lunedì 23 settembre 2013

Storie collaterali a Pordenone Legge.


Folle oceaniche. Serpentoni umani che riversano entusiasmo nelle strade e negli stand. Sono ragazzi in jeans. Signore eleganti. Gente che si sforza di incarnare in eccessi lo stereotipo di intellettuale. In mezzo a loro, pennellate di giallo. La divisa dello staff, il colore del logo. Attorno, vetrine curatissime s'addobbano a tema. Una pagina stampata appesa tra i gioielli. Una pila di volumi impolverati che si incastra tra i maglioni. Una citazione letteraria stampata sulla maglietta, magari, perchè no?



Se dovessi descrivervi Pordenone Legge, lo farei così. Senza troppe differenze rispetto all'anno scorso. Simili i contenuti. Uguale, il mio entusiasmo. C'è ancora quell'incredulità quasi commossa nel constatare quanto la cultura sappia, in fondo, appassionare ancora.



Se dovessi descrivervi Pordenone Legge, la Pordenone Legge che ho rivissuto Domenica, parlerei senz'altro della marea assiepata in una piazza per sentir parlare Lucarelli. Vi direi di quel cartello con su scritto “Sold out” (beh, “tutto esaurito”) che mi ha impedito di dare un volto a Pennac. E poi accennerei a Bartezzaghi. Al suo pubblico di età miste, dove trentenni con la faccia da giornalisti e la maglietta a righe convivono armoniosi con i professionisti del web. Una ragazza twitta dalle prime file stringendo in mano l'iphone: appoggiate sulle gambe, una moleskine classica e la biografia di Steve Jobs. Alle mie spalle, un dibattito in corso sulla reale necessità di definire il concetto di Creatività. Io che intervengo dicendo che provarci è divertente. Lo sciaquio consolatorio del fiume come sottofondo un po' new age. Poi, la pausa caffè. Ecco, forse vi parlerei anche di questo. Del contrasto di sapori e temperatura. Del sorbetto al gusto moka che si intinge nel cioccolato appena tiepido nel bar che tanto amo. E poi, cigliegina sulla torta, aggiungerei al tutto il libro abbandonato su una panchina fuori mano. Il titolo che non riesco a leggere, il book crossing che mi attira. Ma forse non abbastanza da allungare il percorso tra le ortiche.



Sì, se dovessi descrivervi Pordenone Legge, il mio post finirebbe qui. Sarebbe un vortice di immagini impoverite da lettere e sintassi. Una polaroid sviluppata per il mio ricordo e per l'onor di cronaca. Però, non ci sarei dentro io. Perchè sì, insomma, è abbastanza ovvio che la manifestazione si meriti più di un cenno. D'altro canto dovreste averlo capito, che l'adoro. Ma gli episodi di cui volevo davvero parlarvi si inquadrano nel contesto senza averci niente a che fare.


Prendiamo quel negozietto appartato, per esempio. Una stradina a fondo cieco, pochi metri quadrati indicati, più in là, da un cartellone. Lo gestisce una ragazza entusiasta che avrà ad occhio e croce solo pochi anni più di me. Vende oggetti vintage che lei stessa va periodicamente a prendere in inghilterra. Un solo esemplare per tipo, niente a che vedere con i rifornimenti all'ingrosso dei centri commerciali. Ci sono abiti rossi taglia XL, con la scollatura sulla schiena impreziosita da svolazzi. Scarpine a punta arrotondata. Forbicette per le unghie a forma di Pin-up. E ancora pins dei Beatles, oggetti d'arredo, appendiabiti di richiamo regale e scatoline per il tea. Ci sono gemelli con le @ per gli informatici alla moda, cerchietti con grossi fiocchi e lampade da tavolo. Tutto all'insegna dell'originale. Del difficilmente rintracciabile. Tutto, rigorosamente, british.

La ragazza, gentile in modo emozionante nel micro-mondo burbero delle commesse d'oggi, mi cede un biglietto da visita col suo contatto Facebook. E, non appena esco da lì, ho in testa un'altra idea. Del tipo che mi piacerebbe mettere sù un negozio del genere, però in versione spagnola. Ve l'immaginate? Avrei il pretesto perfetto per viaggiare in Spagna a ritmi regolari, e appagherei me stessa – oltre a buona parte dei miei lettori – con un rifornimento misto di cd, libri in lingua originale, bottigliette di colacao, tinto de verano Sandevid, fiori per capelli e abbigliamento flamenco il più possibile low cost. Forse arricchirei l'offerta di maglie mala mujer o callate la boca, e accetterei richieste per ordinazioni su misura.

Sarebbe un piccolo Paradiso per filo-ispanici. Un piccolo Paradiso per me.
Peccato che pochi metri più in là, di fronte a Coin, l'originale “mostra di follia burocratica” allestita in modo egregio da un cittadino qualunque basti a farmi passare tutta la buona volontà. E proprio mentre sono già passata ad arredare nella testa il mio fantomatico esercizio commerciale.

In un moto di protesta tanto originale quanto efficace, il cittadino in questione ha esposto gli atti notarili, le pratiche, i pagamenti e i documenti che gli sono stati richiesti negli anni per poter avviare la sua onesta attività. Ostacoli che farebbero passare a chiunque la voglia di mettersi in proprio. Disgusto tutto italico. Per l'appunto, follia.

Fortuna che di idee ne ho tante, ed archiviarne una – poi, del tutto scapestrata- non fa così male.
'Somma, dimentico in fretta. Specie quando trovo un negozietto di dischi old-style, e scelgo (capirete!) di passarci la mezz'ora successiva.

Dentro, il proprietario sta appassionatamente riassumendo la trama di Dawson's Creek ad un signore che non vedo in faccia.
“Sono le storie di questi ragazzi adolescenti” - sta dicendo - “Che vivono in un posto che si chiama Dawson o una roba così, da lì il nome della serie”.
Mi viene l'impulso di interrompere urlando: “Nooo, Dawson è il nome del protagonista!”, ma vengo distratta dall'apparizione di un nuovo album de Il Nucleo. Cioè, Il Nucleo, ci rendiamo conto? Sono ancora vivi? Cos'era che cantavano, aspè...?! Lo shock è tale che mi perdo buona parte dello sviluppo successivo della trama.
Quando mi sincronizzo di nuovo sui discorsi del proprietario, sta passando in rassegna i protagonisti:
“C'è la bionda un po' facilotta, la morettina che sta con uno del gruppo, l'amico simpaticone...”
Beh, devo dire che sta rimediando bene alla gaffe dell'inizio, però. Bravo. Bella sintesi. Quasi quasi applaudo.
Anche il signore (di cui continuo a non vedere la faccia), in effetti, sembra convinto.
“Ma quindi dice che come regalo per una ragazzina può andar bene?”
“Sì, se non l'ha vista senz'altro...è stata una serie cult negli anni '90, la guardavano tutti!”.

Nel frattempo, un tizio al mio fianco fa il figo con un gruppo di amici parlando di Glam Rock e tramonto psichedelico, per passare conseguentemente all'elencazione di tutt'una serie di band dai nomi improbabili che “non si conoscono tanto, però...”. Non che i suoi interlocutori sembrino particolarmente interessati, ma tant'è.

Poi qualcuno mi suggerisce di “provare a guardare nel reparto musica internazionale, con la lettera M”. Ed io mi giro con aria perplessa chiedendo sinceramente smarrita: “Perchè? Chi è che ha il cognome che inizia per M?”.

Il tutto dopo avervi stressato per una settimana almeno con una serie infinita di post monotematici. Parliamone.

Alla fine compro Fabrizio Moro e i Negrita . Ovvero, niente più e niente meno di quel che ero venuta a cercare. Guarda caso, sono anche in perfetto ordine alfabetico. Sul bancone, accanto alla cassa, c'è una copia del cd di Tony Bennet. Quel cd, voglio dire. Con quel cognome che inizia per M ben evidente sulla copertina. Mi viene da ridere. Ma un sacco, proprio.




Non so com'è, ma se si tratta di musica (e di libri!) anche spender soldi mi mette di buon umore.  

Nessun commento:

Posta un commento