“Questa
la conosco”, penso dopo i primi due giri di chitarra. Il metro é
da poco partito dall'aeroporto, e forse solo adesso inizio a
realizzare dove sono. L'approccio a Madrid, stavolta, é stato un po'
convulso. Ci sono state corse per i corridoi lucidi e scivolosi di
due terminal, bus che non arrivano, un po' troppe occhiate
all'orologio. Ora, peró, sono qui. Intenta a contemplare il cartello
con le fermate fino a decidere che voglio anch'io sponsorizzarne una.
Sul serio. Devo chiedere alla Vodafone come si fa. Insomma, non
sarebbe una figata sentire la voce metallica pronunciare dagli
altoparlanti “Avenida de América DOT. Correspondencia con …?”. Sí, vabbé, ora abbasso la cresta.
Il
musicista ambulante, nel frattempo, ha attaccato la prima letra. E
finalmente mi é chiaro il perché di cotanta famigliaritá.
“Nooooo,
ma é il Garrotín!!!”, urlo verso Céline e circa venti passeggeri
che mi guardano come se fossi in procinto di commettere un attentato.
“L'ho
ballata un paio di anni fa”, mi affretto a spiegare (a tutti). E
d'impulso la coreografia mi si dipinge in testa, esternandosi in un
verosimile sorriso.
...De la
vera, de la vera, de san juaaaan!
É con questa colonna sonora che ci dirigiamo verso la sede di Puerco Espín. O, almeno, verso quella che la mia piantina malandata sembrava indicare come la fermata piú vicina. Non sará cosí secondo il poliziotto logorroico che fermiamo appena uscite.
“Uuuuuuh,
ma é lontanissimooooo”, ci demoralizza in un sospiro. Il
musicista, manco mi leggesse dentro, si é congedato una fermata
prima augurandosi “che dentro di noi abbiamo ballato”. Non sai
quanto, amigo mio. Ay garrotánnnn…!
Il poliziotto, in realtá, avrebbe anche avuto torto. La sede dell'agenzia di management di Dani Martín, a cui sono diretta con la precisa missione di consegnare dei pacchi dono, si trova a scarse centinaia di metri da dove ci troviamo. Peccato che il nostro spiccato senso dell'orientamento, unito ai primi morsi della fame e all'agilitá di flessione a favor di vento della cartina di cui sopra, ci devii verso un dedalo di stradine laterali. La traiettoria che finiamo col compiere comprende quattro giri su noi stesse, una salita impervia, e un elevato numero di scalini in pietra da risalire trascinando un trolley. Il tutto, nel passo accelerato di chi sa che é l'una e cinquanta e gli uffici (sigh) chiudono alle due. Préguntaleee a mi sombreeeero...
Tra l'altro,
se qualcuno mi togliesse dalla testa questa cavolo di musichetta
magari potrei ragionare con luciditá.
Morale:
quando mi incollo al campanello del vecchio portone con sú la
targhetta “producción audiovisual” ho il fiato corto, l'ascella
pezzata, i capelli scomposti e tutto l'aspetto di una che ha appena
finito di fare una maratona.
Quando
Carlos mi apre la porta (GrazieADioNonHannoAncoraChiuso) ho la vaga
sensazione che potrei svenirgli in braccio.
“Buongiooooooaaaaaaaaaahhhaaaacqua”, é all'incirca il saluto che
mi esce. Dietro di lui scorgo, in quest'ordine: uno stanzino
piuttosto disordinato, un Mac identico al mio, un bellissimo maglioncino
con un cuore nero ricamato sopra, María che indossa il suddetto
maglioncino dietro al suddetto computer, e – alla sua destra –
un'altra scrivania a beneficio di un'indaffarata Patricia. E penso,
in quest'ordine: l'immaginavo piú grande, potrebbero
mettere un po' a posto, guardaaaa come il mio!, minchia che caldo,
chissá chi gestisce i social network, secondo me é di Zara o di
H&M. Per una specie di deformazione professionale mi verrebbe
anche da dire, cosí a random, che gli hashtag di un evento
andrebbero fatti piú corti, ma vista la poca professionalitá
denotata dalla mia attuale condizione psicofisica decido di
desistere.
“Sono passata a portare dei [Rantolo da moribonda] regaaaali [rantolo da moribonda] per Dani [sventolamento compulsivo con mano, asciugamento di goccioline dalla fronte]”, dico invece guardando Carlos, che per qualche motivo mi sembra il meno ostile dei tre.
Detto ció, apro il mio trolley facendo rotolare rovinosamente un paio di converse rosse per terra, e ne estraggo un sacchetto leopardato e stropicciatissimo che mi avevano dato dai cinesi.
“Il
sacchetto potete buttarlo, é solo perché la roba non si...[rantolo]
rovini [colpo di tosse]. Ci sono due regali: uno da parte mia e uno
da parte di venti fan italiani di Dani”.
“Che
meraviglia, grazie!”, esclama lui.
“Se
magari quando glielo date mi... mi...”
“Si
tranquilla, glielo daremo appena lo vediamo”.
Io in
realtá volevo chiedere se potessero avvisarmi, ma non ho le forze
materiali per concludere la frase. Invece, blatero qualcosa sul fatto
che mi sono persa per arrivare lí e che estoy
muerta, estoy muerta, Ay, Dios,
inevitabilmente enfatizzando l'idea di perfetta psicopatica che
sicuramente si sono giá fatti di me. Pazienza.
María-bel-maglioncino, indaffarata al computer-come-il-mio, interviene allora nella conversazione chiedendo se dovessimo per caso “ritirare qualcos'altro”. Sto per rispondere “sí, un pass”, e poi fingere che fosse una battuta, ma mi sono appena accorta del cartonato di Dani Martín in scala 1:1 che vigila l'ambiente alle sue spalle e mi prende di colpo un insensato attacco di ilarità.
“No, no. Sono solo passata a portare i regali, come dicevo nella mail perché, insomma...siamo in Calle Reyes Magos e volevo fare anch'io il Re Magio! Ahahahaah”
Nessuno
ride. Eccheccazzo, era due giorni che mi studiavo 'sta frase.
Ingrati.
“Cioé,
il fatto é che sapete com'é, se si puó evitare la posta, ché poi
non sai mai quando arrivano le cose...”
“No, certo, hai fatto bene. Grazie mille per tutto. Glielo consegneremo”
“No, certo, hai fatto bene. Grazie mille per tutto. Glielo consegneremo”
“No,
grazie a voi”
“No,
grazie a te.”
“Grazie
a voi”
“Grazie
a te”
“Grazie
a v...vabbé, Céline, andiamo a mangiare?”
Carlos
ci congeda con un Arrivederci italiano in profusione di erre rotanti.
Dopo di che, ci vogliono due bambini di 4 anni a testa per spiegarmi
– in dieci minuti buoni e parlando molto lentamente - come diavolo si
faccia ad aprire il portone.
Non
discuteremo di tale apoteosica performance finché non ci saremo sedute a
un café y tè – all'aperto, perché siamo in Spagna- con
l'aggravante di ordinare Gazpacho. Nel tentativo di convincerci che
il gelo polare attorno a noi sia “temporaneo” rischiamo la
congestione e socializziamo con un passerotto. In fondo é l'unico
altro avventore: pareva scortese non attaccare bottone! Lo
battezziamo Twitter, nell'attesa che qualcuno lo dipinga di blu.
In
tutto questo, la cameriera ci regala dei simpatici cuscinetti
confiabili “nel caso volessimo andare a vedere le corride”. Cosa
che ovviamente non faremo, ma … Dio se vanno bene per la fila!
(To be continued)
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