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sabato 17 marzo 2018

Italo-Spagnolismi in musica: Negrita vs. Izal


Forse vi ricorderete di quando improvvisavo irregolarissime rubriche musicali affiancando artisti spagnoli e italiani. Non che abbia mai smesso, a guardar bene. Però magari dovrei riprendere le vecchie abitudini; Perchè lo scorso 9 Marzo, da quel punto di vista, è stato un grande giorno per l'umanità. 

Facebook, opportuno come quasi mai, mi riproponeva in selfie sorridenti le emozioni del duemiladiciassette. Un festival organizzato da San Miguel. Il riparo confortevole dalla pioggia battente. Birra gratis. Spintoni. Insegne al neon. Todos a la mierda... E allora grazie Laura, grazie infinite. Perchè è stato a causa sua se, in quell'occasione, avevo scoperto Izal. 

Un anno dopo li ritengo una delle migliori band iberiche in circolazione, a diversi gradini di distanza dal resto. Sono diventati una parte importante della colonna sonora degli ultimi mesi, dalla serate Indie alla Sala Spectra fino ai tributi nell'oscurità del centro, con la bigliettaia che ricorda la Bertè. Un anno dopo "Sueños lentos, aviones veloces" é uno dei ritratti più completi di me; E "Tercera Guerra Mundial", cantata con i Full, ricama eternamente dalle cuffie brividi in stereofonia. 

Il loro nuovo disco usciva proprio nel giorno di quel ricordo, confermando e superando ogni più rosea aspettativa. Era davvero l'Autoterapia di cui avevo bisogno, la copertina in pile che riscalda negli inverni freddi. 9 Marzo. Guarda un po' le coincidenze. Perchè nell'altro mio Paese, in quella stessa data, i Negrita sfornavano Desert Yacht Club.




Ruvido. Rock. Viaggio on the road tra le contaminazioni. Un disco con i testi fatti apposta per ergersi un po' a motto. Ché anch'io aspiro a "non vedere più finestre, ma rettangoli di cielo" . 

Tra tutti e due, quegli album incarnano la speranza della mia ambivalenza nazionale. Saranno, entrambi, parte della nuova playlist che da domani mi riaccompagnerà a Sud Ovest. Il che, detto con altre parole, significa elemento inscindibile da me. 

Ho selezionato i miei tre pezzi preferiti di ciascuno, sperando di invogliarvi a scoprirli meglio. Buon ascolto. Come sempre, Italo-Spagnolo. 


IZAL - AUTOTERAPIA 

1. Santa Paz



L'amarezza rabbiosa di questa canzone mi carica come pochissime altre.
Agua bendita, tierra maldita, zapatos de tacón. 

2. Canción Para Nadie 



Struggente nella sua tenerezza, il brano si rivolge all'amore che si sogna e non è ancora nato. E, per qualche ragione connessa ad un romanticismo che mi sforzo di rifuggere, mi fa piangere ad ogni dannato ascolto. 

"Me faltan detalles que he de concretar, el color de ojos por ejemplo me da igual". 

3. Autoterapia


Il pezzo che dà il titolo al disco. Che lo apre. Che lo descrive. Una dichiarazione di intenti che prima di salire su un aereo, con la consueta solennità che attribuisco alle partenze, si presta adesso a farsi anche mia. 

"Dejaré mi mitad oscura en duermevela, y a mi otra mitad la haré dueña y señora de mis fiestas. Amaneceré como una nueva versión de humano, para compensar a este cuerpo poco y mal usado". 

NEGRITA - DESERT YACHT CLUB 

1. La Rivoluzione é Avere Vent'Anni 


Uno spaccato di quelli che - ahinoi - siamo. L'espressione delle paure che tutti, più o meno inconsapevolmente, ci siamo trovati a provare. Le nuove generazioni saranno in grado di salvarci davvero?

"Guardiamo lo schermo e proviamo sfiducia, con l'animo freddo e il polpastrello che brucia".

2. Voglio Stare Bene


La volontà di stare bene è il desiderio semplice che ha mosso le mie scelte di vita, quello che giorno dopo giorno ancora inseguo. Per questo il titolo del brano mi aveva incuriosita ancora prima di premere play. E avevo ragione, perchè è veramente bello. Forse più strettamente legato all'amore che ad una pace generale, ma comunque espressione di quella stessa tensione. E poi, in fondo, le canzoni sono fatte anche per essere interpretate come meglio si crede.

"Mentre il meglio dei miei anni sta ballando dentro a un gin, in bianco e nero su Youtube mi ripasso 'I have a dream'. C'è tutto un mondo che si è perso per arrivare fino a qua. Oggi ho gli esami di coscienza, e di uscire non mi va". 


3. Non torneranno più


La nostalgia formato canzone. Niente più e niente meno. La rabbia per le persone che ci sono state sottratte, il ricordo di un'epoca che non tornerà. Anch'io "guardo sempre avanti". Anch'io "ho sogni più arroganti". Solo che a volte, quando il cielo è meno blu, quei sogni sembrano mettersi in pausa. Ed è allora che la comprensione la ritrovi in un cd. 

martedì 20 giugno 2017

Era Bellissimo: Il Cile riparte da Barcellona



Ebbene sì. L'attesa è stata lunga, troppo, ma sono lieta di annunciarvi che è finalmente tornato Il Cile. E, siccome vuole bene alle sue fan italo-spagnole, l'ha fatto con un video girato a Barcellona. Così ho anche il pretesto giusto per parlarvene su questo blog. 





Il clip, uscito ieri, accompagna in immagini la melodia orecchiabile e il testo non banale di "Era bellissimo", primo singolo radiofonico incaricato di anticipare il disco di prossima uscita. Gli ingredienti che mi avevano fatta innamorare della sua musica ci sono tutti, di nuovo: la voce roca, la malinconia struggente, la capacità di evocare immagini vivide tramite accostamenti di parole. E seppure mi raggiungano in un periodo della mia vita sicuramente più felice di quando mettevo in loop "Siamo Morti a Vent'anni", c'è comunque un senso di conforto nel ritrovare le emozioni che mi hanno cambiato (e segnato, e migliorato) una parte di vita. 

Scrive Lorenzo (perchè certe frasi potrebbe partorirle solo lui): 

"Era bellissimo” è un addio consapevole a un amore importante, è la Waterloo di un progetto di vita adulta che avrebbe previsto una convivenza, un piano esistenziale comune. E’ una giostra impazzita di ricordi, talvolta dolorosi e altre volte curativi, è il freddo glaciale di scoprirsi adulti e soli, contro tutto e tutti, a camminare con le proprie gambe per le strade della stessa città in cui per quattro anni, con sacrifici, fatiche e sudore, avevo provato a costruire questo cammino di due mani unite e strette, di due corpi che respirassero all’unisono, di due anime pronte a difendersi dalle intemperie del quotidiano.



A dire il vero, prima di questo brano, Cilembrini ci aveva già regalato un altro piccolo antipasto del nuovo progetto. Di "La Fate Facile", uscito solo per il web, avevo apprezzato lo stacco musicale del ritornello e il coraggio di mettersi a nudo in modo così completo e viscerale; Tuttavia non mi aveva convinta, in parte forse per la difficoltà ad immedesimarmi in un vissuto così lontano dal mio, e molto per l'eccessiva vicinanza alle strutture e alle metriche del rap: un genere che personalmente non amo. 

E' ancora più bello, quindi, dare il bentornato - adesso sentito sul serio - ad un Cile molto più vicino alle mie corde. Un Cile che mi piacerebbe l'Italia riscoprisse una volta per tutte come cantautore, come identità a sè stante, e non solo come quel benedetto featuring in María Salvador. 



Anche se pure lì, in fondo, un po' di Spagna c'era. 











domenica 4 ottobre 2015

Nuove uscite in Spagna: Cris Méndez e gli Estopa


Se nell'autunno c'è un lato positivo, è la quantità di nuove uscite musicali. E, parlando di Spagna, ce ne sono almeno due che proprio non posso non segnalare. 

La prima è Cris Méndez, omonimo esordio solista di quella che avevo conosciuto come corista di Dani Martín. Mi piace vantarmi di aver contribuito a finanziarlo io stessa, facendo riferimento al piccolo contributo dato all'apposita campagna di crowdfunding. Il lavoro ha visto la luce in ritardo, sotto etichetta Warner, trasformandosi da EP in vero e proprio album di otto tracce.



Non dovreste perdervelo perchè Cris ha una voce davvero molto bella, che sposa a melodie orecchiabili nel più classico stile pop. Oltre alla mia amata Vida - di cui credo di avervi già parlato - non posso non suggerirvi l'attuale singolo Sube: un omaggio della cantautrice ai fan che l'hanno sostenuta, disponibile online anche in una versione a duetto proprio con il suo "mentore" Martín.






Degna di nota anche Tatuado, la cui diffusione sul web è stata garantita grazie ad un video caricato su youtube; e, tra le meno conosciute, Salir a Ganar: perfetto mantra motivazionale per un'iniezione di coraggio ed autostima: "tornerò a ridere e ad ignorarti", recita il testo, "uscirò a cantare dappertutto, ne uscirò vincente ". 






E poi ci sono gli Estopa, che come ho più volte ricordato sono sempre stati in qualche strano modo legati alla genesi e allo sviluppo di questo blog. Dopo lunga assenza, i fratelli Muñoz sono tornati sulle scene con "Rumba A Lo Desconocido": album di inediti che comprende il classico gioco di parole nel titolo (quasi un marchio di fabbrica, per loro!), una copertina - parliamoci chiaro- veramente brutta, e qualche incursione su terreni musicali più rock. Ma sono sempre loro, e si fanno sempre amare. 



Tre, in particolare, sono i pezzi che consiglio. La malinconica Estatua de Sal, nelle più tipiche sonorità Estopa. Gafas de Rosa, scanzonata deriva ironico/satirica dei difetti della società spagnola, che invita a "rilassarsi e godersi il proprio Paese" in un'indovinata serie di amari sottintesi che spaziano senza dirlo tra corruzione politica, indifferenza e credo.

"Poi possiamo andare a festeggiare nella piazza del paese come facevamo anni fa; sappiamo tutti come organizzarci, sappiamo che ne siamo in grado. Possiamo sempre alienarci in qualche religione, con il passare degli anni, nonostante i danni, gli danno ragione. Possiamo anche affiliarci ad un partito im-popolare : ti proteggono dallo Stato, sono i migliori"






E, poi, soprattutto, Mundo Marrón, che mi sono giá spinta a definire la "Ya no me acuerdo" degli anni dieci. Trovo il testo di questa ballata romantica di una bellezza struggente. Oltretutto, la mia mente bacata vi ritrova un sorprendente agglomerato di rimandi non voluti ad immagini contenute nel titolo di alcune delle mie canzoni italiane e spagnole preferite. E' augurandovi un buon ascolto (ed invitandovi, se lo vorrete, a divertirvi a cercarli) che ve lo traduco a seguire.







Mondo marrone 

Estopa

Bruciano tutte le stelle, mi rigiro nel letto
Il fondo di una bottiglia non sa niente
di 
quello che mi succede, lo racconto al mio cuscino. 
Io seguo la tua comparsa, mangio la tua marmellata. 
Se le tue labbra sono stanche di parola, 
a forza di chiedermi se il cielo è vero, 
o è un'altra farsa... 

Sarà di cartone, sarà di ghiaccio, 
sarà il solletico quando mi sfiorano i tuoi capelli, 
Sarà di cemento, saranno i tuoi occhi neri,
Sarà il tempo passato senza infilarmi nel metro, 
Sarà che il mio cuore è un'auto senza freni, 
Sarà il mio mondo marrone
E la mia anima in bianco e nero. 

Io conosco solo il cielo della tua bocca e mi avveleno
Con i baci che ci diamo
con il desiderio che sentiamo, 
e con il poco che ci mettiamo a sentire la nostra mancanza... 

Si spengono tutti i lampioni, salgo in terrazza
la prima luce dell'aurora mi ha svegliato 
da questo dolce sogno
che anche se non ne ho il controllo 
perchè ultimamente sogno solo a colori, 
sogno solo con diversi sapori 
e dall'inferno io cerco di chiederti
di cos'è fatto il cielo dei nostri cuori 

Sarà di cartone, sarà di ghiaccio, 
sarà il solletico quando mi sfiorano i tuoi capelli, 
Sarà di cemento, saranno i tuoi occhi neri,
Sarà il tempo passato senza infilarmi nel metro, 
Sarà che il mio cuore è un'auto senza freni, 
Sarà il mio mondo marrone
E la mia anima in bianco e nero. 

Io conosco solo il cielo della tua bocca e mi avveleno
Con i baci che ci diamo
con il desiderio che sentiamo, 
e con il poco che ci mettiamo a sentire la nostra mancanza... 

e anche se cantano le sirene io resto qui al tuo fianco, 
con il cuore spettinato, 
che sogna di essere un vagabondo che vuole seguire i tuoi passi 
i tuoi passi, i tuoi passi, i tuoi passi. 










sabato 20 settembre 2014

Tre ritorni e una scoperta: il Settembre musicale Made in Spain

Mese di uscite discografiche, Settembre. Lo compongono singoli finalmente non forzati al frivolo; new hit ovunque sintonizzi; antipasti di album da comprare a Natale. In Spagna, ad esempio, l'hanno segnato i grandi ritorni. Fito y Fitipaldis, Pablo Alborán e Melendi (più o meno in ordine di gradimento personale) erano senza dubbio tra i più attesi. 

Li ho ascoltati, i loro lavori. E devo dire che non mi hanno entusiasmata. Gradevoli, certo. Ma privi di quell'insondabile quid che trasforma il "carino" in pelle d'oca. Troppo uguali a se stessi. Troppo accomodati in formule consolidate. Ecco, questa é la mia sensazione. Persino Fito pare essersi ridotto ad una copia di tanti suoi successi, nonostante il verso "Lo contrario de vivir es no arriegarse" sia diventato in poco tempo uno tra i più citati sui social. 



Melendi, dal canto suo, sembra stia seguendo una parabola discendente per cui non intravedo possibilità di riscatto. Negli anni, il flamenquillo pop degli esordi é andato via via lasciando il posto a brani di qualità (a mio avviso) sempre meno convincente e testi sempre meno ingegnosi. Perché? Mi vien da chiedermi ogni volta. Ad ogni nuovo disco che inevitabilmente commento con un "sí, bello, ma era meglio quello prima". Sconforto.



La dice lunga il fatto che, tra i tre, quello che mi convince di più sia il nuovo singolo di Pablo Alborán. Che, insomma, gran bel figliuolo finché vuoi (nonché, in quanto malagueño, anche simpatico a prescindere), ma m'é sempre parso un po' una lagna. Comunque "Por fin" é orecchiabile e struggente al punto giusto. E infatti, non a caso, gli ha fatto superare in soli tre giorni il milione di visualizzazioni su youtube. 




Ad ogni modo, se é vero che dai Ritorni mi aspettavo di più, una scoperta interessante c'é stata. Perció, anche se non si tratta di una novità in senso stretto, mi preme condividerla con voi. A raccomandarla, tramite Twitter, proprio il solito Dani Martín. E, nonostante sia ormai un fatto noto che la mia passione musicale nei suoi confronti stia vacillando pericolosamente, i suoi consigli hanno quasi sempre incontrato il mio gusto. Questi qui, poi, mi intrigavano non poco. Voglio dire, dai: un gruppo che si chiama "La Maravillosa Orquestra del Alcohol", un po' di curiosità te la mette a prescindere. Soprattutto se vai a cercarne l'ultimo disco su Spotify e scopri che contiene tutta una serie di brani intitolati "vasos vacíos" (bicchieri vuoti), "Amoxicilina" e simili. Il mio preferito é, senza ombra di dubbio, proprio quel "Quién nos va a salvar?" che all'LP dá il titolo. Una domanda che é tutta una dichiarazione di intenti. L'unica pecca? Farsi abbreviare in M.O.D.A. L'accento, vi prego, non metteteglielo mai. 


lunedì 8 settembre 2014

In Cile Veritas.

Sensazione strana, quella della fiducia ripagata. 
Ti vien voglia di gridarla ai quattro venti. Condividerla, orgogliosa, negli "avevo ragione". 
Che poi tu mica c'entri. Non hai fatto proprio nulla, se non pagare (e dieci euro, mica un capitale!) per un pre-ordine su Amazon. No. La tua sola parte attiva nel progetto, se mai c'è stata, si è limitata all'assillo dei tuoi rassegnati amici, quelli che ancora si chiedono - poracci! - quand'è che smetterai di vivere laddove un palco muore. 
Eppure eccoti qui, esaltata come le due quindicenni che ami affermare ti compongano i trent'anni. Ridicola, probabilmente. Ma, fuori da ogni dubbio, sollevata. 




Dovevo parlarne, perciò, del nuovo album de Il Cile. Ci ho riservato un primo ascolto febbrile, costruito di attese protratte e curiosità nutrita di commenti positivi. I mezzi erano quelli che erano. Un paio di cuffie intorcigliate. Un vecchio computer ormai talmente scassato da impedirmi di fissare altro che non fosse la schermata di Spotify (alla lunga, interessante quanto la vernice che si asciuga). Si impallava, ad aprire altre finestre. Evitava, da solo, qualsivoglia distrazione. E allora ci ho chiuso gli occhi, su tutto quel nero. 37 minuti di pausa dal mondo. Un incresparsi di brividi che è iniziato ad accentuarsi già al crescendo musicale di ascoltando i tuoi passi.

Dietro a In Cile Veritas c'è, nel complesso, un cantautore più positivo e leggermente meno criptico di quello conosciuto con Siamo Morti a Vent'anni. Di quel disco però conserva e ulteriormente affina le caratteristiche essenziali, in una tensione al miglioramento che - come ho scritto più volte - è in ogni campo artistico la sola cosa in grado di garantirti un futuro. Il timbro vocale, per esempio, resta inconfondibile nel suo spezzarsi arrugginito e roco. Si fa, però, più rotondo e pieno, più sicuro di sé, capace di virtuosismi assenti nell'opera prima. I testi stessi, per quanto sembrasse difficile, eguagliano - se non addirittura superano-  in profondità quelli a cui ci aveva abituati dal 2012 di Cemento Armato. Versi da pelle d'oca sono disseminati qua e là a densità talmente elevata da rendere difficile la scelta ogni volta che vorresti citarne qualcuno. Malinconia, tenerezza ed ironia ci si alternano dentro a comporre un quadro che, come solo Il Cile riesce a fare, racconta una generazione intera semplicemente parlando di sé. Ascoltate Liberi di Vivere e capirete cosa voglio dire. 

A livello tematico, l'alcol è il filo conduttore che lega sottilmente le 10 tracce, giustificando il titolo dell'opera e la scelta (discussa e forse discutibile) del primo singolo estratto. Bicchieri consolatori di Jack Daniel's, tequila, bottiglie vuote ed anime ad alta gradazione sono, a ben vedere, il fondale di un'unica storia che si snocciola poetica e viscerale in collane di parole da perdercisi dentro.  Una volta mi ha detto, Lorenzo Cilembrini, che quando scrive abbonda in "labor limae". Beh, secondo me in questo disco si nota e gli è riuscito più che mai. 

I brani migliori? Personalmente direi "Parlano di te", il momento più alto di tutto l'album. Crepuscolare nei suoi piatti da lavare; visivo nel suo descrivere di oggetti e situazioni comuni la fine di un amore; semplicemente lirico già dalla prima strofa, che anche slegata dalla melodia è un dipinto prezioso a pennellate di parole. 

"Luglio coi suoi passi felpati sulla terra secca e l'asfalto con le rughe, mi prende ogni volta alle spalle come i brividi delle mie paure". 





Per non citare "Parlano di te queste stelle ormeggiate in un mare al contrario di una notte d'estate", una delle mie frasi preferite in assoluto assieme a "Ogni volta che ti osservo nel mio sangue si scioglie la Luna" di Vorrei Chiederti (ribadisco: sono una romantica, che ci volete fare?) 

Poi "L'Amore è un suicidio": la botta di vita del disco, la sferzata di energia rock, l'irrinunciabile parentesi ironica in cui riversare fiato e polmoni. 





Un'Altra Aurora (PS: correggete il booklet, c'è un refuso!) sorprende nel suo rivelare un Cile tutto sommato finalmente sereno. Perché la cerca così tanto che "si ammazzerebbe", sì. Raccoglie i suoi rottami, e lascia le unghie sulla parete. Ma poi ringrazia la sua vita e si perde nell'immenso di ogni suo sorriso. Orecchiabile e destinata ad incollartisi dentro, con quel suo nananananananana che ti condannerà a canticchiarla fino alla perdizione. 




E ancora "Sapevi di Me", il singolo attualmente in rotazione. Quello che mi ha sciolta, conquistata e catturata fino a diventare il mio mantra personale. Il biglietto da visita vero che apre In Cile Veritas con quella che è a conti fatti una sorta di seconda parte del brano, omonimo, che dava il via a "Siamo Morti a Vent'anni". 




A convincermi un po' meno è invece Maryjane. Leggermente modificata in alcune parti del testo rispetto alla versione che ci aveva regalato Il Cile in un video su Facebook. Carina, senza dubbio. Ma, forse anche perché priva del fascino della scoperta, di livello lievemente inferiore alle altre. 

Baron Samedi perde un po' la carica esplosiva che ha nella versione live, la dirompenza di quel video consumato di play. Ma è comunque bello avere finalmente incisa la frase in cui , sin dalla primissimo ascolto, mi sono ritrovata più che in qualunque altra. Perché anche "Il mio cervello è una centrale nucleare con le scorie da smaltire" e ogni volta che l'ascolto mi sento un po' meno sola. 





"Sole, Cuore, Alta Gradazione", infine. Quel singolo che, col senno di poi, forse non era il più adatto ad introdurre l'album. Non per il brano in sé (che a me è piaciuto subito, e continua a piacere) quanto per le reazioni avute. Chè sono stati in molti a non averlo capito. Si sono soffermati all'involucro di sonorità radiofonicamente accattivanti per non arrivare a cogliere la derisione intrinseca, parodica e satirica, del testo. Chi si aspettava il ritorno del tizio di Cemento Armato ne è rimasto a volte un po' deluso, ed è un peccato perché quel tizio, invece, ne "In Cile Veritas" c'è tutto, dal primo all'ultimo di quei trentasette minuti. Ed io, ascoltandolo, riscopro nei suoi confronti quella stessa ammirazione assoluta e  intimidita che provai quando, in auto verso Gorizia, inserii per la prima volta "Siamo Morti a Vent'anni" nello stereo. 

Chè certe parole, non si sa come, ti specchiano. Cambiano. Toccano dentro. E Il Cile, con me, è riuscito a farlo di nuovo. Ha dichiarato, a La Stampa, che scrivere  "è quello che so fare, non so fare altro". Posso solo augurargli di non smettere mai. 


martedì 6 maggio 2014

Logico.

C'è sempre una certa emozione, nell'ascoltare per la prima volta un nuovo disco di Cesare Cremonini. 



Di solito accade secondo rituali prestabiliti. Sempre gli stessi. Li riservo ai cantautori che seguo da più anni, quelli che - in un certo senso - mi sembra siano cresciuti con me
Tutto ha inizio con la copia fisica. L'involucro di plastica strappato con un misto di impazienza e gentilezza, come in un impeto di passione. C'è il primo impatto con la fisicità. L'odore di carta e inchiostro del booklet. Il lieve scricchiolio dell'apertura. 

Poi mi siedo lì, in genere sul divano del soggiorno o sul bordo del letto in camera mia. La suoneria del cellulare azzerata. Il mio mondo in pausa per mezz'ora o quarantacinque minuti, mentre qualcun altro mi descrive in note. 
Nei miei rituali, il testo di ogni brano lo seguo sul libretto, parola per parola, per concentrarmici più a fondo. Ne assaporo ogni sfumatura. Mi ci impregno. Lo vivo. Ci entro in comunione. 

Questa volta, peró, non è andata così. 
Il fatto è che, quando acquisti un album su Amazon, te ne regalano in aggiunta la versione digitale. E quella non devi stare ad aspettare che ti arrivi. Niente postino che suona alla porta, unghie smangiucchiate per la frenesia, invidia di chi sta giá dicendo la sua in rete. Ce l'hai lí, subito. A portata di orecchio, anche se non di mano. 

Quindi volevo rispettarle, le mie tradizioni. Ci tenevo sul serio. 
Ché in fondo Cesare più di chiunque, per ragioni cronologiche, è in quello strano senso cresciuto con me. 
É stato l'entusiasmo altrui a fregarmi. Tutto quello sproloquio di aggettivi qualificativi sui social. E giú retweet. Punti esclamativi. Applausi (neanche tanto) virtuali. 

Insomma, al diavolo! Non ce l'ho fatta più. Anche perchè - mi sono detta - non fa tanto blogger seria e figa recensire un disco il giorno stesso dell'uscita? Ecco, forse é stato proprio questo a darmi il colpo di grazia. Che ci volete fare? Sono una povera succube degli status symbol. Degli stereotipi. Della facoltà di giornalismo. Dei film. De...

Vabbè, vengo al punto. 

Il punto è che Cremonini non delude. Certo, non bisogna fare l'errore di prendere troppo alla lettera i commenti della stampa. Perchè sì, "c'è stata una svolta", una "maggior sperimentazione". Ma, fondamentalmente lo stile resta il suo. Come dev'essere, del resto. Non é che si sia messo di colpo a fare tecno o heavy metal, per capirsi. Cosa che, in qualche strana parte del mio subconscio influenzabile, un po' temevo pure. 

Invece, in Logico, ci ritrovi Il Pagliaccio; L'"astronave" delle sei e ventisei; La strumentale "Cercando Camilla" (e ricordi i concerti, cosí, di botto, come una sorta di reazione pavloviana). Ci ritrovi Maggese, e forse un po' anche Jalousie. Le atmosfere di Amor Mio. Gli amori perduti di I Love You.  Ma tutto questo é ben presente senza ricadere nella copia. C'è in quanto cifra. In quanto immaginario. In quanto identità. 

In quanto Cesare, insomma. Cesare e basta. Cesare che però fa - e probabilmente è questo che intendeva la stampa, col senno di poi - un passo avanti, anche bello grande, per quanto riguarda arrangiamenti e suono. Non ho studiato musica, non posso parlarvi in chiave tecnica. Però si percepisce, eccome, anche dal punto di vista di un'ascoltatrice comune. 

Soprattutto, a parte un paio di brani lenti (che poi sono anche quelli che a me convincono meno) l'album ha un ritmo complessivamente sostenuto. Del tipo che non riesci a star ferma sulla sedia, e non vedi l'ora di goderti nella trasposizione live. GreyGoose e Vent'anni per sempre mi esaltano in modo preoccupante, tanto per dirne una.




E nel "mi esaltano" è chiaramente compreso il repertorio coreografico da pazza tarantolata in cui inevitabilmente mi cimenteró ai concerti. Sappiatelo sin da ora. Tra parentesi, ci sarebbe da capire perchè le canzoni che includono "vent'anni" nel titolo esercitino su di me una simile attrazione. Dev'essere una faccenda simile a quella del uo-oooh, vai a sapere.





Comunque: il miglior testo, al primo ascolto (che, emozione a parte, non è mai quello più fedele) ce l'ha Cos'hai nella testa. Sua la frase responsabile del colpo di fulmine lessicale del giorno, causato dalla frase: "Facciamola assieme la strada che resta, magari ci porta alle Hawaii". 




La miglior descrizione inconsapevole di me é invece tutta a cura di "Fare e Disfare".
Perchè anche questo è un rituale, d'altro canto: in ogni disco di Cremonini, ci dev'essere una canzone che più delle altre parla di me. Ecco: lei è quella canzone. Non essenzialmente la più bella. Magari neanche quella più poetica. Ma indiscutibilmente e visceralmente mia.



Buon ascolto (come avrete capito, il disco intero é giá su Spotify, quindi non avete scuse!)