domenica 20 dicembre 2015

"Te encontré sincero, primo": pesci, lumache e nostalgia.

É passata ormai più di una settimana, dal concerto di fine tour de El Pescao. Parlarne adesso rischia di sembrare inutile. Notizia vecchia, buona tutt'al più per incartarci il pane. Eppure, per uno dei miei tanti inspiegabili tarli mentali, so che non sarò in pace con me stessa fino a che non vi racconterò come è andata.

Ed è andata bene, intendiamoci. Bene da risate di pancia. Bene del tipo che è stato uno dei live più divertenti a cui io sia mai stata. Roba da coriandoli (e difatti). Da gag sul palco. Da overdose di amici. É andata che ha avuto il sapore di una festa di fine anno scolastico al liceo. Con la birra che sa di trasgressione, gli arrivederci che suonano come un grazie, la spensieratezza di un futuro da esplorare. Aiutava anche la location. I colori psichedelico-naif dei dipinti sui muri della sala Caracol. Lumaca, in italiano. Un posto che chiaramente si chiama così perchè sono tutti lenti da morire. E poi c'erano i deejay. Anzi, i diiyey. Dai, quanto è meravigliosamente buffo come lo pronunciano gli spagnoli? 




Comunque. Il fatto è che sarebbe riduttivo limitarsi a questo. Ad un paragone. A una definizione di cinque lettere appena. No. Per me quel live ha significato ben più di questo. E, d'altra parte, in tutte le feste della mia vita ho sempre avuto almeno un attimo di riflessione. Forse è un problema di chi scrive. Molto più probabilmente, solo mio. 


Mi sembra ieri - e al contempo un secolo fa - che uscivo da una sala prove nel quartiere di Carabanchel. Avevo appena finito di ascoltare per la prima volta il nuovo disco di David Otero. Il resto del mondo (vabbè, di Spagna!) l'avrebbe conosciuto appena di lì a qualche mese, ed io mi sentivo una privilegiata. Ci eravamo fermati a chiacchierare fuori da un portone. Avevamo scattato selfie. Girato video. L'estate illuminava di luce diversa la stessa città che di quel tour avrebbe in fondo scandito tutte le tappe fondamentali. L'aveva sempre fatto. Era così dai tempi de El Canto del Loco. Non dovrebbe stupirmi, dal momento che quella città è la sua. 






A pochi metri da quella sala prove, ignaro di tutto, un discografico della Sony usciva da un bar con i vetri appannati. "Che ci fate qui?!" "El Pescao?!" "Cosa?!". David, quell'etichetta, l'aveva da poco lasciata. Una mossa azzardata che aveva riscontrato tutto il mio entusiasmo, traducendosi al contempo in voglia di rischiare, supporto di agenzie piccole e giovani, ed incremento di soluzioni promozionali anti-convenzionalmente creative. Lui, il discografico, di quel pre-ascolto non sapeva nulla. In compenso ci parlava di Dani Martín. Del DVD di prossima uscita in cui sarei comparsa anch'io. "É sempre speciale lavorare con Dani", diceva. Ed io pensavo "see, certo". Mordendomi la lingua per trattenere il sarcasmo. In quel momento quasi l'odiavo, Dani Martín. Avevo deciso di chiudere quella tappa dopo una delusione che ancora bruciava. Tutto o niente. Niente o tutto. Le mezze misure lasciatele agli altri, non a me. 

É passato più di un anno, da allora. Adesso El Pescao è tornato alla Sony, e ha scelto di mettere fine al progetto Ultramar con una specie di Festival alla sala Caracol. Ha coinvolto i suoi amici. La bravissima Ms Maiko, live from Canarias: un concentrato di energia con l'aggiunta di un tocco di itagnolità ne "il numero da lei chiamato è inesistente" che introduce in italiano uno dei suoi pezzi. Los Galván, al loro decimo anniversario, che mi fanno sgolare rispolverando quella "Por eso canto" che nella versione con Melendi era stata per un periodo uno dei miei ascolti ossessivo-compulsivi. Paula Rojo, che l'accompagna in "Por las Calles de Palermo". E ancora Joshua Diaz, musicista che ho imparato a conoscere a seguito di una richiesta di amicizia mandatami su Facebook. Umile ed efficace mentre canta con David "Descalza y sin avión", il brano che hanno composto assieme e che certo non poteva non piacermi nel suo parlare di aerei e libertà. 




El Pescao, quel festival, l'ha fatto iniziare con una playlist che sembrava una delle mie su Spotify; E già metteva voglia di sorridere e ballare. Una voglia che non si sarebbe mai spenta, neanche dopo. Nello snodarsi di un repertorio calibrato che ri-arrangiava pezzi noti mescolandoli ai meno conosciuti, passando da una Me Da Lo Mismo in chiave rock a una troppo poco suonata Si Me Pusiera en Tu Piel; dalle suggestioni acustiche di "Cuando llegas tú" a quell' "El Mundo de Los Recuerdos" sempre sorprendentemente difficile da cantare.

Un repertorio che, soprattutto, comprendeva una quantità di brani de El Canto del Loco superiori alla media. Ed è questo che non mi aspettavo. La nostalgia. Il modo in cui una sola parola, aggiunta al testo di Tal Como Eres, riesce a disegnarmi in testa tutto un universo di ricordi e sensazioni. 

"Te encontré sincero, PRIMO."
E la mia mente va via, all'istante. Torna al momento in cui, seduti su di una panchina al centro del palco, i due cugini si guardavano cantandola a duetto. Ai palchi fantasmagorici con le "gabbie" a più piani. I carnevali improvvisati al Sant Jordi. Sweet Child o' Mine. Le corse a perdifiato verso una prima fila alla Ciutadella di Roses. Primo. Solo Primo. E ritrovo gli anni belli. Quelli in cui ancora non c'erano stati hotel, abbracci, chiacchiere o anche solo menzioni sui social. E magari vivevo la musica in modo malato, ma mi bastava una dedica dal palco per scoprire una felicità impossibile da descrivere a parole. Una felicità che non avrei mai smesso di provare a raccontare agli altri, che fosse in mille post, davanti ad un caffè al tavolino di un bar, o al telefono con le amiche per ore. L'avrei inseguita ovunque; L'avrei rincorsa per anni, quella briciola di felicità.






Qualcuno, in altre circostanze, mi avrebbe detto più avanti che non ne valeva la pena. Qualcun altro ancora, che "i musicisti sono tutti stronzi, dal primo all'ultimo". 

Ma allora sono i musicisti, semmai, che vanno lasciati perdere. Non la musica. La musica mai. E quando un problema tecnico spegne l'amplificazione sul palco a me viene voglia di riguardare il film di Personas. Quando David attacca "Sperman" ricordo quel concerto del 2008 pressata tra la gente con un caldo boia. Una foto en blanco y negro è ancora il video di compleanno più bello che mi sia mai stato fatto. Non per il montaggio o la canzone, ma per quello che rappresentava. 

Forse non si è mai trattato di riconciliarmi con Dani Martín, ma di riconciliarmi con me stessa. Di accettare che una tappa si è conclusa non in virtù di una delusione, ma di una necessità di vivere le passioni in modo diverso. Forse più sano. Forse più distaccato. Forse si tratta solo di far pace coi ricordi, ripremere play e ripartire da lì. 

L'ho saputo nel momento in cui David ha detto Primo, guardando col sorriso verso il fondo della sala. Sapevo quello che poi avrebbe confermato: Dani era lì, in quello stesso posto. Sapevo anche che non l'avrei visto; che avrebbe evitato la gente, che comunque in ogni caso l'avrei evitato io.

Eppure ero contenta che ci fosse. Ero contenta di provare così forte quella nostalgia. 

E ringrazio El Pescao perchè, senza volerlo, la sua fine tour mi ha dato la giusta carica per festeggiare un traguardo per me importante. Nel 2016 compierà dieci anni il fanclub che ho fondato. Un fanclub che - scioltisi o meno-  era, è e resterà sempre per prima cosa il fanclub di quella band che tanto ho amato.

Larga Vida - siempre- a El Canto Del Loco. 





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