Se la data d'archivio non inganna io, all'epoca, nemmeno esistevo. Eppure, quel 28 Marzo del 1984, Juan Arias scriveva giá per El País il tipo di articolo che, neanche troppi anni dopo, avrebbe motivato un'iscrizione a giornalismo. Era un'analisi lucida, splendidamente scritta, che senza paura attraversava i confini di sociologia e linguistica. Una di quelle che, in sostanza, sarebbe sempre piaciuto redigere a me.
Ve ne parlo perché soltanto ieri un amico l'ha pubblicata sulla schermata di facebook. Io la data, lí per lí, non l'avevo vista neppure. Non che dovrei stupirmene, d'altronde: l'attualitá delle osservazioni , nel bene e nel male, é perenne. E qualunque italiano che si sia trovato a vivere in Spagna, o a vedersi dall'esterno nella cornice di un qualsiasi Paese straniero – ne sono certa – le condividerá. Lui, Arias, le muoveva dalla prospettiva opposta. Un “figlio di Cervantes” , come lui si definisce, catapultato nella terra di Dante, a chiedersi se davvero i nostri popoli abbiano poi cosí tanto in comune.
Oggi, quell'articolo, mi permetto di tradurlo. Perché nel 1984, anno in cui io nascevo, nascondeva giá l'essenza di questo mio blog. Lo traduco perché, ventisette anni dopo la sua stesura, le tecnologie hanno abbattuto i confini. E anche l'altro protagonista del confronto, al di lá dei limiti linguistici, merita di condividerne le riflessioni. Buona lettura, perció.
Spagnoli, e Italiani.
(testo originale: Juan Arias. Link, qui. )
E' vero che Spagna e Italia sono due Paesi cosí simili? Cosí pensano in tanti. Da parte mia, dopo aver passato quasi la metá della vita in Italia, sono ogni giorno piú convinto che, al contrario, siamo due popoli profondamente diversi. Quasi in tutto, ad eccezione del sole, delle arance e dell'olio, magnifici, tra l'altro, in entrambi i Paesi.

Quel che inganna molti , come un miraggio, é la simpatia e attrazione quasi istintiva tra i figli di Dante e di Cervantes. Ma potrebbe perfettamente essere che il motivo di tale attrazione consista proprio in questa diversitá che ci contraddistingue. A prova dell'attrazione reciproca si é soliti allegare il fatto che siamo entrambi popoli latini. Ma latini sono anche i francesi, e non é lo stesso. Oppure che siamo mediterranei, ma figlia di quel mare é anche la Grecia, e anche con tale Paese le cose sono diverse. Ma, fatta eccezione per questa curiosa attrazione che potrebbe avere come spiegazione una virtú comune, quella di saper accogliere gli altri, per il resto siamo due Paesi molto diversi.
Si é arrivati a credere che spagnoli e italiani si capiscano immediatamente senza aver prima studiato le rispettive lingue. Niente di piú falso. Sono due lingue che non si possono capire, né tanto meno parlare, se non si studiano a fondo. Infatti, tutti gli uomini politici di entrambi i Paesi finiscono col ricorrere all'aiuto dell'interprete.
Un'altra cosa che puó trarre in inganno é che l'Italia é forse l'unico Paese al mondo con simile capacitá di accettazione e cosí scarsi sentimenti sciovinisti che basta che tu sappia dieci parole della sua lingua perché si complimentino con te dicendoti che la parli divinamente. Ma le due lingue sono diverse come la gente che le parla. Una volta sono stato testimone, alla trattoria romana “La Toscana”, accanto alla fontana di Trevi, di qualcosa di molto curioso e sintomatico. Uno spagnolo appena arrivato dalla Francia si lamentava del carattere antipatico dei francesi, e mi diceva: “qui sí che si sta bene, ti capisci subito con la gente”. E ha mantenuto una lunga conversazione con un cameriere, tra risate e pacche sulle spalle e scambio di foto e di segni. Ma la cosa di cui non si sono resi conto é che per tutto il tempo lo spagnolo parlava di un argomento, e il cameriere di tutt'un altro. Capirsi neanche per sbaglio, ma sono usciti convinti di aver parlato della stessa cosa. Se Camilo José Cela ha potuto dire poco tempo fa a Roma che il castigliano é come “un toro furioso”, l'italiano é a mille lingue di distanza da tale furore taurino, dato che ricorda piuttosto il gioco divertito di un agnellino in campagna.

Ci sono parole spagnole che agli italiani suonano come frustate, cominciando da cabrón. Che tragedia, per un italiano, la jota o la ge, o la zeta. Ho amici che da quindici anni continuano a chiamarmi Kuan. Immaginate se mi chiamassi Jorge. Ci sono parole come cincel, o zancajear, o zurriagazo, che sembrano cinese quando le pronuncia un italiano, cosí com'é quasi impossibile che uno spagnolo riesca a pronunciare correttamente il nome del grande scrittore siciliano Sciascia. Inoltre, l'italiano usa infinitamente piú di noi la metafora, la metonimia, l'eufemismo e qualunque tipo di figura retorica. Gli italiani non sono mai linguisticamente cosí drastici come gli spagnoli quando devono offendere, o difendersi, o dare ordini o condannare.
Ma non é solo la lingua. Lo spagnolo é radicale e drastico quasi in tutto: atteggiamenti, espressioni...L'italiano é possibilista e conciliatore. Lo spagnolo si spezza, l'italiano si piega. Il carattere ispano é fatto di acciaio ; l'italiano, di gomma. Qui la gente litiga con le mani aperte e, tra di noi, con i pugni chiusi. L'Italia é il Paese della diplomazia. Quella vaticana é nata qui é continua ad essere insuperabile. In essa si insegna che nessun sí e nessun no devono mai essere tali in modo definitivo. Per questo, per un italiano tutto é possibile e non esistono strade senza ritorno. Non c'é per loro, legge senza escamotaggio, anche se sono stati i creatori del Diritto. E' un popolo che malsopporta la legge, e finisce col crearsela a sua misura. Quando si impiantó la tassa sul valore aggiunto (IVA), in meno di un mese era giá uscito un libretto che si intitolava “I 100 modi per non pagare l'Iva”. L'italiano non sopporta le file né la disciplina e, quando puó, si intrufola. E quest'astuzia ha giá un nome all'estero, dove si chiama agire “all'italiana”.
Lo spagnolo é passionale; l'italiano, sentimentale. Don Chisciotte non avrebbe potuto essere generato a Roma, a Napoli o a Firenze, anche se Cervantes conobbe e viaggió per questo Paese.
L'eroismo, come concetto, non é italiano. Gli eroi in questo Paese sono sempre soggetti individuali, per quanto molto numerosi nella sua storia. Né il dogmatismo né il fanatismo, e tantomeno l'intransigenza o il nazionalismo sono frutti italiani.
Il maschilismo é spagnolo, mentre é italianissimo il mammismo. In Italia quasi tutto ha un certo strascico o sapore femminile, e i bambini sono sempre i re della combriccola. Qui l'arte ha genere femminile, e ci sono oggetti che in Spagna non potrebbero mai essere femminili, e qui lo sono , come l'auto o la grappa. Curiosamente, i fiori e il miele sono, invece, maschili. Dei fiori, un mio amico italiano mi disse che magari si deve al fatto che gli italiani li vedono come “gli organi sessuali delle piante”. E credo che lo siano.

Piacciono, in italiano, le forme sferiche, tipiche del genere femminile. Tonda é persino la pizza, e il quasi infinito numero dei suoi tipi di pasta. La palla, in italiano, é di genere femminile, e anche la squadra di calcio. E' molto femminile il desiderio innato di piacere che ha qualunque italiano. Per questo spremono la fantasia, e ne hanno un sacco, perché tutti rimangano contenti. Nei bar puoi ordinare il caffé in fino a 15 modi diversi. Al cinema c'é la poltrona e la poltronissima. E nel campo dei gelati diventa giá impossibile contarne le varietá. Ci sono addirittura semifreddi. E in nessun altro Paese d'Europa ci sono tanti partiti politici e con cosí tanti gruppi distinti all'interno di ciascuno di loro come in questo Paese. Qui ci devono essere sempre infinite possibilitá di tutto per tutti.

Ogni italiano si sente un artista, un poeta o un inventore. Credo sia il Paese con il maggior numero di cittadini che hanno pubblicato qualcosa nella loro vita, foss'anche pagandoselo di tasca propria. O che si vantano di aver inventato qualcosa, o che hanno cercato di dipingere qualche volta. E l'italiano medio ha un dominio della sua lingua di gran lunga superiore al nostro. Hanno nel sangue il senso dell'estetica, e lo riflettono finanche nella zuppa. La bellezza é l'unico dogma in un Paese che non ama le ideologie. E sono artisti nell'arte di uscire dal cammino prestabilito. La famosa economia sommersa, che sta salvando la crisi economica degli ultimi tempi, non é altro che uno sfoggio di ingenio creativo.
Senza fantasia, questo Paese sarebbe giá morto di fame. Perché é formato da gente che crede piú ai favori che alla giustizia, piú all'amico che allo Stato, piú alle raccomandazioni che al Governo. Cercano la raccomandazione anche tra i morti. E la morte é un altro abisso che separa i due popoli. Il “viva la morte” é la cosa meno italiana che si possa concepire. Qui nessuno drammatizza la morte, piuttosto la rimuove.
Il Venerdí Santo passa inosservato. A loro piace la Pasqua, la vita. C'é un culto incredibile per i morti, ma concepiti come vivi, come intercessori. Quando passa un carro funebre é facile che uno spagnolo si tolga il cappello o faccia il segno della croce. Qui é piú facile trovare qualcuno che fa gesti molto espressivi, come toccare ferro o legno, o altre cose. Qui non si nomina mai, nelle conversazioni o sulla stampa, la parola “cancro”, riferendosi a una persona malata. Si dice che tizio o caio stanno male. Si dice che stanno “poco bene”. Il mistico sfogo di Teresa di Avila “muoio perché non muoio” é quanto di piú lontano dalla spiritualitá di Francesco d'Assisi.
In un altro campo, l'invidia é tipicamente spagnola, mentre é italiana la gelosia. E gli psicologi conoscono benissimo la profonda differenza che separa questi due sentimenti.
Al contrario, l'onore, la cavalleria, la fede alla parola data sono virtú tipicamente spagnole, mentre é italiana la famosa furberia. Per loro, poter scavalcare impunemente una legge come toreri é, piú che un disonore, quasi un'azione eroica. Da lí la sfiducia del turista straniero quando arriva in Italia. Tutto ció é, probabilmente, il frutto di un'abilitá ancestrale di fronte al dominatore di turno. Qualcuno mi disse, una volta, che l'Italia é come una grande autostrada su cui é passato mezzo mondo a saccheggiarla, e che per questo sono stati arcuiti cosí tanto in questo Paese i meccanismi di difesa.
Come é molto italiano il non dire mai di no, in Spagna si dice “sí, señor”, in Italia “signorsí”, che é molto piú reverenziale. Cominciare dicendo “no” é, per un italiano, come confessare la propria impotenza. Se l'orgoglio é spagnolo, il desiderio di congratularsi con il prossimo, di conquistare piú amici, di aiutarti a uscire da un impiccio sono tutte qualitá molto italiane. C'é chi suppone che si tratti di una disponibilitá interessata, dato che gli italiani hanno, come carattere, una propensione congenita alla “mafiositá”, concepita peró nella sua accezione ancestrale di necessitá di protezione paterna che li difenda contro uno Stato che sente ostile. E', dicono, come se l'italiano percepisse in ogni favore fatto un amico o protettore potenziale. E' possibile. Ma, dopo tanti anni in Italia, confesso che se mi trovassi un giorno in un guaio vorrei avere un italiano accanto.

Con uno spagnolo mi sento piú sicuro, tuttavia, quando mi giura qualcosa. Della sua parola mi fido di piú. E' qualcosa per cui si dispiace e che invidia lo stesso italiano, che sogna per il suo Paese un supplemento di serietá, mentre credo che lo spagnolo adori, invece, quest'elasticitá congenita nell'italiano, per cui tutto finisce con l'aggiustarsi perché le parole “fine” o “impossibile” non appartengono alla sua cultura, dal momento che in questo Paese tutto puó ricominciare, e tutto puó diventare un miracolo.