domenica 1 gennaio 2017

Il primo post dell'anno.

Buon anno a tutti, anche alla mia partita IVA. Mi attende in Spagna - simbolo suo malgrado - con tutto l'onere del mettere radici. Mi torna in mente ogni tanto, nelle lievi fitte d'ansia che mi prendono di notte nel bel mezzo di un countdown. Tanto voler tornare, un poco no. Stato letargico di abusi calorici. Le feste. Il piumone. Il coma della sveglia che non suona più. Premere pausa nel gran disco della vita, è questo il mio adesso. E allora io ci penso, all'incertezza sullo stato della mia mini-pianta comprata all'IKEA ("si chiama Gina"); A quando le parlavo, all'amica a cui l'ho affidata, ai fiori rossi che chissà se rifarà. Sul petto ho tutto il peso dei sassi lasciati da decorare all'ingresso. L'astio del fuori controllo riassunto nei panni ancora chiusi nella lavatrice KO. La nostalgia delle foto affollate. Il loop infinito dei messaggi su whatsapp, l'eternità dei "no te preocupes" andalusi che spazientiscono di pigrizia e posposto quello che resta del mio essere italiana del Nord.

Buon anno. Ché è iniziato senza troppa voglia d'eccessi, sulle note di un classico rock come Smoke On The Water. Discorsi d'arte, fuochi artificiali riflessi sulle finestre, il timer dell'iphone impostato male e il sorriso di bambina che ti scappa dentro alle bollicine del rosé. Buon anno inconsapevolmente accompagnato da sincronie augurali di "tanti soldi", che da brava italo-spagnola ho cercato di propiziarmi con un piatto di lenticchie seguito da dodici chicchi d'uva. Perchè saranno pure materiali, quegli auguri, ma sono ahimé l'unica via d'accesso ai viaggi e ai concerti con cui voglio cercare di dare ancora più senso alla mia nuova vita vista mare. 



E non sarà facile, lo so. Perchè sarà l'anno in cui cercare casa nelle complicazioni dell'estate. In cui gettare le basi per un futuro vero, senza scadenze trimestrali per Natale. La nostalgia sarà più dura. Le rinunce più importanti. Ma il mio istinto, l'uno Gennaio, a quanto pare sbaglia poco; E, nella premonizione dei dispari controcorrente, il diciassette mi ha sempre portato bene.

D'altro canto, se qualcosa mi ha insegnato lo schifo universale a cui abbiamo appena detto addio, è che persino nelle circostanze più tragiche c'è spazio per il riscatto finale. Perchè è quando piangi tutte le lacrime del mondo che trovi il coraggio di prendere la decisione che rimandi da una vita. 
É quando un pretesto impone una deadline a un obiettivo che lo porti a termine. É quando la follia del Pianeta ti mette di fronte alla fragilità della vita che tu - per dispetto e per amore, tutto in maiuscolo - VIVI. 

E allora sono qui, ancora una volta, a rileggere i propositi fatti all'inizio del duemilasedici. Per qualche strano gioco del Destino, la radio passa Buon Viaggio di Cesare Cremonini proprio mentre i miei occhi si posano su quella citazione. Ne sa, sí. Dio, eccome. 

Ne ho rispettati cinque su nove. La maggioranza. Una buona media. Gli altri me li porterò dietro come uno strascico, sperando di sporcarli di sabbia e non di fango sul bagnasciuga pieno di conchiglie sotto la mia casa andalusa. E a questo duemiladiciassette, per il resto, chiederò soltanto le solite cose. Le più importanti, da sempre. Le promesse che ogni anno, grazie al cielo, continuo a rispettare:

Vedere almeno un posto in cui non sono mai stata (grazie Amsterdam, grazie Roma); conoscere almeno una persona che attualmente non conosco (grazie Alice, grazie Laura, grazie Veronica; e grazie Davide, e Simone, e Pablo, e Pedro, e Francesco, e Javi, e Luisa, e Isa, e Carmen, e Andrea, e un appello lunghissimo che è meraviglia di infiniti eccetera). Ma, soprattutto, essere felice. 





Postilla: ieri sera, poco dopo mezzanotte, ho aperto Twitter per rispondere a una notifica di auguri. Era ancora il mio compleanno, in Colombia e negli States. Oltre alle emoji coi coriandoli, però, mi è apparsa davanti agli occhi la notizia della Turchia. Mi è tornata in mente quella ragazza di Istanbul conosciuta ad una serata di scambio linguistico in una tetería del centro. Quella che aveva una paura matta - e però doveva, di lì a poco - tornare a casa. Una mia coetanea, innamorata della Spagna e della libertà. Un'insegnante. Una sognatrice. Ho pensato a tutti i suoi progetti, al fatto che si stava per sposare. E l'organizzazione del viaggio di nozze a Cuba, e l'amico di una vita in cui aveva dopo anni scoperto l'amore. E le sere in cui usciva con la sua compagnia di amici, in qualche bar. Era iniziato un nuovo anno, ci si aspettava che io fossi felice, e tutto quello a cui riuscivo a pensare era che avrei voluto avere il suo numero, un cognome per cercarla su Facebook, un cavolo di contatto che mi permettesse di sapere come stava.

Il punto è che ovunque nel mondo c'è qualcuno come lei. Come te. Qualcuno con cui, se solo ti capitasse di parlarci un giorno al tavolo di una tetería, scopriresti di avere un sacco in comune. E allora nessun posto è più abbastanza lontano. Nessuna notizia è più abbastanza indifferente. Nè potrà esserlo mai. 

Ho chiuso Twitter. Ho fatto finta di non aver letto niente per non rovinare la serata agli altri. Ma l'amarezza - maledetti, maledetti, maledetti - rimane come il sottofondo di una canzone brutta e fastidiosa. 



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