Era tutto il giorno che aspettavo con ansia il momento giusto per premere play.
Perchè gli album delle band che ti marcano il ritmo della vita mica li puoi ascoltare così, mentre lavi i piatti, come un sottofondo qualsiasi a cui non presti attenzione.
Naa. Ti ci devi immergere, come in una vasca piena di schiuma.
Devono essere la coccola che fai a te stessa mentre t'isoli dal mondo in uno spazio tutto tuo.
Le band che ti marcano il ritmo della vita si meritano le tue orecchie, i tuoi cinque sensi, il tuo cuore.
Persino Google mi aveva mandato una notifica: "Nuovo disco degli Imagine Dragons, Origins".
Già. Come se non lo sapessi. Sul serio, sta diventando ogni giorno più invadente, 'sto coso. E "Sono le 2 di notte, cosa fai ancora in giro? Hai 4 hotel vicino, se mai volessi dormire". E "Sei alla Casa de Guardia, è un buon posto per fare foto. Fai foto, daaaai. Fai foto, ti prego, fai fotooo. Ma non hai ancora fatto neanche una foto?" E "Il tuo volo è oggi. Dovresti uscire di casa adesso perchè potrebbero esserci ingorghi". Google, te lo dico da amica: E FATTELA, OGNI TANTO, UNA VAGONATA DI FATTI TUOI!
Che poi continua a mandarmi notizie di calcio da quando quest'estate, annoiata sul bus, avevo fatto una ricerca su Isco. Vediamo chi gli spiega che volevo solo sapere quanti anni ha.
Ma, si diceva, gli Imagine Dragons.
Avevo delle buone sensazioni su quest'album, e alla fin fine non si può dire che mi sbagliassi.
Certo, non arriva ai livelli di Smoke + Mirrors.
Di Smoke + Mirrors ce ne sarà sempre e soltanto uno.
Di sicuro, però, ci si avvicina più di Evolve.
Al primo ascolto, le mie canzoni preferite (almeno tra quelle che ancora non conoscevo) sono Cool Out e West Coast. Soprattutto perchè "Sarò la tua West Coast" sarebbe la dichiarazione d'amore definitiva, per me. Quella o "Sarò la tua Málaga". O "Sarò le tue conchas finas al pil pil" . O "Sarò la tua overdose di carboidrati". 'Na roba così.
Ma sto di nuovo divagando.
Digital mi affascinava già nei 30 secondi del teaser che annunciava l'album, e continua a farlo anche ora che l'ho masticata intera. A dire il vero ancora non capisco se mi piaccia o meno, ma è la "I'm so sorry" di questo disco, e penso che dal vivo sarà spettacolare.
In generale, tutta la prima parte mi pare nettamente superiore alla seconda. Only e Stuck, ad essere sincera, le eliminerei proprio dalla tracklist. Ma poi arriva Real Life e, nell'adrenalina che ri-esplode, riscopro il miglior riscatto possibile.
Insomma: ascoltatevelo. Che ve lo dica Google oppure no.
Countdown agli sgoccioli. Trolley aperto a terra. Immagino sia inutile aspettare ancora.
Io lo so che Lunedì mi verrà la pelle d'oca, quando tutta la storia dell'Arena di Verona incornicerà le note di Radioactive come se si trattasse di un bel quadro. E starò lì, esaltata e confusa, a sperare come sempre che quel tripudio di batteria non finisca mai.
Sì, vado a vedere gli Imagine Dragons. Torno in Italia apposta. Perchè non so se la musica faccia davvero muovere il mondo, ma di sicuro fa muovere me.
Per questo, nell'ascolto compulsivo del pre-live, mi sembra giunto il momento di dirvi la mia sul loro nuovo lavoro. Certo, non che l'umanità ne sentisse l'esigenza, ma concedetemi di affollare il web con una voce in più.
Evolve, lo devo ammettere, non è stato subito facile da digerire. Se tre dischi fanno una prova, Dan Reynolds e i suoi fanno parte di quella categoria di musicisti che non ha affatto paura di osare. Amano sperimentare, divertirsi con i suoni, farsi permeare dalle influenze che - mentre girano il mondo - gli arrivano alle orecchie dallo stereo. Sarebbe stato fin troppo facile replicare con lo stampino gli ingredienti di hit che sono valse un Grammy, ma evidentemente non era quello che volevano. L'avevano dimostrato già con Smoke & Mirrors, e l'hanno ribadito ora.
Il punto è che io, in tutti i campi artistici, ammiro da morire chi ha il coraggio di andare avanti per la propria strada. Di reinventarsi. Di spiazzare i fan. Solo che, quando ami alla follia certe sonorità, i cambiamenti si fanno complicati da accettare.
Evolve conserva nei tappeti di percussione la cifra identificativa degli Imagine Dragons, ma la colora di elettronica e campionature. Al primo ascolto, le melodie mi sembravano omologarsi a una corrente generale, che ad occhi chiusi e ascoltatori ignari avrebbe potuto rendere l'attribuzione difficile. Sono i Bastille, Sono gli One Republic, Sono i Coldplay? Le perplessità erano tante. Soprattutto quando, arrivata all'ultima traccia, mi sono trovata ad ascoltare una roba distorta che per qualche ragione associo al consumo di sostanze stupefacenti. E mi veniva da chiedere quali avessero assunto loro per pensare di dar vita a "Dancing in The Dark".
Però ho voluto darmi tempo, prima di cadere nel giudizio facile, e oggi posso dire che ho fatto bene! Perchè se il brano finale non riuscirò probabilmente mai a farmelo piacere, tutti gli altri sono andati magicamente a comporre quello che adesso è per me un autentico capolavoro. Quelle che seguono sono le mie canzoni preferite, che vi invito, di cuore, a conoscere.
La più vicina alle sonorità degli Imagine Dragons vecchio stile. Me ne sono innamorata sin dal primissimo ascolto, arrivato a pochi giorni dall'uscita del disco. Vi basterà premere play per capire perchè.
2. Whatever it takes Anche questa uscita sul web come antipasto all'album, il frontman Dan Reynolds l'ha definita come il riassunto perfetto dello spirito che incarna l'intero lavoro. Pulita, precisa ed emotiva parla di accettare se stessi senza vergognarsi dei difetti, e con tutte le debolezze del caso fare tutto ciò che serve per raggiungere i propri obiettivi.
La mia preferita in assoluto. Non solo per la melodia, il ritmo e l'indiscutibile orecchiabilità ma - forse soprattutto - per il testo, che ho immediatamente trasformato in una sorta di inno personale. Lo trovate tradotto qui sotto.
Una curiosità: la band ha anche accompagnato il brano con un video non ufficiale che racconta il loro percorso e che io trovo semplicemente meraviglioso.
Ieri
Questa è per il mio futuro,
Questa è per il mio ieri.
Questa è per il cambiamento,
Questa è per il mio ieri.
Non c'è domani senza ieri.
Questa è per il mio futuro,
addio a ieri.
In tutti questi anni ho cercato
di capire chi avrei dovuto essere.
Tutto tempo sprecato:
ero proprio qui davanti a me.
E' una vecchia tradizione corrotta
da un mago potente,
Ma tra tutti i problemi che ho incontrato
non ho neanche un singolo rimpianto.
Questa è per il mio futuro,
Questa è per il mio ieri.
Questa è per il cambiamento,
Questa è per il mio ieri.
Non c'è domani senza ieri.
Questa è per il mio futuro,
addio a ieri.
Sono uno schianto inevitabile
perchè sono schiavo del mio orgoglio
per mia stessa volontà
sono stato un santo, sono stato la verità, sono stato una bugia.
Post in differita. Molto in differita. Troppo in differita. Però, in fondo, sempre meglio tardi che mai.
5 Febbraio 2016. La stazione di Bijlmer Arena si apre su un mondo di luci e colori.
Qui non ci sono biciclette appoggiate ai ponti in attese di acciaio. Le strade non odorano di marijuana e waffle. Nessuna casa si specchia al contrario, pittoresca, nei canali. Eppure è già questa, la zona di Amsterdam che amo di più.
Mi succede sempre, con i posti non segnati sulle guide. Non poteva non succedermi, nel Paradiso della musica live.
Le persone si muovono a passo svelto, in piccoli gruppi e direzioni alternate. Si incrociano di gusti ed impazienza, riempiendo a poco a poco strade e bar. La senti nell'aria, l'elettricità inconfondibile che precede gli eventi musicali. Si moltiplica e si sparge tra le sale pronte a offrire sogni a chi già attende fuori. Davanti ad un cancello. All'ingresso di uno stadio. Poco importa. Stringono biglietti ben diversi tra le mani ma hanno tutti, sulla faccia, quell'identico sorriso. Quello che, probabilmente, indosso anch'io. E' questa, la cosa migliore del concentrare le principali location di concerti in pochi metri: che, comunque vada, senti sempre che qualcosa di bello sta per accadere. O è accaduto. Sta accadendo, magari, in questo stesso istante, mentre il vento freddo di una sera qualsiasi ti spettina la frangia sulla strada per l'hotel.
Incredibile, davvero, come la musica sappia costruirti una casa attorno indipendentemente dal luogo in cui ti trovi o dalla lingua che ti parlano accanto. Sono in Olanda. Un posto che non ho mai visitato. Eppure Il rumore metallico dei palchi che si montano è uguale in ogni angolo del mondo. I bus a due piani con i finestrini oscurati, solitari in un parcheggio sterrato, sono gli stessi qui come a Madrid. Nel pomeriggio, persone con il pass legato ai pantaloni accendevano sigarette fuori dall'ingresso staff, ed io mi sono sentita di colpo a mio agio.
Suonavano i The Foals, ieri, alla Sala Haineken. Oggi, una serpentina ordinata di persone attende un gruppo a me ignoto dal nome Disclosure. Ma è la fila molto più lunga a pochi metri da lì a catturare veramente la mia attenzione. Si dipana da un punto non ben chiaro all'orizzonte, circondando edifici per quelli che mi sembrano kilometri. "Sta a vedere che...". Fermo una ragazza qualsiasi. Mi ispira fiducia. Ha la felicità negli occhi, gli occhiali sul naso, una giacca pesante persino più ingombrante della mia.
"Scusami, siete qui per gli Imagine Dragons?" "Sì, esatto!"
E benedico di colpo il mio biglietto in gradinata. I posti numerati. L'ansia appena un po' smorzata dall'idea di poter, tutto sommato, aspettare ancora. Anche se, francamente, fosse per me non lo farei. L'impazienza, adesso, è tanta che a quella fila mi accoderei in questo preciso istante. Come quella ragazza che "sarei in gradinata ma ho preferito venire prima". Come quelli del parterre che finalmente intravedono nella frenesia dei buttafuori l'agognato traguardo di un'attesa infinita. Il pre-concerto. Dio, come vorrei sapervelo davvero raccontare.
Sembra ieri che, nei corridoi affollati all'uscita di Assago, ho deciso che li avrei assolutamente dovuti rivedere. Mi era venuta in mente l'Olanda. Avevo pensato che, se l'ultima data è, di per sè, speciale, quella che mette fine il punto a un tour mondiale di due anni doveva essere un evento imperdibile. Aveva senso, lì per lì.
Poi l'ha perduto.
"Devo essere completamente pazza", negli ultimi giorni non facevo che ripeterlo. Insomma, dai. Comprare un biglietto da una sconosciuta su Internet. Un pdf qualsiasi, che la malafede altrui mi ricordava facilissimo da fotocopiare. Prendere aerei per andare ad un concerto completamente da sola. In una città straniera. Ignota. Pazza è dir poco. Scema non rende l'idea. Certo, se non altro avrei fatto del turismo, visto un posto nuovo. Però tutto il resto... forse, al resto, avrei potuto rinunciare.
Ci avevo pensato. Fino a stasera. Fino a che non ho visto questa fila, questa ragazza. Fino a che le luci proiettate sulla parete dello Ziggo Dome, in lontananza, non mi hanno ricordato chiaramente cosa aveva mosso quella decisione. Una decisione che, come tutte le più assurde, si è rivelata essere poi una delle migliori che abbia mai preso.
Chè meno di un'ora più tardi, all'interno di quel palazzetto enorme, la luce verde sullo scan del ragazzo all'ingresso mi garantirà l'accesso a un personale Luna Park. E sarà bello, nel guardarlo validare il mio biglietto, constatare che delle persone ci si può, a volte, ancora fidare.
Sono seduti accanto a me, i figli della sconosciuta che me l'ha venduto. Un ragazzo e una ragazza, entrambi molto simpatici. Cominciamo a chiacchierare da subito. Perchè la musica è già sottotesto, è premessa al discorso, è il miglior interesse condiviso in assoluto da cui far partire una conversazione. "Siamo tutti qui per la stessa ragione", dirà più tardi, sul palco, il frontman della band. "Non importa la religione, la razza, la provenienza", perchè una manciata di canzoni riesce ad annullare le differenze, a farci sentire parte della stessa storia - foss'anche per due ore scarse appena. "Spread peace and love". Forse, in un coro unisono, si può fare davvero.
Paradossalmente, sono stata più sola ad altri concerti. Non a questo, in cui mi preoccupavo perchè non avrei avuto compagnia. Ridicolo. Ora è quel pensiero a sembrarmi tale, non più l'idea di essere qui. Perchè qui, mentre le luci piano smorzano, si respira già l'inconfondibile atmosfera dell'ultima data. Sa di festa mista a un po' di nostalgia. E non importa da quanto tempo segui un gruppo, da dove vieni, chi sei. E' in quei momenti che capisci che è solamente lì che dovresti essere ora.
I Sunset Sons, dal vivo, mi sembrano ancora più bravi che a Milano. "Devo comprarmi il disco", dico al mio vicino di posto. "Avevi ragione, spaccano". E "lo vedi?".
Poi, il batterista e il bassista degli Imagine Dragons irrompono sul loro palco in mutande. Una maschera sugli occhi. Il chitarrista che lancia carta igienica per confermare l'usanza tutta americana di finire con gli scherzi una tournè. In fondo inizia già un po' lì, il loro "ultimo concerto".
Un live in cui la scaletta italiana si modifica leggermente per far crollare il palasport sotto il peso emotivo di Amsterdam, uno dei miei preferiti in assoluto.
O, ancora, per riciclare vecchi brani come Bleeding Out, suonare interamente Hopeless Hopus. Immaginare un cielo stellato dove le torce dei cellulari accendono le tribune in "Second Chances". E meno male che gliel'ho data, la seconda possibilità di farmi stare bene.
Dan Reynolds non riesce ad attaccare Gold, ostacolato da un attacco di genuine risate provocato da uno scherzo non meglio identificato da parte di un suo compagno di gruppo. Daniel Platzman - che la maschera non se la toglie mai - si scatta selfie a pioggia con della gente che, in platea, si è travestita da unicorno. Il cantante dei Sunset Sons si vendica salendo sul palco vestito da donna sulle note di "On Top Of The World".
No, decisamente non è stato un concerto normale. E a chi mi chiede se sia stato migliore o peggiore di Milano posso solo dire questo: che sono felice di averli vissuti entrambi. Che Milano è stata la prima volta, l'attesa interminabile, la scoperta. Invece Amsterdam è stata follia. In tutti i sensi. Ma è stata una follia che, tra le altre cose, mi ha regalato facce nuove, case che si specchiano al contrario, biciclette appoggiate ai ponti e musei spettacolari.
Ecco perchè le sono grata.
Perchè la mia follia ha quasi sempre a che vedere con la musica. E la musica è - non sarò mai stanca di dirlo- il miglior pretesto in assoluto per viaggiare.
Accidenti, non ero mai stata così tanto tempo senza aggiornare il blog!
Vi chiedo scusa con un post in differita. Uno di quelli lunghi, a tratti deliranti e a tratti un po' troppo emotivi, che scrivo sui treni quando sono felice.
Buona lettura.
24 Novembre 2015
Interno notte. Sguardo accidentale alle occhiaie riflesse nello specchio di un appartamento mansardato. Inquietanti. Almeno quanto il sogno che avrei fatto di lì a un po'. C'entravano la Barbie, un gioco di ruolo in una piazza di paese, un attore travestito da Cervantes a cui – non capíta - parlavo spagnolo. “Dovrò pur calarmi nella parte!”, gli dicevo. “Yo vivía en Andalucía”. Sul bollitore una tisana alla melissa. Magari è stata quella. Forse la giacca rosa di Cesare Cremonini. O il senso stupido di tradimento che avverto ogni volta che scrivo in inglese. Dio, non le ho mai avute, delle occhiaie così.
Cesare Cremonini AKA Ken
Scale in discesa. Pigiama. Una vestaglia improvvisata. L'orologio, al polso, segna ormai quasi le due. “Come diavolo hai fatto a fare due concerti di fila?”. A saperlo, amica mia. A saperlo. In testa un campionario di pensieri. In ordine sparso: voglio rivederli. Devo rivederli. Se andassi ad Amsterdam? Ci saranno ancora biglietti? In Connecticut. Il mio compleanno in Connecticut. Non essere ridicola. Cazzo, la lotteria. DEVO VINCERE LA LOTTERIA. Io lo sapevo, maledetti. Maledetti tutti. Non posso permettermi di diventare fan dei gruppi internazionali. Comunque Daniel Platzman figo. Cioé, potrei farmi groupie di una cover band qualunque, di quelle che suonano gratis nei baretti di provincia. Sai il risparmio? Dan tagliati i capelli. Però Amsterdam non l'ho mai vista. Ci vive mia cugina. Potrei...BASTABASTABASTA. Se continuo così dopodomani mi imbuco assieme a loro sul volo per Las Vegas. Però grazie, Colombo, per aver scoperto l'America.
5 Febbraio 2015, ore 12.15. C'era scritto così, sulla ricevuta di pagamento. E' da quando ho comprato il biglietto che assimilo il concerto milanese degli Imagine Dragons al mio primo live de El Canto del Loco. Stessi tempi di attesa. Identico senso di evento epocale. Gli stessi incubi, persino. Come allora frequenti e taciuti, con l'aggravante adesso dell'età. Immagini oniriche di treni che non partono, di palchi che crollano, successione di tragedie varie ed eventuali. Nel quadro dell'attualità, quei sogni avevano il potere di aumentarmi notevolmente la sudorazione. Fa che non sia la nuova Cassandra, fa che sia solo l'ansia. L'entusiasmo. L'emozione.
Pregavo. E, intanto, in virtù del paragone con quel live de El Canto del Loco, sapevo esattamente come sarebbe andata a finire. Sapevo che avrei avvertito un senso di innamoramento difficile da trascrivere a parole. Che le note di Radioactive avrebbero iniziato ad affondarmi in petto il senso di tristezza per l'imminente fine. Implacabili, le avrei viste trascinarmi verso la conclusione di qualcosa sognato da tanto e finito troppo presto, troppo in fretta per non avere voglia di volerlo re-iniziare.
Pensieri sparsi: pubblico variegato. Generazioni miste. Ma allora ci vanno, ai concerti, i rappresentanti del genere maschile!
C'è un tizio che festeggia il compleanno, là, in fondo al parterre. Da qui, dall'anello B, riesco a vederlo bene. In mano ha una torta al cioccolato con due candeline. Si accende già un po' lì, la prima scintilla di magia. Chè il forum d'Assago, sold out, intona all'unisono “tanti auguri a te”. Non lo conosce, quel ragazzo, ma è come se volesse rendergli il giorno un po' più speciale. E poi c'è quella che sviene durante la performance della band di spalla. Il parterre la circonda accendendo le luci dei cellulari per attirare l'attenzione. Il cantante dei Sunset Sons se ne accorge. Interrompe il concerto. Avvisa lo staff medico. Quattro o cinque ole – che poi, vabbè, anche basta- riempiono l'attesa prima che le luci si spengano di nuovo. Non vedo liti tra vicini di posto. Totale assenza di ragazzine isteriche. Di polemiche. Di lacrime insensate. Quelli che ascoltano gli Imagine Dragons sembrano sul serio brava gente. E questo clima, non si sa come, odora di gruppo e serenità.
Una foto pubblicata da Imagine Dragons (@imaginedragons) in data:
Certo, ho perso almeno dieci anni di vita, prima di arrivare qui. Il frecciabianca che accumula ritardo all'imbocco della stazione centrale. L'ingorgo abissale all'uscita dell'autostrada. Le lancette che girano. Il biglietto da ritirare. I parcheggi pieni. E l'insegna al neon del Mediolanum Forum che, beffarda, mi sorride a sinistra. Orizzonte irraggiungibile di una tangenziale a 4 corsie. Mi è venuto da piangere. Da urlare per la frustrazione. Poi stavo per fare la fila alla biglietteria della metro. "Leggo biglietteria, una vale l'altra, è come il richiamo della giungla". Ho fatto foto sfocate all'ingresso perchè mi tremavano le mani. Sono impallidita. Tra ritardi e contrattempi, mi sono aumentate le palpitazioni. “Fammi da badante” e “Ti prego, non sono in grado di capire dove andare”. Poi è successo. Ad un certo punto, con passo deciso, ho varcato la tenda pesante all'ingresso del mio settore. Davanti agli occhi mi si è spalancata la struttura del palco, più vicino di quanto mi sarei aspettata. Era ancora vuoto. La musica semi-indistinta delle classiche playlist pre-concerto riempiva l'ambiente mentre migliaia di teste, tutto attorno, si coloravano di luci ancora senza sfumature. Mi sono seduta, con la mia sottospecie di piadina ancora calda ben stretta nella mano. Ed è in quel momento, in quel preciso istante, che ho cominciato a respirare di felicità.
Ci sono stati i Sunset Sons, che ho imparato a conoscere in questi mesi di assidua preparazione. Dopo di loro, un gruppo di tecnici vestiti di nero hanno abbassato il divisorio con il nome del gruppo. Ho visto le "colonne" conosciute mille volte nei video su youtube. Ho visto l'ormai celeberrimo Big Drum, il tamburo trasparente che contraddistingue il sound del gruppo. Li ho visti fissare le scalette sopra i microfoni, accordare gli strumenti, provare il suono camminando fino al limite della passerella, nel bel mezzo del parterre. Gesti rituali. Meccanici. Semplice e banale routine preparatoria che ormai conosco a menadito nella sua sequenza temporale. Eppure, questa volta, ci ho visto un surplus di solennità.
C'è stato un boato, quando le luci si sono spente di nuovo. Dalla mia postazione fortunata – bella scelta, Ilaria, ottimo studio delle mappe, 10+ - i ragazzi della band si sono portati in fila verso il palco. Strano, vederli un attimo prima che entrassero in scena. In 3D. Dopo tutte quelle interviste. Dopo tutti quei filmati. Ripresa dagli schermi di migliaia di cellulari, la realtà ha incrociato un viaggio virtuale seguito sui social network per circa nove mesi. Sono qui. È il 23 Novembre. Siamo qui davvero.
Una foto pubblicata da Daniel Platzman (@danielplatzman) in data:
Lo show è come me l'aspetto. Meglio, anzi. La cover di Forever Young. Gli accenni ad Amsterdam, Tip Toe, Bleeding out, Warriors, persino la mia amata Second Chances. Potrei sbagliarmi, ma a quanto mi risulta non le fanno mica a tutti i live. Dire che questo è uno dei migliori, in effetti, potrebbe essere una frase fatta. Eppure, un po' stupidamente, riesce a farti sentire orgogliosa. “Don't leave Italy”, intima il frontman in versione campagna “Imagine Dragons per il sociale”. Avete il Paese più bello del mondo, con il cibo più bello del mondo, e le donne più belle del mondo. Ma a me, delle donne, mica importa. Forse in Spagna ci posso andare uguale.
Ancora, Assago che crolla sull'attacco di Demons. L'auto-citazione del primo videoclip che, alternata ai motivi naturali, fa da sfondo a Roots. La spettacolare messa in scena di The Fall, con le foglie rosse che cadono dall'alto a incrementare l'illusione degli alberi autunnali proiettati sul palco. The WOW Effect.
L'assolo di Platzman, ormai decretato all'unanimità (cioè, da me e Rebecca) mio uomo ideale in esclusiva virtù del fatto che posta foto di cibo sui social. E Dan Reynolds, con la sua nuova chioma leonina, che sventola il tricolore in I Bet My Life.
Foto: F.Marinacci (via "Imagine Dragons Italia- Official Facebook Page)
Sembra metterci una cura particolare, nel cercargli una giusta collocazione sul palco. The Big Drum. Non poteva essere che The Big Drum. É uno showman nato, Dan Reynolds. Ma soprattutto, é uno che sa trovare le parole giuste per toccarti l'anima. Il suo discorso relativo ai fatti di Parigi e alla ferma volontà di non cedere alla paura è stato forse il mio momento preferito di tutto lo show. Più di un applauso. Più di un pensiero condiviso. Piuttosto l'energia di una convinzione che ho visto spalmarsi sulla gente. Quella gente che davvero sentiva, come lui, che essere lì ora contava di più.
Se n'è andata a metà concerto, la mia amica. Un problema. Un'urgenza. Io sono rimasta lì, accanto ad un posto vuoto, a regalare ai vicini la mia versione più indemoniata. Eppure, sola, non mi ci sono sentita nemmeno per un attimo. Mi accompagnava la musica. Mi accompagnava la gioia. Mi accompagnava un sorriso a trentadue denti, che poi è ciò che fa sì che ansia, attesa, disagi e soldi spesi valgano la pena.
Esattamente come il giorno prima, al concerto di Cremonini. Che ha messo su uno spettacolo di luci e suoni degno di una star internazionale. Cremonini che si conferma la costante dei miei ultimi quindici anni di vita. E – strani giri del destino- mi ha riportata proprio lì: in quel PalaTrieste dove, il 4 Dicembre 2000, ho visto il mio primo concerto in assoluto. Suonavano i LunaPop. Ora che ci penso, un'altra tappa epocale.
Io non lo so, come ho fatto a farmi due concerti di fila. So, però, che nel gelo di uno spiazzo asfaltato qualcuno ha detto una gran verità.
“Siamo una famiglia: passano gli anni, ma poi ci ritroviamo davanti alle transenne ed è come se ci fossimo viste ieri”. Come se niente fosse mai cambiato.
Quello che so è che, nonostante le occhiaie più nere del mondo, ora sono qui a cercare di tirare le fila di questo doblete sul treno di ritorno verso casa. E mi accorgo, di nuovo, che forse è tutto inutile. Basterebbe scattarmi una foto. Basterebbe guardarmi. Perchè a dire tutto, ancora una volta, è già il mio pressochè indelebile sorriso.
"È la libertà, solo la libertà. La sensazione di avere tra le mani tutto. Questo fa succedere quello che avete visto ieri e ieri l'altro e in tutti i concerti più belli della Vostra vita. È stata una conquista.
È adesso più che mai che va difesa. Praticandola.
Andate con lo stesso sorriso di prima ai concerti, ascoltate la musica, riempite i teatri, i cinema, le biblioteche, le università, gli stadi, le piazze, i bar e le strade, le discoteche e i ristoranti e i negozi e i centri sociali e le spiagge e i prati e le montagne e le terrazze e salite sugli aerei, sulle navi e sui treni e sognate liberamente.
Tutto questo non è altro che libertà se messa al servizio del cuore.
"Questieravamo noi al Bataclan quando ci abbiamo suonato. Uno splendido teatro che per anni è stato una casa per l'arte, l'amore e la musica. Nessuno può portare tutto questo via da lì. E nessuno può portare via il cuore da Parigi"
Gli articoli, in tutto il mondo, riferiscono di un mondo della musica in lutto. Parlano di concerti annullati. Riportano elenchi in ogni caso troppo lunghi di chi, di fronte agli attacchi di Parigi, ha preferito spegnere i riflettori. Io preferisco chi continua. Chi ha reagito suonando più forte. A difesa dell'arte. Della musica. Della vita.
Per questo è motivo di orgoglio constatare che almeno due dei nomi più ricorrenti sul mio iPod sembrano al momento condividere il mio pensiero. Entrambi, in angoli diversi dell'Europa, ieri hanno illuminato i rispettivi palchi di luci rosse, bianche e blu.
Ho cercato su Google. Avrei voluto trovarne altri. Avrei voluto unirli tutti in un solo video da postare su youtube. Un collage di show diversi che ne avrebbero formato uno unico, ideale. L'omaggio più grande a chi, quel 13 Novembre, ha perso la vita con la sola colpa di volerla celebrare.
Non ho avuto fortuna.
Ma se ne avete avuta voi; se sapete di qualcun altro che, in qualunque altra parte del Globo, ha suonato sotto le luci del tricolore francese, per favore, segnalatemelo.
Perchè io, il mio piccolo commento su Parigi, vorrei concluderlo così.
Non, come avevo suggerito, con un vero resoconto delle reazioni del mondo della musica, ma con il campionario - pur non esaustivo- di chi non l'ha voluta fermare.
Aggiornamento: tra gli omaggi sul palco alle vittime di Parigi, segnalo anche quelli di Madonna (in lacrime a Stoccolma prima di intonare Like a Prayer) e dei Coldplay, che hanno cantato Imagine a Los Angeles.
Capitemi, però: l'unione di una band che ami con un Paese che adori non è una circostanza che si verifichi così di frequente da poter essere passata sotto silenzio. Soprattutto se hai già cominciato a rompere abbondantemente i maroni al prossimo con il countdown per l'Evento dell'anno. E, se ci hai dedicato un post quando mancavano due mesi, è ragionevolmente ovvio farlo ora che ne manca meno di uno. Quindi, fondamentalmente, avevo due alternative: retwittare in diretta tutto ciò che gli Imagine Dragons e il loro staff pubblicavano durante la loro permanenza in Spagna, o raccoglierlo a posteriori in un unico post sul blog. Diciamo che ho preferito limitare il più possibile le perdite di follower, ecco. La band, per chi ancora non l'avesse capito, è stata da poco a Madrid e Bilbao per due tappe del tour europeo. É stato particolarmente interessante, per me, guardare la penisola iberica attraverso i loro occhi. Scoprire, orgogliosa come una strana specie di madre, cosa pensassero delle rockstar internazionali di luoghi a me piuttosto noti. Il lato più apprezzato - manco a dirlo - è stato il cibo, con il Jamón Iberico a farla da padrone nelle preferenze gastronomiche. Ma hanno avuto i loro attimi di gloria anche le notti infinite della capitale spagnola e l'estate inaspettata che sorpreso i Paesi Baschi a fine Ottobre. Ben, il bassista, si è rivelato essere in assoluto il più filo-ispanico del gruppo. Avevo già avuto modo di intuirlo grazie ad alcuni suoi tweet ed una vecchia intervista per Los 40 Principales, ma di certo ignoravo che proprio a Madrid avesse aperto anni fa il suo account Instagram, o che il caratteristico e riconoscibilissimo "sorriso da Spagna" non fosse una prerogativa solo mia. A seguire, senza troppi altri commenti, la selezione di post presi da Instagram e Twitter con cui gli Imagine Dragons hanno raccontato a modo loro la Penisola Iberica. In attesa di continuare a rompervi i maroni quando finalmente arriveranno a Milano. Abbiate pazienza, prima o poi mi passerà. - Daniel Platzman, batterista e #foodie dichiarato, alle prese con la dipendenza da Jamón Iberico.
- Ritorno alle "origini": in questo stesso locale, in pieno centro a Madrid, il bassista degli Imagine Dragons aveva postato anni addietro il suo primissimo post su Instagram, che potete rivedere qui.
Una foto pubblicata da Ben McKee (@benamckee) in data:
- La tour manager del gruppo, nel condividere una foto di Madrid con un commento sulla sua vita notturna e la sua adorabile "pazzia", apporta un tocco di italo-spagnolismo alla tappa spagnola del tour. Il menù della cena che dichiara di essersi goduta prevedeva infatti, oltre all'onnipresente jamón iberico e alle olive, dell'italianissima burrata.
Una foto pubblicata da Angie Warner (@kidang711) in data:
- Non amare Madrid sembra davvero impossibile per chiunque. Tra l'altro, la frase "le parole non possono descrivere quanto mi sei mancata, Madrid", la conosco e la capisco molto, ma mooolto bene.
Per quanto sembri strano, quello degli Imagine Dragons sarà per me il primo concerto davvero internazionale. Sì, insomma: la prima "data unica in Italia", il sold out con mille anni di anticipo e quelle robe lí. La cosa, suppongo, dovrebbe costituire un motivo abbastanza comprensibile con cui giustificare la mia trepidazione. Anche se di anni non ne ho più quindici, ma esattamente il doppio. Ahimè. Era ancora Febbraio, quando comprai i biglietti. Pochi giorni prima che fossero ospiti a Sanremo. All'epoca sapevo a malapena che faccia avessero. Erano la band che avevo scoperto sulla scia dell'entusiasmo di mio padre per It's Time, quando cercavo pezzi in inglese da ascoltare mentre lavoravo. Con quelli in spagnolo e in italiano mi distraggo a seguire il testo. A volte improvviso anche del Karaoke. Non esattamente quello che ci vuole per incrementare la produttività.
Ricordo come fosse ieri che dissi a Rebecca "però prendiamo i posti in gradinata, ok? Ché mi piacciono, ma non è che sia una fan sfegatata". Beata ingenuità. Chè Subito dopo iniziai a seguirli sui Social Network. E i Social Network, si sa, possono alimentare le passioni con la stessa rapidità con cui riescono a distruggerle.
Morale: oggi al concerto mancano due mesi. Io seguo i quattro membri del gruppo, le mogli, il manager, la tour manager. So come si chiamano i figli. Conosco i brani degli EP editati prima del successo mondiale, le canzoni meno note, credo di aver guardato ed ascoltato almeno il 65% delle interviste presenti su youtube. Perciò non dico che baratterei il mio biglietto in gradinata con uno in parterre - mi ammalo dopo ogni viaggio, figuriamoci se ne avrei le forze!- ma di certo SONO una fan sfegatata. Una che, a forza di tweet e foto su Instagram, ha ormai quasi la sensazione di aver girato il mondo assieme a loro. A proposito: inaspettatamente carina, Taipei, dovreste farci un giro.
Qualcuno potrebbe dire che c'è un che di malato, in questa mia necessità di appassionarmi in modo viscerale a tutto ciò che mi provoca emozione. Di sicuro, però, ha anche dei lati positivi. Davvero. Almeno tre. Il primo è il (seppur lieve) miglioramento nel mio livello di inglese. Il secondo è che potrei arricchirmi scrivendo un tutorial su "come diventare fan in meno di 9 mesi" e venderlo ai reparti marketing delle case discografiche. Il terzo è che le mie playlist ne hanno guadagnato. Sì. Perchè se c'è una cosa che amo, nel seguire i musicisti sui social network, è che spesso condividono o consigliano pezzi di qualche loro collega. E, se ti piace la musica di qualcuno, è molto difficile che tu finisca col disdegnare quello che ascolta. Questione di affinità, nel più puro dei sensi. Così, grazie agli Imagine Dragons, ho scoperto in questi mesi gruppi e brani che mi hanno entusiasmata. Spesso è accaduto peraltro con largo anticipo rispetto al loro approdo sul mercato italiano, il che mi ha regalato la sempre impagabile soddisfazione di dire "lo conoscevo già" (con voce snob e aria di sufficienza) al primo avvistamento su MTV. Vi segnalo i migliori qui sotto. Ché in fondo, a pensarci bene, la musica anglofona è anche terreno neutrale e punto di contatto tra spagnoli e italiani.
1. Walk the Moon - Shut Up And Dance
Brano del 2014, l'ho ascoltato per la prima volta come sottofondo a un video di vita famigliare condiviso da Dan Reynolds su Youtube. É una di quelle canzoni in grado di mettermi istantaneamente di buon umore. Un consiglio? Se ancora non la conoscete, ascoltatela su Spotify prima di guardare il clip: é talmente brutto che rischierebbe di rovinarvi l'impatto sonoro.
2. Brandon Flowers - The Desired Effect
LOVING the new @BrandonFlowers record - it's been on constant repeat. always making Vegas proud.
Gli Imagine Dragons promuovevano attivamente su Twitter l'album di Brandon Flowers, forse anche per spirito campanilista: il cantante dei The Killers, infatti, é come loro di Las Vegas. Il suo "The Desired Effect" é stato per me una delle migliori scoperte dell'ultimo periodo, ed é attualmente (ironia del destino!) in loop costante mentre lavoro. Qui il video del bellissimo singolo "Can't deny my love"
3. Halsey - New Americana
Halsey apriva il tour Nord Americano della band. Questa è, tra le sue, la mia canzone preferita.
4. X Ambassadors - Renegades
Renegades è, secondo me, una delle migliori canzoni che passino in radio ultimamente. E, lo ammetto: non è stato proprio grazie agli Imagine Dragons che me ne sono innamorata. Il colpo di fulmine è arrivato nel più banale dei modi, al primo passaggio su RTL 102.5. Immaginate, perciò, la mia sorpresa quando, cercando il video su Youtube, mi sono ritrovata davanti ad un'intervista intitolata "gli X Ambassadors parlano della loro amicizia con gli Imagine Dragons". Me ne sono ricordata allora: un po' di tempo prima, i ragazzi avevano segnalato l'uscita dell'album su Twitter. Io ero in Spagna, o comunque fuori casa, e non avevo avuto modo di ascoltarlo. Peccato: sarebbe stata un'altra occasione per dire "li conoscevo già"!
Il cantante Dan ne parlava come una delle sue canzoni preferite in numerose interviste. Da lì, la mia curiosità. Che, ancora una volta, è sfociata in una piacevole sorpresa.
Unici non americani di questa lista, i Sunset Sons apriranno tutti i concerti degli Imagine Dragons in Europa, Italia compresa. Devo ammettere che, nel complesso, non mi entusiasmano granchè. Anzi, con tutta probabilità passerò l'intera durata della loro esibizione a sbuffare impaziente e scattare foto al pubblico, come da ingiusto clichè con le band di spalla. "She Wants", però, è carina un bel po'.