venerdì 10 ottobre 2014

Dell'Ebola e dei cani.

Penso sempre che mi diate per dispersa, quando sto una settimana senza postare. Probabilmente è un atto di presunzione. Un senso di fastidio che provo in via esclusiva a causa della mia pessima gestione del tempo. Parliamoci chiaro: non credo che vi freghi realmente se mi prendo una pausa dai miei post prolissi. Eppure, chissà perché, mi sento in obbligo di darvi spiegazioni. Non ho mai smesso di scrivere, in realtà. Ho tradotto, informato, delirato e creato a getto continuo su una gamma variegata di canali. E, tra tutte le altre cose, mi sono anche spaventata un bel po'. 


Parlo dell'Ebola, ovviamente. Ho analizzato la situazione in un articolo per Total Free Magazine: gli errori commessi, le accuse, le reazioni sui social. Nonostante fosse solo Mercoledì, da allora molte cose sono già cambiate. E non è stato mai per una svolta positiva. Ho letto che il governo ha incolpato l'infermiera malata, scarica-barili italian style per difendersi dal dito puntato dell'Europa. Ho letto che le sue condizioni di salute peggiorano. Che suo fratello sarebbe stato licenziato per paura di contagio da parte dei suoi datori di lavoro. Ho letto, soprattutto, che il cane è stato abbattuto. Ammazzato, anzi. Le parole hanno un loro peso, ed è giusto dargli quello che si meritano. Se la situazione non fosse allarmante potrei fare dello spirito sul fatto che il Ministro della Sanità spagnola faccia di cognome "Mato", che tradotto vorrebbe dire "uccido". Ma da ridere c'è poco, e io sono troppo incazzata per pensare ai risvolti umoristici. 

"Era solo un cane", direbbe qualcuno. "Parli così perché non hai figli", mi ha detto qualcun altro. Ma il fatto é che io, un gesto così, non lo riesco neanche lontanamente a concepire. Non lo capisco. Punto e basta. Mi sa di inutile e di disperato. Perché nessuno sapeva, sa e saprà mai se quel cane avesse contratto l'Ebola o meno. Perché non c'è mai stato un caso in cui un animale abbia contagiato tale virus all'uomo. Perché ci sono pochi studi in proposito, e non è chiaro se possa avvenire. Perché è vero, nessuna madre vorrebbe trovarsi davanti all'eventualità di un figlio che gioca con un cucciolo che potrebbe anche avere il virus; Ma ci sono altri modi, dannazione. Uno su tutti: l'isolamento controllato. Era la scienza ad implorarlo. "Vi prego, lasciatelo in vita", esortavano dai media. E non era un "capriccio" animalista, ma la possibilità concreta di studiare le dinamiche di contagio uomo-animale e aiutare, in questo modo, l'intera popolazione mondiale. 



Invece, no. Niente da fare. Excalibur (questo il nome del povero malcapitato quattrozampe) è stato "sacrificato per precauzione", come recita il titolo di uno dei tanti quotidiani che ai termini giusti, invece, preferiscono le edulcorazioni. Quindi mi incazzo. Oh, eccome. Voglio dire, che razza di ragionamento è? Con questa logica allora ammazziamo anche tutte le cinquanta e passa persone sotto controllo per rischio di contagio. É precauzione, no? Nemmeno loro si sa se abbiano il virus o abbiano contagiato altri. Anche loro sono esseri vivi. 

Vi giuro che mi capita spesso, ultimamente, di mettermi nei panni di quel povero Cristo. Il marito dell'infermiera, dico. Tua moglie è in condizioni gravi. In quarantena. Tu sei sotto osservazione a tua volta, con il rischio altissimo di aver contratto lo stesso virus. Mentre sei lì, già terrorizzato di tuo, vieni a sapere che un malato di Ebola negli States è appena deceduto. E, in mezzo a tutto questo, vanno a casa tua nonostante tu gli abbia negato il consenso, e ti ammazzano il cane. Io odio, davvero odio essere così empatica. Perché riesco ad entrare nella situazione, riesco quasi a credere di viverla. E mi viene da piangere tutto il dolore che nemmeno ho. 

Un ragazzo spagnolo che conosco, l'altro giorno, ha condiviso sui social una frase di Ghandi. Dice: "la civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali". E di fronte a questo genere di cose vedo la Spagna come qualcuno che ami alla follia, che amerai sempre nonostante i suoi difetti, ma che - accidenti- ogni tanto sa spezzarti il cuore. 

Per chi si fosse perso le premesse, l'articolo di Total Free Magazine a cui faccio riferimento è qui





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