domenica 6 gennaio 2019

La prima cabalgata non si scorda mai (e forse neanche il "Loscón" cinese)

Passeggiare senza giubbotto il 5 di Gennaio somiglia molto alla felicità. 

"El pendrive!", mi urla dietro il tipo del tabacchino. Quello caruccio, che m'ha stampato le carte d'imbarco per un viaggio di lavoro a Barcellona. 

"Jo, gracias! Un giorno di questi lo lascerò da qualche parte, sta a vedere". 


Intanto, dall'orecchio destro, la voce di Roberta sputa fuori il passato. 



Finalmente. 



E si legge tutto, il "finalmente", sulla mia faccia da ebete. 

Per la prima volta nella mia vita sono in Spagna per l'epifania, e non vedo l'ora di viverla come una del luogo. 



Ho sempre associato queste date a una profonda ed impalpabile tristezza. 


A casa mia, nel Nord Est, la Befana non si è mai festeggiata. 

Era solo l'immagine oscura di una vecchia stronza che si porta via le feste con la scopa.  


Mia madre che toglie le luci dell'albero. 

Il gelo che piomba su un cielo prima bianco e poi scurissimo. Con la nebbia, se si voleva essere particolarmente drammatici. 

L'epifania era quasi sempre una fucina di cattive notizie, di chiamate non volute, di battute fuori luogo e di problemi da affrontare. 


Epifania, per me, voleva dire sentir parlare al tiggí dei falò accesi in tutta la Regione. Quelli che la gente, infagottata nei piumini, usa come pretesto per guardare all'insù. 

Se il fumo va da una parte, l'anno sarà buono. Altrimenti...beviti una grappa, che fai prima. 

Tutto era triste, cupo, halloweeniano



Ecco perchè avevo sempre guardato con invidia alle tradizioni iberiche. E m'incollavo, anno dopo anno, allo streaming del social di turno che mi catapultava nella luce intensa di Málaga. Dove il sole non era ancora tramontato e i Re Magi lanciavano caramelle in un tripudio di colori. "Eh ma torno presto. Torno, dai". 


Non c'era posto per la tristezza, lì. Soltanto festa, allegria, e un tripudio di colori. 

Qualcosa che, Dio Mio, sentivo mille volte più vicina a me. 

Finalmente, oggi, posso immergermici. E il cielo è di un azzurro così naif che sembra colorato da un bambino. Perchè l'Andalusia, se glielo chiedi, sa mettersi in tiro per le grandi occasioni. 

La fila è kilometrica, davanti alla pasticceria Aparicio. Oltrepassa la farmacia. Il bar all'angolo. Persino il fruttivendolo. 





C'è un signore che legge. Un altro s'è portato dietro un carrellino della spesa di dimensioni importanti. Suppongo abbia intenzione di sfamare tutto il condominio, o di uccidere un diabetico senza lasciare traccia. Va a sapere. 



Qualcuno si intrattiene in chiacchiere, apparentemente senz'alcun altro impegno per le ore a venire. 


A La Casita, poco più in là, la situazione non è molto diversa. 

Tutti vogliono il Roscón de Reyes. 



É un dolce tipico. Una sorta di ciambellone con la frutta candita che tradizionalmente si mangia per colazione il giorno in cui arrivano i Re Magi. 


All'interno vengono nascosti una fava secca e una statuina. Chi si becca la statuina, dovrà indossare la corona di carta che si trova nella confezione. Sarà il Re o la Regina della giornata. 

Chi, invece, si ritrova con il pezzo contenente la fava dovrà pagare il dolce (ma, secondo certe versioni, dopo averlo fatto avrà fortuna). 

Io lo assaggerò il giorno seguente, probabilmente nella peggior versione possibile. Comprato al supermercato, mamma mia che vergogna. 

Quello di Plaza Merced, poi, gestito dai cinesi. La tipa m'ha dato un batido di vaniglia in omaggio ("é legalo con loscón") e m'ha detto "felices Leyes" con un enorme sorriso.

Ovviamente ho messo il batido in frigo accanto alla bottiglia di Verdejo mezza aperta, e ho cominciato in automatico a cantare i Lori Meyers. 

Quella canzone. Sempre quella canzone.


Era parte della mia colonna sonora del 2018. L'ho interpretata con tutto il pathos possibile in discoteca a Capodanno. E a quanto pare ha intenzione di accompagnarmi anche per l'epifania.

"Y beberte todo ese batidoooo, acompañarlo después con vinoooo, beber hasta emborracharmeeee". 



Ma questo é un altro discorso. 

Il punto è che certe feste non sono fatte per i cinesi. Se hanno una R dentro, non é per loro. Come i mesi per gli espetos

E poi era alla panna, il Loscón. Sí, perchè a quanto pare gli spagnoli si dividono in fazioni alimentari anche in questo caso.


Tortilla con o senza cipolla. 

Gazpacho o Salmorejo. 
Roscón con o senza panna. 

Mi informano che ne esiste persino una versione con la crema e, Cristo Santo! Ora capisco il perché delle file in pasticceria. 

Voglio dire, non è che sia cattivo con la panna, eh. 

Solo, non precisamente light. 

Detta in altro modo, dopo una sola fetta credevo che non mi sarei mai alzata dalla sedia, sarei entrata in overdose glicemico, avrei avuto le allucinazioni e non avrei potuto mangiare mai più niente in tutta la mia vita. 



Sulla frutta candita, invece, vanno tutti d'accordo: odio di massa, profondo e assoluto. Eppure a me, stranamente, piaceva. 


'Somma: vi direi che sì, non c'è male, ma se volete provare un dolce spagnolo veramente BUONO, da Aparicio prendetevi le Tartas Locas. 

100% Malagueñe e, vi assicuro, deliziose. 

Oltretutto ce le hanno tutto l'anno e non dovete sorbirvi la fila. 

Comunque.

Del Roscón c'é di che andar fieri perché forse non lo sapete, ma é un dolce  itañol. 

Mi sono documentata. 

Lo inventarono i romani e con i Re Magi non c'entrava niente. Si mangiava in occasione della cosiddetta "festa dello schiavo", che si celebrava quando finiva il periodo dei lavori nei campi. Come ricompensa per chi aveva tanto faticato, si distribuivano dolci al cui interno era nascosta una fava secca. Lo schiavo che trovava la fava veniva liberato da tutti i suoi obblighi per il resto della giornata e trattato con lussi degni di un Re. 


Furono poi i francesi a portare la tradizione nel periodo natalizio, facendo del Roscón il protagonista della festa infantile "Le Roi de Fave": il bambino che trovava la fava nascosta nel dolce diventava il Re della festa. L'usanza è approdata in Spagna da lì. 

Ma torniamo al cielo azzurro del 5 Gennaio.

Al pranzo a La Campana con due compagni dell'Università che non vedevo da circa 9 anni. Al tizio che entra nella casa natale di Picasso cantando "I want it that way" dei Backstreet Boys. Alla ragazza che sta un'ora nel bagno di Starbucks quando la vescica per poco non mi esplode.

Torniamo, soprattutto, alle ragazze vestite in maschera che provano le coreografie dietro al teatro romano. Ai bimbi vestiti da angioletti che camminano con aria un po' sperduta tenendo per mano le loro madri. 



E ancora alle bancarelle coi sacchetti di carbone, alle file di sedie disposte a incorniciare il Paseo del Parque, in attesa di chi ha voluto pagare pur di godersi lo spettacolo in prima fila. 






Le famiglie iniziano a prendere posto dietro alle transenne, in un vociare emozionato di bimbi ("ya vienen los Reyeees"), fiocchi tra i capelli e odore di zucchero filato. 



Mazzi di palloncini sorretti da mani pazienti fermano il tempo e abbattono i confini. D'un tratto sono a Monfalcone, alla sfilata dei carri allegorici per il carnevale. 

Ne ho visti un paio, prima, dietro ad un cavallo con la coda vaporosa. 


C'era un veliero. Il volto di un gatto. C'erano un paio di robot. 

E voi direte: che c'entra?



Ma alla cabalgata dei Re Magi - scopro - le domande non te le devi fare. 



C'entra, perchè quello che ti sfila davanti agli occhi è un mondo costruito su misura di bambino. Ci sono ballerine sui pattini elettrici. Carrozze coloratissime e piene di luci. Ci sono i supereroi. I personaggi dei loro cartoni preferiti. C'è un dragone cinese (ahhhh ma quindi il loscón ci sta!). Una palla enorme da far rimbalzare da una parte all'altra della strada. E ancora una fata. Stelle filanti. Un pupazzo sui trampoli. I pirati. 





Non devi cercare un nesso logico, perchè nella fantasia dei più piccoli quel nesso non c'è. Di sicuro non c'era nella mia, quando avevo l'età della ragazzina che mi sgrana gli occhioni davanti. Estasiata per quello che non fatico a immaginare un sogno che diventa realtà. 

É la sua festa. La loro festa. 


Dai Salesiani fino alla panetteria La Canasta, i pompieri ("a me non tirate caramelle, tirate pompieri", ho sentito urlare ad una mamma alquanto esagitata) e persino le poste, tutti i principali enti cittadini si sono dotati di una propria carrozza o di un proprio gruppo in maschera. E tutti tirano caramelle a mani piene. 

I bambini fanno gara a chi ne prende di più. Saltano per afferrarle. Strisciano sotto le sedie per cercare quelle finite a terra. Gridano felici sventolando i loro trofei. I genitori, intanto, socializzano tra loro, aiutando i figli - propri e altrui - a riempire i sacchetti portati per l'occasione. 




C'è un trambusto assoluto, ma è un trambusto bello. 



Un trambusto creato dal padre andalusissimo che urla "venga, que ahora sale el Cristo" quando la banda coi tamburi porta ricordi di Semana Santa. Dal bimbetto dalle idee confuse che chiede se il Re con la barba bianca sia Babbo Natale. Dalla nonna che chiede alla bionda davanti se suo nipote può stare in piedi sulla sua sedia "che non vede". 


Si respira felicità. Tanto che un po', un secondo appena, nella mia solitudine mi sento fuori luogo.

Ma é solo un attimo. 



Perchè alla fine - e soltanto alla fine - arrivano le carrozze dei tre Re Magi. Tirano più caramelle di tutti gli altri, e almeno tre mi colpiscono in testa. 


Vedete: quello che nessuno vi dice sulle caramelle è che, se lanciate a tutta forza da un signore con la parrucca, possono trasformarsi in veri e propri proiettili. 



Dio, che male. Mannaggia anche a los Leyes Magos. 










3 commenti:

  1. Io adoro questa festa tutta a misura di bambino!! Ne ho gi´viste 3 qui in Andalusia. E quest'anno per la prima volta mi sono mangiata il roscón e ci ho anche trovato la figurina dentro!!!!!!

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    1. fa tornare un po' bambini anche noi, vero? Io niente figurina, invece...sarà per la prossima :D

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