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domenica 17 settembre 2017

Concerto vista Oceano.

7 Settembre 2017.
Il sole è una palla rossa imprigionata dentro ad un bicchiere.
Rimbalza impotente su decine di schermi, il logo dello sponsor bene in evidenza sui profili di Instagram. 




Sono felice, Cádiz, di conoscerti finalmente per come sei davvero. Lontana dalla bolgia carnevalesca, dalle distopie dell'eccesso; liberata dalla puzza di piscio e vomito che aveva nascosto ai miei occhi la meraviglia che tutti dicevano. Lo sapevo da quel giorno che eri in qualche modo in debito con me. Così come sapevo che più di otto anni dopo l'avresti saldato. 

L'ho capito su questa stessa terrazza, soltanto poche ore fa. Avevamo mollato i bagagli in un ostello tutto soffitti alti ed azulejos, ancora un po' stropicciate dal viaggio in bus. Una telefonata, un po' di mascara e via, pronte a squarciare a passo svelto il centro storico della città. 

Dal settimo piano di un hotel asettico la tua caotica geometria bianca mi si è svelata come una promessa di infinite sensazioni. Era un saliscendi di tetti piatti e torri aggrappato all'Oceano, quasi temesse di vederlo scappare. Era un racconto di storia e di futuro, di fortezze e d'oro, e ancora ponti gettati sull'era moderna, e Arabia, e Roma e cattedrali. Era il teaser di quel giorno di turismo che è insieme conseguenza e causa del concerto che sta per cominciare. 

Lo skyline, in quel momento del pomeriggio, era interrotto soltanto dalla silhouette magra di David Otero. "Che sorpresa!", esclamava abbracciandomi, mentre lo stesso grido, Cádiz, io avrei voluto riservarlo a te. Céline doveva intervistarlo per una radio francese, e mi aveva dato l'opportunità di accompagnarla. Tutto intorno disponevano le sedie - "nel numero esatto di biglietti venduti, mi raccomando, non si devono vedere buchi nelle foto" - e mentre sorridevo alle direttive della tizia dell'organizzazione mi tornava in mente uno dei tanti corsi di comunicazione all'Università. É simpatica. Porta un fiore tra i capelli e ha vestito la figlia con una gonna di toulle che ricorda un tutú. In una vita parallela potrei essere io. Una vita in cui ho scelto un percorso diverso, mi sono sposata, e ho deciso di essere madre. 

Comunque. 

Ci aveva accompagnati al piano di sotto, in cerca di un posto che mettesse il registratore al riparo dalle rivendicazioni del vento. Meglio, tutto sommato. Ché, panorama a parte, il divano della reception é parecchio comodo. Mi sono bevuta l'intervista sottolineando l'interesse con i click della macchina fotografica. Presenza discreta e rispettosa del lavoro di taglio e montaggio a cui la mia amica si sarebbe dovuta sottoporre a casa. Difficile, però, trattenere una risata quando una signora si è schiantata dal nulla contro la porta chiusa di un ascensore. "Coño, casi se mata!". E praticamente impossibile non intervenire quando alla domanda "Ti piacerebbe suonare in Francia?", David ha risposto "certo", ma ha aggiunto che il luogo in cui gli piacerebbe di più portare la sua musica è l'Italia. 

É bello chiacchierare con lui, da sempre. Ha questo strano dono di metterti a tuo agio, come se in un sorriso eliminasse ogni distanza tra le luci dei riflettori e la vita in cui cambia pannolini. Ormai é una presenza famigliare per me, il che è piuttosto strano da constatare. Insomma, se lo dicessi alla ragazzina che un decennio fa ha imparato lo spagnolo con i video del Canto del Loco probabilmente non ci crederebbe mai. E invece eccoci qua, a scambiare opinioni sull'industria discografica e le migliori strategie per farsi conoscere al di fuori del proprio Paese. Ad analizzare lo strano meccanismo per cui i cantanti italiani, per avere successo in Spagna, traducono le canzoni in spagnolo; E però gli spagnoli cantano le hit italiane in italiano, e se vogliono andare in Italia pensano di dover tradurre le loro, quando in realtà hanno più successo se cantano nella loro lingua. Un casino bilingue, in definitiva. Salta fuori che a David piace Jovanotti. Ed io mi trattengo dal dirgli che ho sempre trovato una qualche affinità nascosta sia nel loro atteggiamento che nella loro musica. 

Eccomi qua, insomma, a farlo ridere con battute sceme che poi ruba per un autografo. A ripassare il passato, a parlare di social. 

Diceva, David, che Facebook ha ormai perso tutto il suo attrattivo, ed io annuivo con convinzione. Diceva che il problema di Twitter è che quando il numero di follower va oltre il centinaio di migliaia le valanghe di cattiveria finiscono per farti stare male. Perchè non importa quanto tu possa fingere di fregartene: l'essere umano è essere umano. Se ti dicono che una canzone è una merda e in quella canzone ti sei messo totalmente a nudo, è un po' come se dicessero che sei una merda anche tu. Anche per questo ha sempre avuto paura ad aprirsi troppo, nei brani. Allora resta Instagram, il più divertente. Che almeno metti le foto e le persone ci mettono i cuori senza impegnarsi troppo a demolirti o approfondire. É la scelta di quasi tutti i vip, ormai. E un po' mi faceva tristezza pensare che la decisione delle piattaforme su cui esprimersi sia dirottata dalla miseria di chi crede che basti nascondersi dietro un nickname per sfogare sugli altri le proprie frustrazioni. 

Adesso non ci resta che aspettarlo, mentre la terrazza si riempie e il sole del tramonto crede che quel piccolo palco sia tutto per lui. Un applauso quando si nasconde dietro al mare. Un ragazzo, una chitarra. Che lo show dei ricordi possa cominciare. 




É la prima volta che David Otero suona a Cádiz come solista. Gran parte del pubblico non é mai stato ad un suo concerto. Un pubblico bello, come é sempre il suo. Amiche sui trent'anni che sorridono estasiate, coppie sui quaranta, famiglie intere, hipster che cambiano volto chiedendo un revival de "El Agricultor" ("Claro, y Pequeñita?"). Il biglietto da visita é per tutti loro una cartolina dallo sfondo mozzafiato. La magia dei brani in acustico, crudi e puri come sono nati. La dimestichezza acquisita del performer che David ha negli anni imparato ad essere. Ed io, che non ne ho alcun merito, di tutto questo mi scopro orgogliosa. 

Perché, dai: cosa c'é di meglio che ridere fino alle lacrime nel bel mezzo di un concerto? A lui succede - e a noi di riflesso - mentre racconta aneddoti di "Una foto en blanco y  negro" e la nostalgia di quel gruppo mi colpisce nel petto come una pugnalata. 

Peccato che nessuno posti quel momento. Forse la memoria di tutti i cellulari é stata, per ripicca, intasata dal sole. 

Ci salutiamo in un abbraccio veloce e la promessa delle prossime puntate. E scendo, anche grazie a lui, alla scoperta della città incantata. 

Sono felice di aver ripreso a viaggiare con la scusa dei concerti. Perché le note di una chitarra possono voler dire anche kilometri di tonno tenerissimo cucinato in mille modi. E acque turchesi, e sabbia bianchissima, e la perfezione di una spiaggia da Caraibi a due passi dal centro città. 





Cádiz è il contrasto tra le pietre marroni e il bianco liscio dei muri, la sensazione di leggero degrado delle pareti scrostate tra i vicoli che in qualche modo riesce a renderli ancora più affascinanti. É un susseguirsi di palme, di piazzette suggestive, di locali con i tavoli fino in mezzo alla strada, perché mangiare é piú importante di camminare. 













Cádiz è la nave da crociera che compare d'improvviso come un condominio in mezzo agli edifici. E tu ti chiedi come sia possibile che in una sola notte ti abbiano rubato il mare. 


Ecco perchè se lo teneva stretto. Ecco perchè hai avuto quella stessa sensazione anche dopo aver salito i 173 gradini della torre Tavira. É come se la città avesse con l'Oceano un legame intenso, ma al contempo lui sembrasse troppo vasto per volersene curare. Detta legge, privando di acqua le barche ormeggiate ogni dannata notte per poi restituirgliela al mattino. Ed io lo guardo, affascinata dall'idea di grandezza che mi suscita da quando ero bambina. 
Vista dalla Torre Tavira


Perchè quando guardi il Mediterraneo riesci quasi sempre a immaginare l'approdo più vicino. Da qui in avanti, invece, solo il nulla più assoluto. Fino in America. Ho tracciato una linea immaginaria sul mio mappamondo: andando sempre dritti la prima terra che si incontra è Virginia Beach. 

Come un anello al dito, la cupola d'oro della cattedrale scintilla di ricchezza, forse anche per stupire chi arriva da così lontano. 







martedì 14 febbraio 2017

"Sevilla tiene una cosa...."


... E comunque a Siviglia si respira la grandezza delle Capitali. Siviglia è spazi ariosi e arance. Riflessi invertiti di meraviglia nella notte in cui la Giralda è un quadro nella pozzanghera che ti dimentichi di fotografare. Wow. Giardini e trolley. Patios, flamenco e strade strette. Identità forte, radicata negli anni, che però non teme nelle geometrie del "fungo" di reinventarsi il suo domani. Siviglia è duemila città in uno. Triana "Puente y aparte", come canta Poveda; E lo capisci solo adesso cosa voglia dire. Un paesino al di là del fiume, un'entità che vive di di vita propria e che con la Città non vuole averci niente da spartire. Il Barrio de Santa Cruz, che è l'Andalusia come te l'immagini, con le sue strade strette, le case bianche, i vasi pieni di fiori sui balconi. Le architetture buffe e quasi veneziane che accostano cerchi e bifore, torrette ed azulejos. É c'é la torre Pelli , brutta da far schifo, a contrastare con il fascino infinito del Centro di Arte Contemporanea. Cacofonia di musiche diverse e risate di bambini. Opere d'arte integrate nelle finestre. L'inquietudine di uno sguardo finto. Un festival. Un lago, e non volere più andar via. 

Dettagli di Barrio Santa Cruz 

Dettaglio di "Las Setas"

Fronte case

La Cartuja - Centro Andaluz de Arte Contemporaneo Sevilla





Siviglia è turismo da cartolina e "un giro sulla carrozza?". É l'Alameda degli Erasmus, le birre e la musica indie, é il mercado de feria per riempirsi lo stomaco a tre euro e cinquanta, i murales di Plaza de Armas e gli infiniti dettagli da instagrammare. 

Grava su di lei tutto il peso stratificato della storia, della tradizione, di quell'indescrivibile meraviglia filmica che è Plaza de España. Perchè è un altro mondo, solo questo. Un altro tutto. Sotto alle nuvole che corrono veloci un sottofondo di nacchere e zoccoli può rimetterti al mondo in modi che non credevi possibili.

Plaza de España

Plaza de España

Plaza de España




Siviglia ti intimidisce. Ti fa sentire piccolo, in mezzo ai suoi viali imponenti. Nelle misure raccolte di Málaga, al contrario, ti sembra di averci sempre vissuto. A Siviglia anche le tapas sono più grandi, e qui decisamente vince lei. Però Siviglia (grande pecca!) non ha il mare. Málaga é elegante e raffinata. Siviglia è, nonostante tutto, estremamente casual. Siviglia è carne, Málaga pesce. A Siviglia la feria è questione di inviti e dress code. A Málaga é aperta a tutti, anche se non hai il traje flamenco, e contagia il centro di un macroscopico (a volte eccessivo) botellón. A Siviglia ci sono troppi italiani: tanti da indispettire gli abitanti e, in certi casi, inacidirne il tratto. Málaga - lo scopri solo nel confronto - é ancora tutto sommato un'oasi spagnola. 

Ci ho messo un po', a riprendermi dalle notti insonni di un weekend che ne è valsi mille. Un weekend vissuto con la straordinaria e liberatoria leggerezza che ti dà sentirti in vacanza, lontana dal lavoro e da ogni sorta di routine, anche quando in realtà ti trovi solo a poco più di due ore di autobus da casa. Lì, nel capoluogo della regione in cui vivo, ho finalmente conosciuto una delle persone che (grazie Internet!) più sento affini. Ci siamo finte per un attimo youtuber. Abbiamo giocato a sfidarci su quale delle nostre due fosse la città migliore. 

E sapete che c'è? Francamente credo che si completino, come due facce della stessa medaglia. Perchè- al di là di un derby perenne - è proprio nella somma delle loro diversità, nel modo antitetico che hanno di sedurti, tutta l'anima ricchissima dell'Andalusia.

domenica 1 marzo 2015

Viral Songs: le canzoni più condivise della settimana in Spagna e in Italia [#5]. E una parentesi su Milano.

Torno da Milano. In testa non ho quattro guerre mondiali ma il nuovo singolo dei Negrita, che con quella canzone condivide guarda caso uno degli autori. Si sente. Sembra leggermi dentro. Mi piace da morire.

Generazioni in ciclo, con le loro convinzioni, che mescolano i sogni a una manciata di canzoni. 



Non è brutta, Milano. Non nel senso estetico del termine. Non per i canoni di bellezza che applicherei a una città. É solo che vive in un'eclissi perenne di sole e di gioia. Schiacciata nelle sue inspiegabili urgenze. Colonizzata da ragazzine intercambiabili in pelliccia sintetica ed identici paia di scarpe. Sono tribù urbane esose del tutto e dell'adesso, omologate finanche nei rituali di evasione. Milano ha perso la capacità di instaurare rapporti umani senza che ci sia di mezzo uno smartphone. E i passanti, per strada, non ti chiedono più indicazioni; ti dicono "scusa, ho la batteria scarica, puoi controllare sul cellulare dov'è questa via?". Come se il dispiacere per la non auto-sufficienza tecnologica fosse ormai diventato il peggiore dei peccati. L'intromissione nello spazio altrui, fosse anche per un secondo, un grave errore. Poi i quindicenni, sull'autobus, parlano solo delle differenze tra Samsung ed iPhone. Ti verrebbe da scuoterli, da urlare "VIVI! Cristo Santo, VIVI!". Ma ti sembrano tutti ipnotizzati. Vuoti. Privi d'anima. Perduti in un posto che mette tutto ciò che vuoi a tua disposizione, ma sempre a caro prezzo. Senza lasciarti neanche il gusto di bivaccare un po' più a lungo al tavolo di un bar. No, Milano non è brutta. Per niente. Insomma, guarda Brera. Guarda l'arco della pace. Guarda il cimitero dov'è sepolto Manzoni. Milano è solo geneticamente incapace a rilassarsi. Milano è una donna che si fa il botox senza capire che è lo stress la sola causa di tutte le sue rughe. 

Torno da lì. Da una due giorni lavorativa che ha trovato spazio anche per risate e re-incontri. Ma ora è tempo di riaffrontare la routine. Quindi, nonostante il sommo dispiacere per non aver aver incontrato la Barbie (ci tenevo, sono una sua fan), vi condivido come di consueto i brani più condivisi della settimana. Ché non comprenderanno il nuovo dei Negrita (per ora!) eppure non per questo son da sottovalutare. 




In Italia, il primo posto della Viral TOP 50 settimanale di Spotify se lo aggiudica "Go Out", dei Blur (secondo in Spagna). Lo seguono da vicino i Linea 77, a cui personalmente assegnerei un trofeo per la pubblicità più molesta della storia sulla piattaforma di music streaming (ragazzi, anche basta, per favore). Interessante osservare la presenza nella top 10 di "Satelliti nell'aria" di Giovanni Caccamo, che si conferma così uno dei maggiori trionfatori dell'ultimo festival di Sanremo. Per questo blog è poi di notevole rilevanza la presenza di un brano in lingua spagnola (Perdóname, Deorro) addirittura alla posizione numero 6. Con tante grazie allo spot del Nokia Lumia. Sempre a proposito di smartphone. 


Nella Terra di Cervantes, Carlos Sadness continua a fare man bassa di condivisioni con l'ultimo progetto discografico, collocando un altro dei suoi brani in vetta alla classifica dei piú postati. In questo caso si tratta di "No vuelvas a Japón". 







Particolarmente felice mi rende poi la presenza altissima degli Imagine Dragons (cuoricini) in entrambe le classiche, ancor più visto che conferma quanto già avevo constatato in un precedente post: il loro brano piú apprezzato dagli utenti dei social network di entrambi i Paesi (e, azzarderei, di tutto il mondo) è "I'm so sorry", terzo da noi e quarto in Spagna , dove è preceduto con pochissima distanza da Dream. 

E voi vi sentite più italiani o più spagnoli, questa settimana? 



giovedì 25 settembre 2014

I trentenni in discoteca.


Strana gente, i trentenni. Nostalgici di una nostalgia strana. Ricordano Periodi d'Oro con la distorsione del tempo passato. Chè era bello, scatenarsi in discoteca finchè se ne aveva il fiato. Il sudore appiccicato ai vestiti. I cocktail dal sapore dolciastro. Davvero, accidenti, quanto ci divertivamo! Così ci cascano. Ci caschiamo tutti, prima o poi.

Soffieremo candeline. Cambieremo decennio. E, dopo una pausa ad effetto che fa tanto preludio-al-massacro-da-film- horror, annunceremo: “è tanto, però, che non andiamo a ballare”! Ta-daaaaaan. 



Ci mettiamo quattro ore, a trovare un locale. Consultiamo 324 recensioni su tripadvisor. Cerchiamo app per l'evenienza. Divaghiamo mentalmente pensando alla bellezza delle partite a Risiko. Il tutto per renderci conto che l'unica opzione che davvero ci entusiasma sembra essere la Silent Disco. Avete presente, no? Quel concetto meraviglioso  per cui ti danno delle cuffie, tu scegli di ascoltare la musica che vuoi, e ognuno balla come un indemoniato per conto proprio. Che almeno “se vuoi parlare con qualcuno ti togli gli auricolari”. “Sì, non c'è casino”. “Ma dite che uno può portarsi l'iPod da casa?”. Che siamo irrimediabilmente vecchi, in effetti,  avremmo dovuto capirlo già lì.  A dirla proprio tutta, io mi sono chiesta anche se ci fosse il volume regolabile. Solo che ho deciso di tenermelo per me. Del resto, sto già fantasticando sulla Rivelazione del Secolo: in alcuni di questi posti – è scritto su Tripadvisor- il genere ascoltato viene segnalato da lucine di diversi colori. Voglio dire, ci rendiamo conto dei vantaggi? Con una sola occhiata puoi: 

A) Capire se uno è gay
B) Capire se uno è disadattato 
C) Capire se potrebbe venire ad un concerto con te
D) Capire se insulterebbe pesantemente i tizi che vai a vedere in concerto tu.

Insomma, è il luogo di Rimorchio perfetto! Il Paradiso in Terra! E' geniale! E'... 

“Una vaccata. L'uomo medio guarda quello che ascoltano le tipe e prende le cuffie di conseguenza. Poi l'hard rock se lo ascolterà a casa”. 

Un minuto di silenzio: riposi in pace un'illusione. 

Comunque: la Silent Disco, manco a dirlo, in giro non c'è. Così trangugiamo un grappino, prendiamo il giubbotto, e prendiamo per le corna la nostra affatto perduta gggioventù. 



Nella foga di voler evitare i bimbi (leggi: neo-diciottenni molesti in libera uscita) finiamo in un locale  popolato in via esclusiva da quella rinomata specie autoctona dei locali danzerecci italici meglio nota come: viscidoni. Trattasi, per chi non li conoscesse, di uomini al di sopra dei 40 anni, tendenzialmente sudaticci e molto poco avvenenti, che si dimenano in modo scoordinato in pista lasciando occhiate languide a chiunque sia dotato di un seno. Suona La Copa de La Vida. Oleoleole. La Festeggiata ed io ci guardiamo con aria terrorizzata e il vaghissimo sospetto di essere rimaste incastrate in una brutta copia degli anni novanta. Ci beviamo un mojito, e scappiamo via. 

A questo punto è l'una di notte e io sono già cotta. Dove per "cotta" intendo che devo concentrare tutte le  energie sulle palpebre per imporre loro di non chiudersi. Mi sa che non ci riesco neanche granchè bene, visto che ho ricordi piuttosto vaghi del tragitto per raggiungere il secondo locale. Una discoteca vera e propria, questa volta. Di quelle che per entrare devi sborsare venti euro e sorbirti file epiche. Ma si è in compagnia, siamo gggiovani, si può fare.  

Mi guardo attorno. Una mandria di ragazze si dirige spavalda verso l'entrata, sfidandosi all'evidente gioco di mostrare più parti possibili del corpo senza arrivare al nudo integrale. Ridono contente. Si mantengono in bilico su trampoli che manco al circo. Io, con i collant invernali, la giacca in pelle e gli stivali rasoterra mi stringo in qualche brivido di freddo con un'espressione da imminente patibolo. Poi, un trans supera l'allegra comitiva su tacchi ancora più alti. Indossa una minigonna inguinale giallo fluo ed ha un fisico molto ma molto più bello del mio. Mi viene da piangere. Giuro.


Un tizio ci prova, infatti, col trans. “Sei bellissima”, gli dice. Sento che vuole offrirgli da bere. Mi chiedo se non abbia capito, se abbia capito e gli vada bene così, se è proprio quello che cercava, se lo sta prendendo in giro. Poi, in uno di quei fastidiosissimi momenti di empatia che mi prendono ogni tanto nei confronti della razza umana, penso a quanto debba essere difficile vivere così. Senza sapere quello che la gente vuole o si aspetta realmente da te. Eppure chi di noi lo sa, in fondo? 

Un'amica interrompe i miei deliri filosofici sottoponendomi una gif sul cellulare in cui un tipo fighissimo si spoglia tra gli urletti femminili. “Ma perchè mi mandano 'ste cose?”, si chiede affranta. A me viene da ridere, e torno alla realtà.

La discoteca – in cui peraltro ero già stata – si rivela popolata di gente varia. Ragazzi carini persi nel loro mondo. Viscidoni. Bimbi. Coetanei più o meno intraprendenti. Tra loro c'è anche una biondina ubriaca che biascica qualcosa sul fatto che è ubriaca (ma va?) ed una tizia che balla scatenata con una testa di cavallo in plastica a coprirle il volto. Sul serio. Che, dico io,  per indossare una maschera equina per ballare devi come minimo: 

- esserti drogata di brutto 
- essere (o credere di essere) brutta 
- fare la comparsa in un video di Cremonini. 

Certo, c'è anche la possibilità che tu sia una celebrità e non voglia farti riconoscere per sfuggire agli autografi, ma il “naaaaaaaaaa, ma va!” con cui viene pubblicamente accolta la mia teoria mi lascia intuire che forse non sia poi tanto plausibile. Io mi immaginavo già Katy Perry. Uffa. 

Comunque: in questo ameno loco ci sono due sale, che dovrebbero differenziarsi per genere musicale. In realtà, quella al piano di sotto è palesemente tecno. Quella al piano di sopra è palesemente tecno, con l'aggiunta di due cubisti palestrati che si dimenano attorno a un palo ed un dj francamente imbranato. Della serie che, nella circostanza già sfortunata di un genere musicale a te avverso (sto ancora sognando le cuffie della silent disco), appena stai per lanciarti nelle danze questo ti tronca senza criterio il brano. Al suo posto, dopo una pausa di qualche secondo, infila  un suono non meglio specificato che in quanto a ritmo starebbe bene in un brano di Alborán. La gente, infatti, si ferma di botto con lo sguardo smarrito. Se non fosse che l'episodio si ripete in loop fino alle quattro del mattino, penserei sinceramente ad un flashmob. 

A metá serata, sul palco al centro della sala viene allestito uno spettacolo di Drag Queen a tema Star Wars. Nelle intenzioni dovrebbe essere comico. Nella pratica Leila canta "Ma la sera a casa di Luca" di Silvia Salemi. Se non altro, c'è da dire che questi sul palco non hanno né un bel fisico né la minigonna giallo fluo. 

"Sai cosa pensavo?" , dice La Festeggiata sulla strada del ritorno.
"No, cosa?"
"Con tutto quello che abbiamo bevuto, non sono ubriaca per niente".
"Ma lo sai che nemmeno io?"

Qualche lato positivo, alla fin fine, i trent'anni ce l'hanno pure.














PS: nonostante la giacca in pelle, sono tornata a casa con il raffreddore. 

giovedì 17 aprile 2014

Come la campanella l'ultimo giorno di scuola.

Terminare l'ultima attività lavorativa prima di un weekend festivo ha lo stesso sapore liberatorio (e ormai dimenticato) del suono della campanella l'ultimo giorno di scuola. Certo, quel che fai di lavoro è decisamente molto meglio di due ore di chimica. Materia che, tra parentesi, da un po' in qua associo in modo pressochè esclusivo alla produzione di metanfetamine. Dev'essere per il successo di Breaking Bad, vai a sapere. Comunque. Vi scrivo dalle quattro pareti dell'ufficio, in frenesia da dire senza saper cosa, entusiasta ma troppo stanca per esternarlo in qualsivoglia maniera. 



Come al solito, sono rimasta a presidiare il forte. Ultima sopravvissuta oltre l'orario canonico. Sola. Gli occhi che bruciano. Il portachiavi rosso di rimandi pop. E, anche se davanti a me ho soltanto quattro giorni - e non tre mesi - di vacanza mi sembra comunque un traguardo da festeggiare.

Perchè, del resto, è tutto come sempre. Aprile che mi sfugge dalle dita. Il ciclo che si allinea alle date dei miei viaggi. Una quantitá eccessiva di idee gestire. Gli spritz che ordino con l'unica e precisa finalità di ingozzarmi di patatine. Insomma, sono sempre io. É sempre la mia vita. 

Con la sola differenza che un bisogno di vacanze cosí estremo, francamente, non lo avvertivo da tempo.

Quindi, niente: domani parto. Direzione Lago di Garda, conoscenza di figlie di migliori amiche (sono emozionata!), collassi su letti altrui.

E, visto che mi aspetta una quantitá esagerata di preparativi, non mi resta che augurarvi Buona Pasqua sin da ora. Fate i bravi, staró via solo un po'. 

giovedì 12 dicembre 2013

...E poi ti trovi ad Arezzo.

C'è del surreale, nel mio primo approccio con Arezzo. Non c'entra il tentativo emulatorio del cielo:  Ricalca l'azzurro della primavera inoltrata, lui. Ci prova, quantomeno. Bello, bellissimo. Anche coi guanti addosso e le occhiaie pronunciate di una notte passata a guardare l'orologio. 



Nei 15 minuti di cammino dalla stazione all'hotel incappo nell'ordine in: 4 persone che parlano da sole, un vecchio col codino da rocker mai arreso che sbraita qualcosa di incomprensibile a proposito di un portafoglio perso e un receptionist troppo entusiasta. 

“Vi stavo aspettando! Ecco la chiave della vostra stanza!”
Saluta me e Marta da dietro il bancone. Mi sembra di vederlo allargare le braccia, oltre allo strato di vapore condensato che mi si è appena formato sulle lenti degli occhiali. 
Il rocker, nel frattempo, ci insulta con voce rauca. 
“Era sul marciapiedi qui fuori! Cazzo, potevate dirmelo, che era sul marciapiedi qui fuori!”
“Io, veramente, non ho visto niente.”
“Ahahah! Scherzavo, scherzavo. Ahahahah! Non dicevo mica sul seri..hic! Sul serio!”
Dopo di che, mi sembra di tradurre il suo avanzato grado di alcolismo in un invito biascicato a seguirlo nella sua camera. E mentre il receptionist tintinna una targhetta con su scritto “3” cerco di incrociare lo sguardo della mia compagna di avventura. Non ci riesco, ovviamente. Il vapore mica se n'è ancora andato! Tuttavia, credo che “dove diavolo siamo capitate?” se lo stia chiedendo pure lei. 

“Le altre due ragazze sono già arrivate?”, riesco a domandare all'omino che, abbandonata la sua postazione, sta già per aiutarci a trasportare le valige. 
Si blocca di colpo. 
“QUALI altre due ragazze?!”
Lo prendo come un no. 
“Sì, abbiamo prenotato una quadrupla”, gli spiega Marta. 
“Ahhhh, ma quindi voi non siete [inserire Cognome a caso]?!”
“Veramente, no.”
Requisisce le chiavi che avevo appena afferrato. 
“Mannaggia, stavo per darvi la stanza sbagliata!”

Ormai le lenti mi hanno ridonato una visibilità sufficiente. Lo sguardo che mi esce è a metà tra “andiamo bene” e “sto morendo dal ridere”. 

Weekend dell'otto dicembre. Ponte raccontato in un presente differito. E almeno due motivi per una destinazione: L'interesse appassionato-accademico di Angela nei confronti di Cimabue, innanzitutto. Poi, magari più inconsciamente, le origini di chi ci ha fatte conoscere. Chè per un attimo ci penso, a quanto ormai sia fregata. Nello specifico, la consapevolezza mi arriva in bagno, tra un sms e l'altro per decidere se, dove e quando pranzare.  Sì, insomma: se inizi a costruire delle amicizie sulle basi di una manciata di canzoni, sai che quelle canzoni ormai ti sono entrate a fondo nella vita. Non puoi più scappare. Strapparle via. Forse non puoi neanche più essere obiettiva nei confronti di chi le ha composte. E' la linea di confine tra ammirare ed essere fan. Perchè se vai ad un concerto lo fai perchè ti piace. Se vai a molti, lo fai anche un po' per reincontrare persone. Noi già facciamo piani, in realtà. Piani attorno a qualcuno di cui un tempo non volevo neanche commentare i post su facebook. “Mantieni le distanze, Ilaria; per una volta mantieni le distanze”. Qualcuno che – come ogni dannatissimo essere umano – può deludere. Eppure ti ritrovi a sperare di no; perchè non si parla più solo di un disco, ormai. Assurdo. A tratti inconcepibile. Anche difficile spiegarlo, a dire il vero. Specie se penso a quelle sensazioni. 

Io mi sentivo identificata in “Siamo Morti a Vent'anni”. Un solo brano. Tre minuti. E tutto è cambiato. Ero io, in quel momento, piú per le atmosfere che per la storia in sé. Ma il tempo, poi, ha smorzato tutto. Io, quelle cose, non le sento più così. 



E allora che cos'è la musica, se non un incontro col Destino? Se quel brano fosse uscito oggi, io avrei pensato “bella canzone”. Punto. Avrei comprato il disco, mi sarebbe piaciuto, ma non sarei fan del Cile. Non conoscerei le altre tre protagoniste di questa piccola storia. E soprattutto, non starei a raccontarvi di un weekend ad Arezzo che è entrato a buon diritto nella lista dei meglio riusciti.
Ne condividiamo, di cose, noi della famosa quadrupla. Le velleità scrittorie. L'amore per l'arte. La tendenza a preferire chi scrive i suoi brani rispetto a chi ne canta di altrui. Ne parliamo davanti a due litri di birra artigianale, o ad una delle crepes più buone che io abbia mai mangiato. Marmellata di fichi e mandorle, che ve lo dico a fare? Ne conveniamo- e in fondo basta questo-  tra l'indignazione per gli onnipresenti di Radio Italia o le E troppo aperte di certi rapper milanesi. Per non parlare delle pillole di saggezza delle Zia Angie, con cui non posso certo sperare di competere. 

Piuttosto, sarà un aforismo a proiettarmi in memorie a posteriori. Mi pesa ancora nei polpacci, tra ciottoli anti-tacco e pendenze medievali. 
“In fondo la salita è solo un altro modo per guardare la discesa”
Lo dicevo mentre arrancavo il mio scarso allenamento verso il Duomo. Poco prima, l'improvviso miraggio di un matrimonio con la percentuale più alta di invitati giovani ed avvenenti che si sia mai vista in circolazione. “Devono aver fatto un casting”. Il perchè degli occhiali da sole in piena sera, ad ogni modo, resta ancora da chiarire.

“Twittala  'sta frase, se la vede Lorenzo potrebbe metterla in una canzone”. 
“E' già online da un pezzo...con chi credete di avere a che fare?”
Risate.

E poi lo shopping frettoloso imitando Carla Gozzi. I reggiseni improbabili di Tezenis. L'amaro offertoci da un certo Giacomo che (a questo punto, devono essere gli ormoni) si guadagna lo status di “uomo della Gita” all'unanimità. 

L'incantevole scritta natalizia “Aggiornare Google Chrome” danza multicolor sulla facciata di una chiesa. Attorno, donne impellicciate si contendono il Sabato pomeriggio con ragazze griffate dalla testa ai piedi. Mi ricorda Parma, questa città. Per l'eleganza di chi la popola. Per il suo essere raccolta, come un paesino un po' troppo cresciuto. E poi per quell'incapacità di apprezzare se stessa, che pare connaturata negli abitanti proprio come nella città emiliana in cui studiavo. 

“Cosa ci siete venute a fare, qui? Non c'è niente”
Io, invece, ci vedo dei negozi splendidamente curati. Un sacco di gallerie d'arte. Tanti piccoli angolini da scoprire. 
“Tanto Arezzo è morta, di sera”. 
E a me sembra affollatissima, dentro e fuori dai locali. 
“Noi aretini siamo freddi e chiusi”
Con me, personalmente, mi sono parsi tutti gentili.

Ci ripenso adesso, ad una settimana di distanza. Mi tornano in mente scene pseudo-apocalittiche, come la scarpinata per salite impervie e buie quando sarebbe bastato girare l'angolo per arrivare a destinazione. Oppure la vista pre- tramonto dal Parco “al Prato”, col panorama da stereotipo toscano che ti fa pensare in automatico ai turisti anglo-americani. 



“Che bella la Natura, la tranquillità, la pace, la...”
“...Pensa a quanta gente si sarà suicidata buttandosi da qui”. 

Mi torna in mente, soprattutto, il silenzio affranto del ritorno. Quella malinconia comune, palpabile, che ti prende inevitabile dopo che sei stata bene. Guidava i passi del ritorno, con il cielo sempre più rosso giù dalla discesa. Sarebbe bastato un brano strumentale in crescendo. Poi, sarebbe diventato un film. 

“Scusate, mi sono persa nei pensieri”.

Ripenso ad Arezzo. Alla Musica. Al Destino. 
“Fate buon viaggio”, diceva l'omino della reception, dietro ai miei occhiali guarda caso di nuovo appannati. Devo averlo già detto, ma lo ripeto volentieri: quelle distanze, poi, sono contenta di non averle mantenute. 

lunedì 13 agosto 2012

Stelle cadenti o sabbia negli occhi? ( Cronaca di un fine settimana da VIP )


Il braciere olimpico si spegne su di un coro di “noo”. A conti fatti, proprio come il mio weekend sul Lago. Tra l'altro dovrei dedicarci un post intero, alla cerimonia di chiusura di Londra 2012. Cosa che probabilmente farò non appena riemergo dagli anni novanta e dal clima di euforia nostalgica in cui mi ha rigettata la reunion delle Spice. Ché mi son messa a seguirle tutte e cinque su twitter e ho messo il video della loro performance in loop su vimeo. Così, tanto per darvi un'idea della mia attuale condizione mentale. All you need is positivity! Colours to the world! Shake it shake it shake it...ok, la smetto.

Dicevamo del weekend. Il bilancio corrisponde ad uno spritz, due mojitos, un bicchiere di spumante, una lattina di birra bionda trangugiata di chupito in chupito durante una sconfitta a dama da bere. Ah, e una stella cadente che non sono certa di aver visto davvero. Sì, insomma, per quel che ne so io avrebbe potuto tranquillamente trattarsi di un granello di sabbia finito negli occhi. In fondo sono poche le certezze che puoi avere sulla rocca di Desenzano, se hai dell'alcol nelle vene, non ci vedi un fico secco e hai messo i sandali col tacco totalmente ignara del suolo petroso. Capitemi: in certe circostanze ci si aggrappa a quel che si può. E no, non mi riferisco precisamente alla parete scoscesa per non cadere a capofitto sulle città illuminate ai tuoi piedi: fino a quel punto non sono arrivata. Comunque, nel dubbio, io il desiderio l'ho espresso. Un desiderio veramente idiota, ora che ci penso. Tende a essere sempre effimera, la prima cosa che mi viene in mente. L'ho sempre detto, che dovrei prendere appunti prima. Vabbé.





E' anche vero che non posso aspettarmi molto da me stessa. Insomma, mi sono presentata ad una festa in procinto di iniziare, convinta che sarebbe iniziata, invece, a tarda sera. Parliamone. Ma l'importante, in fondo, è conservare la dignità. Anche quando la tua miopia ti porta a rubare il telo mare di uno sconosciuto a cui ancora non ti sei presentata. “Oddio, scusa, credevo fosse quello che mi avevano prestato”. In realtà, credo di aver conquistato in quel preciso istante una carnagione coordinata al rosso del mio bikini. Un bikini che, tra l'altro, adesso puzza un sacco di cloro.

Il fatto è che una festa di dodici ore a bordo piscina ti fa sentire al centro di un episodio di O.C. E quando vai a dormire (e per “dormire” intendo cadere in coma sul materasso appoggiato al pavimento di una casa non tua) il tuo subconscio sta ancora rimuginando su tutte e quante le conversazioni. D'altra parte era piuttosto ovvio: tra sposi novelli e coppie consolidate, il tema principe è stato il matrimonio. Così, ancora un po' su di giri per i drink e la sensazione di essere padrona del Destino, finisci per disegnarti in testa la tua cerimonia ideale. Sorvolando anche sul fatto che, per sposarti, dovresti prima trovarti un uomo. Dettagli. Ad ogni modo, ho deciso che vorrò sposarmi sulla spiaggia. Una spiaggia spagnola, preferibilmente, come in quel servizio che avevo visto su Tve. Pochi intimi tra gli invitati, qualcuno che balla flamenco, e una band che suona live l'intera colonna sonora della mia vita. Dai, sarebbe una figata. Per quanto, conoscendomi, anche nel caso in cui riuscissi a racimolare abbastanza denaro da permettermelo, sono certa che quel giorno verrà giù un nubifragio.

E, con la sabbia negli occhi, crederò di vedere altre stelle cadenti. Per poi sprecare desideri con altre richieste inutili. Vabbè. Col vestito da sposa addosso, mi sarà tutto concesso. Magari anche tuffarmi ubriaca in mare.

Che poi non è neanche solo colpa di OC, se mi si affolla la mente di sogni da miliardari. Naa. Il fatto è che, al di là del mojito party a casa di una delle mie più grandi amiche, io ho anche passato dei giorni a Riva del Garda, con il ramo materno della mia famiglia. E sono stati giorni in cui le nuove tecnologie mi hanno fatta sentire riverita e coccolata, proprio come un'autentica Vip. Del tipo che sul treno Frecciabianca non funziona l'aria condizionata. Mi lamento su twitter. E, due secondi dopo, il capotreno mi fa spostare in un'altra carrozza scusandosi per il disagio. Non faccio neanche in tempo a chiedermi se abbia letto il mio messaggio seguito da apposito hashtag, che noto la menzione de @Le_frecce . “Chiedi aiuto al capotreno, é lì per rendere il tuo viaggio più piacevole”. O del tipo, anche, che scrivo all'ente turismo del Garda Trentino per informarli della mia presenza in loco,e loro mi twittano il programma completo con le cose da fare in serata. Mi chiedono pure com'è andata e come mi trovo ad ogni singola cosa che scrivo in merito. Impressionante, davvero. Inizio a credere che quello del Community Manager sia un mestiere ancor più sottopagato di quanto pensassi. Perchè, se fatto bene, può aiutare a far sentire la gente apprezzata e speciale. Peccato che molte aziende non l'abbiano ancora del tutto capito.


Detto questo, tra fontane colorate, luci al laser e maree umane a godersi una notte bianca, sono anche riuscita a comprare un paio di shorts.
 Il premio per la miglior battuta del viaggio, invece, va a mio zio.

“Ho un po' di mal di stomaco...”
“Se vuoi ho del limoncello.”
“?!?”
“...beh, c'ha dentro del limone.”

Non ha neanche tutti i torti, a dire il vero.



lunedì 21 maggio 2012

Conclusioni spicciole di un weekend on Garda Lake.


Sará per quei suoi spazi aperti. L'alberello dei bambini come fulcro visuale. O forse sará, invece, tutto merito del marketing, che nelle sue vetrine smette d'essere teoria. Qualunque sia la ragione, resta il fatto che Il Leone di Lonato del Garda é uno dei pochi centri commerciali che amo. Avrei comprato di tutto, una volta in piú. Dal microfono retró per le conversazioni su skype alla gomma a forma di fender telecaster, passando per l'intero espositore di gioielli Malú e un dinosauro soprammobile con sú scritto il mio nome. Meglio: a dirla tutta, c'era scritto “Ilaria Raptor: allegra e ottimista, sa quando usare i suoi artigli”. Cioé, capite la gravitá ? Alla fine – e giuro che non so come – sono riuscita a limitarmi a un vestitino. Bello, tutto a fiori. Non appena l'ho visto ho capito che era il look giusto per il concerto privato di Madrid. Certo, sempre che la smetta di piovere. E che mi avvisino per tempo del luogo. Ché io capisco le esigenze di privacy, ma inizio ad agitarmi un filino. Per dire.



Comunque, un weekend lampo in terre lombarde m'ha lasciato, nell'ordine: tre buoni per downlad musicali gratis a seguito di spese all'esselunga (gran promozione, peraltro), un risveglio brusco causa terremoto alle quattro del mattino, e svariate conclusioni che mi appresto ad elencare. Del tipo che:

1. La discoteca non fa piú per me. Concetto corredato da successione di sbadigli ed infiniti “ho sonno” pronunciati a bordo di un'auto non mia. Concetto strettamente in relazione, peraltro , alle problematiche esistenziali delle postille 1a e 1b. Dove 1a sta per “I tipi che io trovo carini mi si dice siano troppo mori". E 1b. La musica migliore da ballare é quasi sempre esclusiva dei locali gay.

2. Se hai pazienza, faccia tosta e un amico avvocato, con internet puoi fare tanti di quei soldi che nemmeno te l'immagini. Il tutto senza muoverti da casa , né tantomeno cercare lavoro. Per la serie, inizio a capire l'utilitá del diritto mentre sorseggio del vino nero. Meglio tardi che mai.

3. Realizzare un menú d'effetto per una cena vegetariana, senza aglio e senza cipolla non solo é possibile ma istiga persino l'ingegno creativo. Non ci credete? Allego foto di prova. Ché la Parodi, a Laura e a me, fa un baffo. Ma questo, in fondo, credo anche di averlo giá detto prima.