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venerdì 23 settembre 2016

Prima notte d'autunno

NB: Questo post è stato scritto alle due di notte, giusto per smentire l'ultimo paragrafo.



Bridget Jones è sempre Bridget Jones. C'è un po' di lei nei pop corn che sono riuscita a sparpagliare ovunque, persino dentro alle tasche dei Jeans. Avevo messo quelli di Desigual un po' spiegazzati, abbinati alla bell'e meglio con una camicia vecchia, rosa, pescata dal fondo dell'armadio. 

Ormai è una settimana che mi concio come una disagiata: i vestiti migliori sono già tutti in valigia, assiderati nei sacchetti sottovuoto, e devo fare sfoggio di tutte le mie doti creative per dare vita ad abbinamenti vagamente accettabili dalla società. Anche in questo c'è un po' di Bridget Jones. Anche in un Giovedì che sembra Sabato, e la notte è un tripudio di stelle, e la Luna sembra uno spicchio di limone in un'immagine un po' troppo smielata anche per me. 
Bridget Jones, tra le risate, mi consola. Mi fa pensare che le imperfezioni rendano umane, non inette. Simpatiche, non sbadate. Bridget Jones è la speranza adolescente che un giorno, nonostante tutti i miei indicibili casini, salti fuori un Darcy anche per me. 

Ma intanto guardo Trieste, con le cassette della posta che sembrano faccine stupite, i bar arredati con cura impeccabile, la striscia rossa che dà fuoco al cielo nel punto esatto in cui confina col mare. La vedo bella come mai prima. Ne ammiro i dettagli con gli occhi di un moribondo ai suoi ultimi giorni di vita. Perchè in un certo senso è un po' così: questa è già la mia vecchia vita. 
Se ci penso mi sembra di avere davanti un foglio bianco su cui non ho ancora capito come dovrei dipingermi il futuro. A volte riesco a visualizzarlo, nei colori brillanti del successo personale. Nuove amicizie, economie più stabili. Altre è tutto così terribilmente confuso che vorrei soltanto starmene sdraiata sul mio letto a chiamare la mamma mentre abbraccio un orsetto di peluche. 



Quest'estate, mentre avanzavo nell'acqua bassa, pensavo spesso che trasferirsi all'estero fosse un po' come decidersi a tuffarsi anche se la temperatura sembra fredda. C'è un istante, prima che il tuo corpo vi si immerga, in cui pensi che non avresti dovuto. Ma ormai è tardi, sai che toccherai quell'acqua, e a meno che tu non ti ferma, a meno che tu non la smetta di nuotare, in quell'acqua alla fine starai bene. 
Il rumore dei miei schizzi l'ho sentito qualche giorno fa. Aveva la forma di uno scatolone enorme con le coperte e i vestiti invernali arrivato sano e salvo in un salotto di Torremolinos. Lo stesso giorno una sconosciuta, dopo un bizzarro terzo grado digitale, mi dava appuntamento a Lunedì per vedere la prima casa. Un'agenzia immobiliare parlava di loft in centro. E c'erano numeri, informazioni pratiche, responsi che sedavano in parte tutta questa profonda agitazione. 

Dani Martín, persino lui, ci mette del proprio. Lunedì sarà all'Hormiguero - leggo- Martedì da Buenafuente, e penso che la Spagna abbia uno strano modo di darmi il bentornato. Che un Paese intero, camuffato da promozione discografica, stia cercando di farmi sentire a casa rievocando l'universo del 2008. Un mondo che, però, oramai sento mio in modo solo parziale. Forse dovrei ascoltarlo adesso, quel disco. Mettermi le cuffie e togliermi il pensiero. Piantino, catarsi, via. In fondo con Dani ho condiviso un countdown, la voce rotta, la tensione. In fondo ho ascoltato París per tre volte di fila, un pomeriggio che non sapevo di essere nervosa. L'ho ascoltata senza riuscire a fermarmi, nonostante il Jingle di Cadena Dial l'interrompesse nel mezzo. L'ho divorata in modo compulsivo ricavandone lo stesso tipo di conforto che ti dà una fetta di pane con burro e marmellata. Lo stesso tipo di conforto, solo molto più forte, che mi ha dato a conti fatti Bridget Jones. 

Ho bisogno di ancora un po' di tempo. Solo un altro po'. Perchè premere play sarà in un certo senso già salire sull'aereo. 

E intanto, negli ultimi giorni, ho ripreso a dormire di un sonno pesante. Come una bambina che ha soltanto cose belle da sognare. E in fondo so che non c'entrano niente i cicchetti di vino, la stanchezza fisica o il cervello iperattivo: è solo che ormai non si torna più indietro. Le preoccupazioni le ho esaurite tutte. Splash.

E adesso sì, credo di essere davvero pronta a partire. 


sabato 29 marzo 2014

...Però sono professionale (omaggio a Bridget Jones)

Io lo so, che dovrei mostrarmi seria e professionale. Sul lavoro lo sono anche. Voglio dire, ormai mi esprimo fluentemente in un linguaggio fatto di recap, engagement, conference call e addirittura ASAP (ommioddio, sono diventata una di quelle che dice “ASAP”! Da qui a mimare le virgolette con le dita è un passo). Dico anche spesso feedback, nonostante il termine mi evochi puntualmente un'impegnativa conversazione con un Giovane Cantautore Toscano in merito alla necessità di esternare i propri individuali microcosmi creativi interiori. Il giorno dopo, qualcuno aveva scritto sulla sua pagina Facebook: “non ho capito di cosa parlavi con la ragazza col vestito verde”. Avrei volentieri scritto “Neanch'io”; così, per fare la simpatica, se non ci fosse stata una remota possibilità che qualcun altro oltre a me indossasse un vestito verde. Ma poi, chi è questa che ci ascoltava? Perchè dovrebbero interessarle i microcosmi creativi? Chi sono io? Da dove vengo? Eccetera. 

Comunque. Si diceva che sono professionale. Anche se l'aggettivo professionale, nell'immaginario collettivo, corrisponde più a una col tailleur di Armani ben stirato che a qualcuno che passa metà della pausa pranzo a cercare i prezzi dell'Indovina Chi? da viaggio (lunga storia). Se è per quello, ho  anche un sole stilizzato da bambina di cinque anni sulla tazza-lavagna della mia scrivania. E, ultimamente, l'aggravante di esprimermi per citazioni tratte dall'ultimo libro di Bridget Jones.






Il punto è che, attorno alla mia indubitabile ed elevatissima professionalità, le situazioni paradossali continuano a prendermi di mira. Anche nell'orbita gravitazionale della vita lavorativa. Qundi, mi son detta: perchè non dovrei raccontarvele? Del resto, voi probabilmente vi starete chiedendo la stessa cosa, con il piccolo dettaglio di togliere il non dalla frase. Però che ne so, magari - se seguite il blog da tempo- eravate sinceramente preoccupati dalla sparizione della ragazza che cercava metodi alternativi per estirpare cavallette dal bagno del suo appartamento di Parma. Capirete che io senta l'obbligo morale di rincuorarvi. Apro una parentesi per dire che anche Bridget Jones è spesso alle prese con invasioni di insetti malefici. Chiudo la parentesi. Punto. 

Il resoconto delle mie peripezie mi serve peraltro a combattere la deformazione da blogger seria che oramai mi induce a scrivere tutto: 

1. Per elenchi numerati 
2. Per blocchi di paragrafi tematici con titolo in grassetto.

PARAGRAFO TEMATICO CON TITOLO IN GRASSETTO 
Visto? Ce la posso fare. 

Ma si diceva delle situazioni paradossali. Della serie che la mia giornata tipo inizia inevitabilmente all'insegna dello spossamento fisico e morale. E a questo punto potreste pensare che io abbia un'eccitante vita notturna fatta di amanti focosi, feste in discoteche alla moda e cocktail a base di frutta tropicale. Invece è solo che mi ostino nel mio amore per le passeggiate: ottimo modo per svegliarsi del tutto, ossigenare i pensieri, mantenersi in forma e raggiungere l'ufficio con la mente bella piena di idee. Tutto ciò in teoria. In pratica, le suddette idee hanno tendenzialmente a che fare con tutt'altri ambiti, decisamente impegnati e culturali, quali il nuovo disegno da fare sulla tazza-lavagna o se è vero che faranno un film di Jem and The Holograms.



Tutto ciò mentre corro come una pazza, manco mi inseguisse uno psicopatico armato di mitra. Risultato: il mio ingresso trionfale nell'edificio adito allo sviluppo della mia disarmante professionalità mi vede ansimante, spettinata e in evidente sindrome da non-avrò-mica-l'ascella-pezzata per i primi dieci minuti almeno. Ovvero, il tempo che impiego a scolare un'intera bottiglietta di acqua frizzante come se fossi appena uscita da un'escursione nel deserto del Sahara. Il tutto si aggiunge, in genere, alla sottile vena d'inquietudine per cui spero di evitare incontri casuali con lo psicologo della porta accanto. Non che abbia niente contro di lui, anzi. E' solo che, dopo i nostri primi – e al momento unici- due incontri sono seriamente convinta che mi stia organizzando una seduta d'urgenza alle spalle. La prima volta l'ho incrociato alle dieci del mattino, esprimendomi in un cordialissimo e squillantissimo “Buonasera!” che, dopo lunga pausa ad effetto, ho giustificato con un “cioè, buongiorno, devo avere il fuso orario incorporato”. La seconda, stavo raggiungendo il bagno con passo furtivo munita di (attenzione! Segue elenco numerato!): 

1. Bacinella 
2. Ingiustificata quantità di piatti da lavare
3. Detersivo per piatti 
4. Cartellino con su scritto “occupato”. 

Mi aveva guardata seriamente perplesso. 

Comunque. Se questo rientra nella routine, l'ultima settimana è stata ancor più impegnativa. Soprattutto a causa dell'insistente squillo del telefono ad opera di capi, clienti, comitati olimpici (lunga storia), giornalisti, organizzatori di manifestazioni inerenti la Grecia antica, call center vodafone, mia madre che mi chiede come si compra la roba sul sito di Zara. E mai nessuno che mi venda un Indovina Chi?.  Lo squillo del telefono, di per sé, mi ha regalato un insostenibile problema di allucinazioni uditive per cui mi sembra di sentire Gretel di Dani Martín (meglio nota alle mie colleghe come La Musichetta) praticamente ogni due secondi, nonché a guardarmi attorno con occhi spiritati chiedendo “é il mio? É il mio?”. Come se qualcun altro, in Italia, potesse avere La Musichet..ehm, Gretel, come suoneria del cellulare.
Dovrei cambiarla. 



Il tutto, sommandosi ad un sottofondo costante di tonfi sordi che potrebbero provenire alternativamente da qualcuno che lavora sul tetto, da un terremoto del settimo grado Mercalli o da gente che si ammazza di legnate, ha peggiorato notevolmente il mio giá avanzato stadio di rincoglionimento. 

Tanto che l'altro giorno, nel tentativo di scaldare delle lasagne, il microonde mi ha risposto “No”. Giuro, l'ha proprio scritto sul display. Cosí, strafottente. NO. Al che ho instaurato un dialogo con lui, ricordandogli che,  capisco la ristrettezza degli spazi disponibili, ma almeno un “mi dispiace” non sarebbe guastato. Poi, non riuscendo a collegare il fatto che l'apparizione di una scritta qualsiasi dimostrava di per sé la presenza di corrente elettrica, mi sono messa a passeggiare per tutta la stanza con la Macchina Malefica in braccio, avendo il chiaro obiettivo di testare l'interezza delle prese elettriche disponibili. Stavo giá per chiedere asilo al kebabbaro all'angolo quando mi sono accorta che il piattino interno s'era spostato. 

La giornata s'era poi conclusa attendendo una cliente all'aria aperta ormai non piú “piacevolmente frizzante” della sera. Il mio esagerato anticipo, unito al giá citato sintomo di Primaverite Acuta che m'induce ad indossare giubbottini in pelle leggerissimi (lo dice anche Bridget Jones, che in questa stagione non si sa come vestirsi), mi ha spinta ai limiti dell'ibernazione. Per cercare di distrarmi, mi sono rifugiata nella videoteca a lato, leggendo trame di film che probabilmente non guarderó mai in vita mia. Ce n'era una in cui un tizio ereditava dalla famiglia la facoltá di viaggiare nel tempo;  quindi, visto che non rimorchiava alla Festa di Capodanno, ha pensato bene di andare a conquistare una damina dell'ottocento che...no, aspetta, forse non era proprio cosí. 

Ci stavo riflettendo quando una ragazza munita di carrozzina+bebé mi ha salutata affettuosamente. Ho impiegato la successiva mezz'ora a chiedermi chi fosse, a demoralizzarmi perché tutte le mie coetanee stanno figliando mentre la mia massima aspirazione é raggiungere la prima fila ai concerti, e a rivangare il periodo dell'Erasmus in cui la quantità media di persone conosciute al giorno rendeva particolarmente frequente questo genere di situazioni. Soprattutto nel mese in cui mi ero votata anima e corpo alla Venerazione del Martini. Che tra l'altro ha solo una I in più rispetto a un'altra delle mie passioni. Ricordo che eravamo sul Barco, c'era quella canzone di Pittbull e...


Poi la tipa mi ha chiesto scusa. “Ho sbagliato persona”, ha detto. E io avrei voluto abbracciarla. Giuro. Voglio dire, in genere cose del genere capitano a me. Capirete quanto l'abbia trovata istintivamente simpatica. 

“Che brutta figura, sono davvero mortificata!”, ha aggiunto mentre io, finalmente, iniziavo a sentirmi un po' più adeguata al resto dell'umanità. 

Che poi, in fondo, è la ragione per cui leggo Bridget Jones.