sabato 23 giugno 2018

Prima di San Juan.

L'età degli italiani all'estero dovrebbe essere calcolata come quella dei cani. La mia di sicuro, per lo meno. Ilaria: 33. In anni malagueñi fanno 150. "Cavolo, se li porta bene, però!". Modestamente. 

Tra l'altro giustificherebbe le borse sotto gli occhi e il fatto che devo appendere un cartello al frigo per ricordarmi di fare la lavatrice.

Però, sul serio: ho talmente tante cose su cui vorrei aggiornarvi che non so nemmeno da dove cominciare. Che poi magari non è che voi stiate proprio morendo dalla voglia di saperlo, eh. Solo che stasera è San Juan. La notte più magica dell'anno. Il capodanno dell'estate. Il nuovo inizio che - dai, sù-  questo duemilaeschifotto mi deve.

Ma non é concesso a nessuno aprire un nuovo capitolo senza prima aver chiuso il precedente, quindi figuriamoci se posso farlo io con un post in sospeso! Ergo, che vi piaccia o no, vedrò di tirare le fila.

Tanto per cominciare, sono andata al Gastronauta. Trattasi di locale piccolissimo e relativamente nuovo la cui paella si è guadagnata in tempo record la fama di "migliore del centro di Málaga". Recensioni entusiaste su Tripadvisor. "Devi andarci!" entusiasti da parte delle amiche. Peccato che ogni volta che provavo a metterci piede succedeva qualcosa: chiusura per lavori in corso; chiusura per giorno di riposo; chiusura perché é Semana Santa; chiusura perché é caduto un meteorite sulla terra e nooo, non dirmi che non te ne sei accorta! Insomma, ordinaria routine. 



É dovuta venire a trovarmi Céline perché ci riuscissi. Sapete, no? L'amica francese che si palesa ogni tanto. Quella che conosce sempre più gruppi spagnoli di me. Ecco, lei. Non so se mi abbia portato fortuna o il karma abbia deciso che avevo sofferto abbastanza, ma in un'imprevedibile svolta del Destino s'é liberato un tavolo proprio al nostro arrivo (voi non rischiate, però: é quasi obbligatorio prenotare). 

La paella de marisco a El Gastronauta
E quindi niente, confermo tutto: paella buonissima fatta al momento, camerieri gentilissimi, prezzi ragionevoli e - per i food blogger tra voi - il posto è pure altamente instagrammabile. Fate conto che c'è una gabbia vuota sulla parete con sotto la scritta "questa non è una gabbia vuota, è un passerotto in libertà": e già solo con questo avete sbancato i social per un mese. L'unica pecca, a volergliela trovare, è che assieme al conto ti portano delle caramelle gommosissime che ti si attaccano istantaneamente al palato. E siccome i camerieri sono socievoli poi ti ritrovi a sostenere conversazioni del tipo: "graie ì bissimo pso are tacreio?"; Che, tradotto, significherebbe: "grazie, tutto buonissimo, posso pagare con la carta di credito?"

Sono esperienze che ti segnano. 


El Gastronauta


Se come evento epocale non vi sembra abbastanza, sappiate che poco dopo sono salita sulla ruota. Sì, quella del Porto. Il Málaga Eye, Málaga Ayyyy, Málaga Ahí. Era uno dei punti della mia lista aggiornata con le cento e passa cose da fare in città prima di morire (capirete che devo darmi una mossa, avendo 150 anni!). E devo dire che ne è valsa la pena. Certo è caro - 10 euro per tre giri -  quindi non quel che si dice un'escursione da ripetere a cadenza regolare. La fai una volta, e stop. Per questo vi consiglio di scegliere la giornata giusta (tersa, senza vento), l'ora giusta (verso le 20.45-21.00 c'è una luce stupenda) e, soprattutto, la compagnia giusta. Perchè il bello è che - salvo, immagino, circostanze di affluenza straordinaria - vi danno una cabina tutta per voi. Il che significa che, oltre a godervi il panorama, potete sclerare di brutto senza incorrere nello sguardo perplesso di estranei. Chessò, farvi i selfie con le facce buffe, mettere like alle cose usando un cuoricino di cartone (il mio nuovo hobby), cantare canzoni a tema tipo "siempre se repiteeee esta misma historia, estoy harto de rodaaar como una noriaaaa" o "obsesiones, paranoias, la sensación de estar en una noriaaaa". Robe così.



Vista dalla ruota del Porto di Málaga


Vista dalla ruota del Porto di Málaga




Ah, e poi c'è stato il concerto di Carmen Boza sulla terrazza del Room Mate Hotel Larios. In pieno sole. A mezzogiorno. Con 30 gradi e i divani in pelle: un modo economico per farsi la ceretta mentre ascolti della musica live. 

Al di là del fatto che quando è finito mi sarei bevuta tutte le riserve idriche della Costa del Sol, 'sta tizia è veramente brava. Voce stupenda, testi per nulla banali, concept artistico a trecentosessanta gradi che rende la tracklist dell'album inscindibile dal suo contenitore. Se siete curiosi, vi consiglio di conoscerla con "Vida Moderna", probabilmente uno dei brani migliori del suo ultimo lavoro.

Concerto di Carmen Boza ad Art&Breakfast



La Boza suonava nell'ambito di Art&Breakfast: una sorta di fiera d'arte contemporanea volta a dare visibilità agli artisti più giovani. Ma proprio TANTO giovani. Del tipo che una mi ha detto "beh, loro hanno 35 anni" come se parlasse di vecchi decrepiti. E giuro che per un attimo l'avrei voluta picchiare. La particolarità, tuttavia, sta nel fatto che le esposizioni vengono allestite nelle camere d'albergo, di cui si sfrutta ogni spazio disponibile. 



Art&Breakfast, fiera d'arte contemporanea in un hotel


Il risultato è decisamente d'impatto, anche se in alcuni casi ho avuto la sensazione che la ricerca della provocazione - o, di nuovo, dell'instagrammabilità - fosse superiore all'effettiva qualità artistica. E poi non me ne voglia nessuno, ma una vasca da bagno piena fino all'orlo di spaghetti al pomodoro (veri, cotti, commestibili) non la giustifico neppure in nome dell'arte. SOPRATTUTTO non in nome dell'arte. In primo luogo perchè dopo due giorni di fiera l'odore, in uno spazio piccolo e senza finestre, ti fa venire il voltastomaco. E poi perchè parliamo di kili e kili e kili di cibo sprecato. E lo so che suona retorico dire che "in giro c'é gente che muore di fame". Ma se c'è una cosa al mondo che mi fa incazzare quella è buttare via il cibo. Che bisogno c'era poi? Usavi degli spaghetti di plastica e il risultato estetico era esattamente identico. 

Comunque. 

Nonostante questo ho avuto modo di apprezzare anche dei lavori interessanti, specialmente nell'ambito della fotografia. Ad esempio, il progetto "miopia" di Victoria Adame, che guarda caso ha fatto l'Erasmus a Trieste ("Di dove sei?" "Vicino a Venezia" "Ah sí? Io sono a stata a Trieste!" sta diventando una delle conversazioni più assurdamente ricorrenti nella mia vita). I suoi scatti sfocati ambiscono a ricreare l'esatta visuale che abbiamo noi orbi quando ci togliamo gli occhiali, e riescono nel loro intento alla perfezione. Oppure l'idea vincente di un ragazzo di cui (ahimè!) non ricordo il nome, che consiste nel ritrarre varie tipologie di persone viste per strada e presentarle come carte dei tarocchi. 


Art & Breakfast 


Art & Breakfast
Art&Breakfast
Avevo ancora i loro volti nelle retine quando mi sono accomodata sulle gradinate in pietra dell'Auditorio Municipal. Sul palco, l'inconfondibile scheletro con il fiocchetto fucsia mi parlava di un passato che non credevo di aver voglia di affrontare. Ormai ero distante da Dani Martín. Distante dalle ragazzine ammassate in prima fila. Distante dai fuochi che mi avrebbero scaldata. Distante dalle corse, dal sudore, da quell'emozione che ti increspava la pelle prima che le luci si suicidassero nel buio di un countdown. Comoda, e distante. Fisicamente. Emozionalmente. Io che avevo detto di preferire un festival flamenco. Io che avevo detto che avrei voluto essere altrove. Io che ci casco sempre, e dopo 33 - o 150 anni - ancora nego di conoscermi davvero. 
Concerto di Dani Martín all'Auditorio Municipal di Málaga

Perché mi ci sono voluti due secondi a cambiare idea. Letteralmente. Due.
Alle prime note di Volver a Disfrutar mi stavo già dimenando come se dovessi per contratto lasciare nella musica il mio DNA. Come l'altra sera col concerto dei Killers in diretta radio. Come quella volta che ho rotto addirittura un piatto.

In quel concerto c'era tutta la mia vita. Due ore e mezza ininterrotte di vita. Besos. Zapatillas. Puede Ser. E il secchio d'acqua. E la panchina. E Ya Nada Volverá a Ser Como Antes. Un tributo al Canto del Loco che mi ha riconciliata - per l'ennesima volta - con la me ventenne che, in fondo, non ho mai perduto.



Distante, allora? O, forse, solo cresciuta?


Perché certe mattine ti condannano a un profumo, ed é l'odore che do al tempo quando mi fa respirare un po'. Mentre Dani mi abbraccia per la solita foto io la frase nemmeno la riesco a finire. 

"Non sai quanto mi ha fatto bene quel concerto, ieri". 

Non sai quanto avessi bisogno di lasciarci la pelle, la voce, i piedi, l'anima.
Non sai - perché non lo sapevo neanch'io - quanto abbia bisogno, ogni tanto, di un porto sicuro a cui tornare.

E adesso sí che sono pronta per San Juan. 

Certe cose non cambiano mai. #Dieciocho

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