá, non é altro che una stazione degli autobus semi-abbandonata. Ricorda molto quella di Corral de Almaguer. I miei mi stanno aspettando davanti ad un pullman blu che sembra in procinto di partire. Noto che mia madre indossa un maglione extralarge pieno di perline e la stessa collana di perle che portava sempre quando ero piccola. Non faccio neanche in tempo a salutarli che ricordo di non potermi portare via la chitarra. Voglio dire, dovrei imbarcarla nella categoria “oggetti speciali”, e ormai ho giá fatto il check in online.

Facendomi di nuovo prendere dall'ansia, inizio a fermare i pochi passanti che incontro cercando di piazzare lo strumento a qualcuno. Peró, niente: é impolverato, bruttino, nessuno lo vuole. Soltanto all'ultimo minuto, e dopo innumerevoli tentativi, riesco a passarlo ad una ragazza che, nel sogno, so essere amica di Marco. “Ridagliela quando lo vedi, per favore”. Ma devo implorarla inginocchiandomi sull'asfalto, perché dica di sí.

Sto ormai salendo sulla corriera quando vedo Marco arrivare in stazione assieme ad Alessandro. Al che, ovviamente, un po' mi incazzo: dico io, ma non potevano arrivare prima?!

....Dovró controllare che tipo di erbe avesse poi dentro quella tisana. 

martedì 3 gennaio 2012

Cronache dal Día Internacional dela Resaca.

Il primo post dell'anno mi mette sempre addosso un certo senso di responsabilità. Per questo l'ho posposto di un paio di giorni. Sí, insomma, per schivare l'obbligo di scrivere tutto l'anno. Tacita ribellione ai detti popolari. Anche se, inevitabilmente, giá sapete che comunque lo faró. 1 gennaio, día internacional de la resaca: cosí ha detto qualcuno live from Spain. E giuro che ancora non riesco a capire come in effetti riesca davvero ad esserlo anche quando di alcol non ne bevi granché. Io, comunque, l'ho affrontato indossando mutande rosse e un braccialetto messicano. Ché non si sa mai, magari contrasta la profezia Maya. Nel dubbio, ho anche cantato cielito lindo a squarciagola. O forse l'ho soltanto immaginato, boh. Tve Internacional, con il volume azzerato, dal canto suo mi rimandava indifferente immagini di una gremita Puerta del Sol. Nel chiedermi come accidenti facciano a non strozzarsi con l'uva, quasi dimenticavo il capitolo- auguri. Giá, giá, buon anno a tutti. E allora giú botti. Migliaia di euro a famiglia trasformati dal vicinato in comete colorate. Belle, per caritá. Solo che proprio non riesco a immaginare un modo piú idiota di far fuori i risparmi di una vita. Settantacinque euro, costa uno di quegli affari. Capite? Uno solo. Un viaggio andata e ritorno per Madrid con Ryan air, bruciato nel cielo in due secondi appena. E non é che io viva in un quartiere lussoso, beninteso.



Comunque. Le immagini sullo schermo passano a inquadrare Pablo Alborán, e io ho giá raggiunto due importanti conclusioni: A) l'aperol spriz in bottiglia é inaspettatamente buono; e B) non posso aspirare a una carriera d'attrice. A mia parziale discolpa, diró che il gioco dei mimi non é facile, se a te tocca proprio far indovinare Titanic. Da sola. Senza un DiCaprio della situazione. Eddai, cavolo, come si fa?! Tra l'altro, ora che ne ho parlato: ma a voi piace, Pablo Alborán?! No, perché io proprio non capisco come possa avere tutto 'sto inarrestabile successo. Ti azzardi a criticarlo, e le amiche spagnole quasi ti mangiano viva. Che, voglio dire, carino é carino. In realtá, vi diró, mi ispira pure simpatia. Sí, insomma, é malagueño (il che, giá di per sé, é un punto a suo favore), ed é sempre una gran soddisfazione veder trionfare un cantautore giovane nel mezzo del disastro discografico attuale. Uno che non vien fuori dai talent, oltretutto. Mi sembra pure umile. Eppure non so...a me musicalmente continua a sembrare un po' una lagna. Ecco, l'ho detto. A bassa voce, bassissima voce, peró lo dovevo dire. Basta che ora non facciate la spia alle amiche spagnole, peró.



E, niente, questo 2012 é iniziato in overdose di buone sensazioni. Nessuna eclatante notizia a farmi da apripista personale, questo no. Peró, attorno a me, oltre all'influenza ci son belle novitá. C'é chi, col calendario, ha cambiato lavoro. Chi ha fatto il grande passo ed é andato a vivere da solo. Chi si é sposato, persino. Chi ha avuto finalmente le risposte che da piú di un anno cercava. Tutto in soli tre giorni. E respirare allegria, vi garantisco, é salutare. Contagia di sorrisi, ti punta fari accesi sul futuro. Perció, per ora mi accontento. Godo delle svolte altrui. Di qualche bella parola su twitter. Di un regalo che compro in ritardo, e dell'inaspettata bellezza di una Grado invernale. Ché non c'avevo mica voglia di uscire, nel día internacional dela resaca. Ma ho ceduto, per una volta. Mi sono lasciata trascinare. D'un tratto eccoli lí, allora, come se mi aspettassero impazienti: alberi di Natale addobbati in modo creativo, odore di frittelle calde e vin brulé, trenini tintinnanti, mercatini, agglomerati di gente che mescola accenti diversi in un pout pourrí di suoni. E' stato lí, quell'1 Gennaio, che nonostante il naso freddo mi s'é scaldato il cuore. E allora l'ho capito. Allora l'ho sentito che, alla faccia dei Maya, quest'anno potrebbe davvero andare molto bene.



Post scriptum: l'ho poi rimesso, il volume, a Tve Internacional. E la prima canzone che ho sentito quest'anno é stata “Amarte Bien” di Carlos Baute. Non so se ricordiate, ma sulle prime canzoni io costruisco sempre profezie. Perció, beh...non so cosa ne pensi Fox, peró magari é la volta buona. Magari, nei mesi a venire, troveró pure l'amore! Certo, é anche vero che nel duemilaundici non sono poi andata ad Amsterdam. Ma, insomma: essere positivi, almeno a inizio anno, ci sta. O no? Buon 2012, amigos.